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Z-eyes: Le macerie della borghesia

Note a margine di un incontro con Antonio Tricomi, autore di Macerie borghesi. Genealogie letterarie del presente (Rogas 2023) nell’ambito del ‘seminario di pensieri’ EUROPAMERICA

È straordinario come i commenti si siano indirizzati su tematiche esistenziali e politiche che ci riguardano tutti, pur da diverse prospettive e diversi stati d’animo: sopravvivere o vivere? Vivere o morire? Pensare al presente o al futuro? Questo è solo un piccolo campione della partecipazione attivissima a queste giornate, e credo sia una chiara testimonianza che se apriamo gli spazi giusti alla partecipazione, al confronto, al dibattito, anche al dissenso, se incrociamo i pensieri con le emozioni, se sappiamo ascoltare, forse possiamo avere ancora un po’ di ottimismo.

Questo è un appello a tutti gli e le insegnanti e a tutti i / le giovani che leggono Girodivite - facciamo massa critica! (Alessandra Calanchi)


Nella giornata dell’11 maggio 2023 si è tenuto all’università di Urbino un incontro (in presenza e su Zoom) dedicato all’ultimo libro di Antonio Tricomi, Macerie borghesi, che tratta delle classi sociali e in particolare della storia della borghesia. Secondo Tricomi la borghesia o ceto medio sta andando verso il declino e il mondo di oggi è cambiato rispetto a decenni fa. L’ascesa sociale non è più possibile, la nascita determina il nostro futuro, le scuole e le università non garantiscono più l’emancipazione culturale e un nucleo ristretto di pochi detiene tutte le ricchezze e i privilegi. Oggi il proprio talento non serve più per costruire il proprio futuro e si sta andando sempre più verso ineguaglianze e povertà. Il capitalismo e la decisione della borghesia di alimentarlo sarebbero i veri promotori della caduta dell’uomo.

È difficile parlare di questo argomento perché se da una parte è vero che oggi è più complicato trovare lavoro anche se possiedi una laurea o comprare casa perché le spese sono alte e i salari bassi, non è altrettanto così scontata la caduta dell’uomo e la povertà assoluta. Sarà difficile per noi giovani in futuro saper conciliare la volontà di portare avanti il consumismo e il tenore di vita alto e dall’altro preservare l’ambiente, le risorse e il benessere. Sono tante le sfide, ma io non credo sia giusto avere un pensiero pessimistico, se i nostri genitori o nonni hanno fatto delle scelte sbagliate non è detto che noi figli la penseremo allo stesso modo e faremo gli stessi sbagli. A mio parere, bisognerebbe avere un pensiero più ottimistico e cercare di fare qualcosa per non sprofondare. Non è detto che andremo verso la povertà assoluta e verso l’unico obiettivo di sopravvivere, forse torneremo a vecchie abitudini e dovremo abituarci a cambiamenti radicali ma senza rinunciare a tutto ciò che oggi abbiamo. Anche la tecnologia può essere una risorsa importante e utile per trovare delle soluzioni e per affrontare le problematiche che abbiamo oggi e che avremo in futuro. È un tema complicato di cui è difficile parlare, ma è importante rifletterci.

Martina Laghi


Il libro oggetto dell’incontro ha una grande importanza anche dal punto di vista della cultura americana, perché ci porta ad immergerci in un discorso politico da cui non possiamo sottrarci. Il libro, organizzato sotto forma di saggi e recensioni raccolti in meno di un decennio, affronta il tema della lotta di classe, della consapevolezza e dell’orgoglio legato alla sua appartenenza. Si tratta di un libro che ha l’iniziale l’ambizione di essere, piuttosto che un contenitore di cose scritte, una raccolta organica, ma che per sua costituzione è stata realizzata sotto forma di saggi indipendenti l’uno dell’altro. Piuttosto che dall’idea di fotografare il presente, il libro nasce quindi dall’idea di scoprire come si è arrivati a questo presente; il libro arriva al presente ma al presente si ferma.

È in questo contesto che si inserisce la frase “Il presente non può essere il nostro destino”. Credo sia la frase che più di tutte durante l’incontro mi ha colpito e penso sia stata per tutti, in un determinato momento della nostra vita, un mantra e un incitamento a ripartire. Bisogna prendere coscienza che al termine di un capitolo della nostra vita, è fondamentale e necessario voltare pagina e abbandonare ogni vessillo di logica che ci ha portati fino a quella situazione. A oggi, nella nostra società, grazie a tutti gli strumenti che abbiamo a disposizione, possiamo, anzi dobbiamo prendere in mano la nostra vita e se necessario stravolgerla completamente per diventare e per trovarci esattamente dove vogliamo essere. Personalmente credo che qualsiasi cambiamento, grande o piccolo che sia, se contribuisce al miglioramento della vita di una persona e la rende libera da una routine vuota e monotona, sia importante e significativo, in quanto richiede forza, coraggio e autoconsapevolezza. Questa frase che richiama anche all’esortazione “il presente è oggi, la vita è adesso” si contrappone alla vita frenetica di oggi, ai ritmi serrati e veloci delle nostre vite e alla tendenza ad essere continuamente proiettati verso il futuro. Siamo così tanto distratti dalla moltitudine di stimoli che ci circondano e dall’asia che spesso proviamo quello che verrà, che non riusciamo a godere delle piccole cose, quelle che sono fonte di gioia, serenità e spensieratezza.

Giorgia Piscaglia


Ho trovato interessante il cambiamento del ruolo della borghesia rispetto al passato, infatti prima è stata la protagonista della modernizzazione e del capitalismo (il 900 ha prodotto tutte le società consumistiche) ma oggi è diventata vittima perché 60 anni fa il ceto medio aveva condizioni assolutamente migliori. Del resto, l’uomo è l’unica specie che può portare alla distruzione del pianeta e lo stiamo vedendo a livello globale. La parte del seminario che mi ha colpito maggiormente è stata quando il professore ha spiegato l’espressione “un mondo via via va ridotto a una colonia americana”: questa storia ha caratterizzato il 900 ma non il tempo a venire.

Tricomi ha definito l’America il 900, perché è una nazione che senza occupare militarmente l’occidente l’ha colonizzato dal punto di vista sociale, culturale ed economico. Secondo il professore questa storia è in declino perché proprio negli anni che stiamo vivendo il mondo comincia a essere cinese, creando nuovi paradigmi. A mio parere, la cultura e l’economia cinese sono sempre più in espansione ma ancora viviamo e continueremo a vivere in un mondo “americanizzato”. Proprio nell’ultimo periodo è cresciuta la preoccupazione per l’eccesso di americanizzazione attraverso Google, Facebook e Twitter, soprattutto in relazione alla privacy.

Elisa Colonna

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Copertina di Macerie borghesi, di Antonio Tricomi

Il cosiddetto “ascensore sociale” sembra ormai bloccato al piano zero e, a causa della scarsa manutenzione, non funziona più, impedendo la salita che rappresenta poi l’emancipazione culturale e, fuor di metafora, simboleggia quell’immobilismo a scanso di privilegi che nega la possibilità di raggiungere traguardi ambiziosi. Sono davvero pochi i privilegiati dunque, mentre moltissimi fanno parte di quella classe sociale di mezzo che dà qualche certezza ma non cancella la paura di poter precipitare da un momento all’altro; sono invece troppi coloro che percorrono quotidianamente il confine sottilissimo che li separa dal baratro. L’ineguaglianza estrema è uno dei problemi reali più preoccupanti di questa società in cui popoli e Paesi si contendono il primato di prevaricazione sull’altro, in cui il ceto medio ha perso forza e per sopravvivere galleggia, aggrappandosi alle scelte passate che l’hanno reso oggi vittima delle sue stesse rivoluzioni.

Antonio Tricomi ha perciò spiegato che il timore più grande che attanaglia gli intellettuali è la nebulizzazione progressiva del genere umano per consunzione interna, non più per una possibile catastrofe naturale imprevedibile che potrebbe distruggere intere comunità. La consapevolezza del danno dovrebbe precedere ogni scelta verso gli altri, verso il Pianeta, verso noi stessi, per far sì che l’assunzione di responsabilità verso il prossimo (animato o inanimato che sia) eviti quanto possibile l’autodistruzione e l’autodemolizione. Ma in fondo Ridley Scott con il suo film cult Blade Runner (1982), e ancor prima Philip K. Dick con il racconto che ha ispirato il regista Do Androids Dream of Electric Sheep? (1968), avevano già ampiamente immaginato una realtà futura profondamente distopica e post-apocalittica. Ho collegato immediatamente questo continuo arrampicarsi verso una crescente umanizzazione con il fallimento della stessa, o meglio con l’innegabile messa in evidenza di diversità e discromie che rendono il mondo vario ma non meno pacificamente abitabile, se solo si tentasse di limare questo divario così marcato. L’aspetto che secondo me accomuna in modo anche abbastanza agghiacciante il dibattito di ieri con le due pluripremiate produzioni sopra citate è che gli uomini, oggi più di prima, tendano ad assomigliare agli androidi, non abbiano reazioni e si snaturino, diventando artefici di un destino in cui, per l’appunto, la lotta per la sopravvivenza è una vera e propria guerra maledettamente fanatica con tratti di bestialità e vigliaccheria.

Concludo con le frasi forse maggiormente impattanti della pellicola, ambientata verosimilmente nell’anno 2019, il monologo di Rutger Hauer (alias Roy Battler), perché credo riassuma magistralmente il senso di una civiltà ai limiti di sé stessa, che emargina e non costruisce, una sorta di profezia ahimè attualissima che spinge a riflettere sì sul passato, ma anche e soprattutto sull’avvenire: “Io ne ho viste cose che voi umani non potreste immaginarvi. Navi da combattimento in fiamme al largo dei bastioni di Orione; ho visto i raggi B balenare nel buio vicino alle porte di Tannhäuser. E tutti quei momenti andranno perduti nel tempo, come lacrime nella pioggia. È tempo di morire”.

Alessia Spolverini


Mi ha colpito molto la descrizione che Tricomi ha fatto della borghesia, mostrando come l’evoluzione storica tipica del ceto medio sia caduta in una forma di regressione. Si tratta di un ceto medio principalmente in crisi dal punto di vista economico. Ci si trova in un momento in cui non si può più parlare della “epopea” della borghesia, quella che nel passato era legata alla figura del self-made man, ma di una borghesia che prevalentemente cerca di sopravvivere. Una delle cause è sicuramente legata al capitalismo. La borghesia è sempre stata la protagonista all’interno delle società consumistiche, Tricomi ha utilizzato l’espressione “stella polare”: la borghesia ha fatto del capitalismo la sua stella polare e oggi ne è diventata vittima. L’unico modo per permettere al ceto medio di capovolgere la situazione è quella di ricostruire, ecco perché Tricomi parla di democrazia realmente partecipata: tutelare in maniera radicale costruire qualcosa di concreto che veda la partecipazione attiva dell’individuo per far fronte a una crisi e per non dover più soltanto sopravvivere, ma vivere.

Serafina Stasi


Su Antonio Tricomi si legga anche: Dal Medioevo a Marte? Due libri rivelatori di Antonio Tricomi e Roberto Vecchiarelli.



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