Uranio impoverito: un caso al Versilia
Che l’uranio impoverito sia cancerogeno è cosa nota: “E’ stato riconosciuto anche dallo Iarc, l’agenzia internazionale di ricerca sul cancro
I media, locali e nazionali, stampa e tv, non si interessano molto, o spesso, della questione ma in quasi dieci anni sono saliti a 2538 i casi di persone affette da patologie cancerogene a seguito del contatto con il “killer” invisibile. E, di queste, 189 sono morte. I dati, ufficiali, sono quelli forniti dall’Osservatorio Militare di Roma, che da tempo si batte non solo per denunciare i fatti, ma anche e soprattutto per assistere, anche legalmente, le vittime.
Sono al momento due le sentenze “storiche” che hanno riconosciuto un risarcimento a chi ha contratto malattie incurabili: la prima del Tribunale di Firenze per un paracadutista di Orbetello e la seconda del Tribunale di Roma per un militare sardo ed entrambe hanno confermato il nesso causa/effetto tra il tumore e la contaminazione da uranio impoverito. La maggior parte delle persone che si sono ammalate, oltre alla popolazione civile dei luoghi, sono infatti militari che dopo essere tornati dalle missioni nei Balcani, in Bosnia e in Libano, hanno iniziato ad accusare sintomi di malattie terribili.
Che l’uranio impoverito sia cancerogeno è cosa nota: “E’ stato riconosciuto anche dallo Iarc, l’agenzia internazionale di ricerca sul cancro – a confermarlo è il dottor Domenico Amoroso, primario ormai dai sei anni del reparto di Oncologia dell’Ospedale Unico “Versilia”, con alle spalle 14 anni all’Istituto Tumori di Genova.
Quali sono le patologie più comuni causate dal contatto con l’uranio impoverito?
“Tumori, linfomi, come quello di Hodgkin, e leucemie. Le forme più frequenti colpiscono le ossa – precisa il primario -, con sarcomi, e poi reni, polmone e testicoli. Le neoplasie al cervello sono invece molto rare”. Ed è proprio oggetto di studio il perchè l’uranio, le cui particelle colpiscono per inalazione o per ingestione, colpisca solo alcuni organi.
Casi locali?
“Dal 2004 ho avuto solo un caso, qui al “Versilia”. Era un militare, congedato, che di ritorno dai Balcani aveva sviluppato una neoplasia testicolare, fortunatamente allo stadio iniziale, ed è stato sufficiente un intervento chirurgico, senza necessità di terapie chemio o radio ma è stato proprio quel caso a portare la mia attenzione sul rapporto causa – effetto tra il materiale bellico e l’incidenza potenziale sui tumori”.
Un unico caso per iniziare però a documentarsi, e scoprire che in letteratura non esistono molti lavori: “la cosa strana è che nell’arco di 30 anni – dal ’80 a oggi – nella banca dati mondiale esistono solo 74 articoli scientifici, pochissimi se si pensa al numero dei decessi e delle persone ammalate”.
Morire di uranio, il silenzio sugli innocenti: perchè non se ne parla? Questione di interessi?
“Il mondo scientifico dovrebbe porre molta attenzione sul problema. Forse, ma è un mio parere personale, è un argomento scottante. Io però lo vedo da oncologo, e come scienziato, e l’interesse primario deve essere quello della salute pubblica, in tutte le sue forme: dei cittadini, di chi lavora o è un militare. Fare ricerca, parlarne e scriverne sono la strada per trovare soluzioni”. E soprattutto esistono metodi per evitare la contaminazione.
“La difficoltà è avere dati certi e aggiornati”, ha commentato la senatrice viareggina del PD Manuela Granaiola che fa parte della Commissione Uranio riunitasi proprio ieri a Roma. Durante la seduta è comunque avvenuta l’audizione del presidente della Anavafaf, Falco Accame, che ha lasciato ai parlamentari numerose documentazioni.
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Mio padre si è ammalato verso il 2003, dopo mesi di visite è stato diagnosticata la Sindorme di Waldenstorm, una specie di leucemia, che noi attribuimmo al suo lavoro in Fremmenta con acidi e pòlveri. Fu sconfitta, dopo aver provato tutti i tipi di Chemio, da una cura nuova proveniente dall’America un mix di faramci tipo l’Interferone. Tranne che dopo un anno gli vennero diagnosticati i linfomi, credo del tipo Hodgkin. Dove può aver contratto una sequenza di malattie così rare e specifiche?