V-Day, Grillo e i limiti dell’Antipolitica
I tanti giovani visti nelle piazze d’Italia nei gazebo approntati dagli amici di Grillo sono un segnale incoraggiante, affinché l’Antipolitica non diventi il comodo alibi di un senso civico sempre più affievolito.
Il V – Day di Beppe Grillo è stato innegabilmente un successo. Circa trecentomila firme in un solo giorno a sostegno della proposta di legge di iniziativa popolare promossa dall’“anchor - man” genovese sono un traguardo ragguardevole (il comitato promotore del referendum elettorale ha impiegato, quest’anno, quasi due mesi per raccogliere cinquecentomila firme), attribuibile non sono all’ascendente del suo patrocinatore, ma soprattutto al sentimento, sempre più spiccatamente diffuso nell’opinione pubblica, di malcontento nutrito nei confronti di una classe politica, che si giudica non all’altezza delle aspettative del Paese.
Qualche mese fa Massimo D’Alema, in un’intervista al Corriere della Sera, ha segnalato che in Italia si respira un’atmosfera simile a quella che nel ’92 precedette le indagini di “Mani Pulite”.
In effetti, l’atteggiamento di critica e di insofferenza nei riguardi dei rappresentanti del ceto politico è crescente e la polemica sui costi della politica non è solo legata alla esorbitanza di essi, ma forse e soprattutto alla inefficienza delle istituzioni politiche. Se è vero, quindi, che il nostro sistema politico registra uno scollamento tra Paese Legale e Paese Reale, tra Elettori ed Eletti, tra Istituzioni e Cittadini, che presenta indubbie analogie con quello che nel ’92 fu alla base del consenso popolare intorno all’inchiesta “Mani Pulite”, è importante trarre dal precedente i debiti insegnamenti.
Anche allora tra le cause scatenanti vi era il costo della politica, evidenziato da un debito pubblico di proporzioni gigantesche, reso insostenibile dalla dinamica dell’integrazione europea, avviata sulla strada dell’unione monetaria. La stagione degli attentati di mafia e la tempesta monetaria accelerarono il processo di disgregazione della Prima Repubblica, portato a compimento dalla magistratura con avvisi di garanzia ed arresti eccellenti.
Ma se quindici anni dopo ci ritroviamo di fronte ad un ritorno dell’Antipolitica, della percezione di inadeguatezza del mondo della politica rispetto ai bisogni e alle aspirazioni della gente comune, del senso di non identificazione dei rappresentati nei propri rappresentanti, significa che qualcosa nella costruzione della Seconda Repubblica non ha funzionato ed è alle origini di quest’ultima che occorre andare.
L’Antipolitica che nel ’92 e nel ’93 applaudiva i Pubblici Ministeri di “Mani Pulite” ha avuto il merito di abbattere un “establishment” che sembrava incrollabile (non eravamo, forse, tutti destinati a morire democristiani?), ma non è bastata per costruire una nuova classe politica moderna e al livello delle Nazioni europee più competitive. E oggi, come quindici anni addietro, i nodi ritornano al pettine.
Beppe Grillo ha affermato di non voler fondare un suo partito. Il suo “Voglio distruggere i partiti” è un’espressione ad effetto, utile a innescare un processo di salutare crisi. Dietro l’angolo, però, si annida il rischio di scivolare nello sterile qualunquismo, se non segue un rigenerato attivismo all’interno dei luoghi naturali della partecipazione politica, che sono e devono rimanere le istituzioni democratiche.
Per questo è importante che non si pensi solo alla “pars destruens”, ma ci si concentri, innanzitutto, sulla “pars construens”. Grillo ha i suoi buoni argomenti e importanti battaglie da proseguire, non solo sui temi della rappresentanza elettorale, ma anche in quelli dell’ambiente, dell’energia, della stabilità del lavoro, della tutela dei consumatori e della speculazione finanziaria. La mozione di sfiducia dei cittadini verso la politica deve rivelarsi “costruttiva” e dare vita ad una nuova stagione di impegno civile e militanza.
I tanti giovani visti nelle piazze d’Italia nei gazebo approntati dagli amici di Grillo sono un segnale incoraggiante, affinché l’Antipolitica non diventi il comodo alibi di un senso civico sempre più affievolito.
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più che tagliare i costi della politica, ((ma tagliamoli perchè sono troppi davvero e mi riferisco ai costi di bollette, viaggi etc.).... ma questi - mni dico io- sono i costi di un politico che, nonostante gli sprechi lavora (o fa finta di lavorare) per il proprio Paese e per gli elettori.... mi chiedo perchè nessuno si leva a cancellare tutte quelle indennità e pensioni e tipi di pensioni che provengono da 2 cariche consecutive. se l’assorbimento della spesa degli attuali parlamentari è 100, le pensioni dovute alle cariche non più ricoperte sono la stessa cifra elevata a potenza - ennesima. e, a dire il vero, a me, questo costume delle pensioni dopo appena due cariche, mi fa salire il sangue alla testa. e ancor di più il fatto che nessuno si ponga la domanda. mi affido al portale perchè questa provocazione venga spalleggiata. un’elettrice