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Una storia milanese

In piena Milano da Bere, tra sfilate di moda, locali di tendenza e cantieri edili che sorgevano numerosi, in un parco del centro città si svolgeva qualcosa di diverso

di Silvia Zambrini - mercoledì 1 dicembre 2021 - 2578 letture

Il verde pubblico a Milano è spesso stato sede di insediamenti edilizi di ogni tipo, anche privati. Una legge dell’ ʼ89, dell’allora Ministro per i problemi alle aree urbane Carlo Tognoli, autorizzava la costruzione di garage sotterranei in diritto di superficie per i residenti.

Grazie a questa legge, negli anni ʼ90 a Milano, l’allora Sindaco Paolo Pillitteri dava il via libera alla costruzione di box ad uso privato sotto le aree pubbliche, comprese le poche aree verdi rimaste come il Parco Pallavicino (oggi Parco Vergani) in zona Pagano: nell’agosto ʼ90 questo veniva recintato con blocchi di lamiera per poter iniziare gli scavi dopo l’espianto degli alberi, probabilmente approfittando del fatto che i residenti erano in vacanza ma, già a Ferragosto, alcuni abitanti si riunivano e iniziavano a raccogliere firme su un grosso album cartaceo.

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Milano - via Panzini 1991

Nella zona di Pagano, precedentemente popolata da artigiani e commercianti, una trasformazione già era in corso con le banche e agenzie immobiliari che si andavano sostituendo alle botteghe. Ora il nascente comitato sembrava restituire quell’aspetto di vita di quartiere che tutti in fondo rimpiangevano. Nel giro di pochi giorni aumentavano le firme e anche l’attenzione da parte delle radio e delle TV regionali. Ma occorreva un presidio no stop per rendere nota la questione e scongiurare l’intervento delle ruspe. Politici a favore del piano parcheggi e rappresentanti delle cooperative (cui facevano riferimento gli acquirenti di box sotterranei), rassicuravano che il parco sarebbe rimasto tale ma si sapeva che il perimetro di terreno arboreo, con tanto di piante secolari, sarebbe diventato presto il tetto spoglio di un garage, con continuo passaggio di veicoli e lo stato di degrado che inevitabilmente ne consegue.

Internet non c’era, i telefonini nemmeno a parte qualche raro caso. Eppure ... o forse proprio per questo, il comitato si animava di giorno in giorno. All’inizio della via pedonale Panzini (che divide il parco) venivano posizionati tavoli, sedie, messe a disposizione delle roulotte. Sin dal mattino presto presidiavano i pensionati, man mano arrivavano gli altri. Si organizzavano concerti di musica classica e di jazz con artisti che si offrivano numerosi. Si svolgevano cene, gare gastronomiche, tornei di scacchi, riunioni per decidere come procedere in base alle reazioni della Giunta Comunale, le sentenze del TAR cui si era fatto ricorso e le possibili mosse da parte della Questura. Si tenevano contatti con gli altri comitati impegnati a contrastare gli scavi nelle rispettive zone.

Intanto arrivava l’autunno e il parco di via Pallavicino era diventato una sorta di micro ambiente nella metropoli, dove sempre si svolgeva qualcosa, c’era qualcuno. Durante i confronti tra cittadini e rappresentanti delle cooperative appaltatrici, cui partecipavano anche esperti all’urbanistica e all’ambiente, tra le ragioni a favore si diceva che il piano parcheggi avrebbe liberato vie e marciapiedi dall’ingombro di veicoli posteggiati. Ma l’essenza puramente immobiliarista del progetto emergeva nonostante la parvenza che gli si voleva dare: la mobilità a Milano era già composta in larga parte da pendolari e il sovraffollamento di automezzi non lo si risolveva certo con la vendita di box privati riservata ai residenti.

Il dissenso generale si faceva sentire a livello sempre più ampio e si sperava in una pausa di riflessione da parte del Comune. Ma l’intervento della forza pubblica arrivava ugualmente in una giornata di fine ottobre in via Pallavicino alle 7 del mattino. Per poliziotti e carabinieri, che si aspettavano di trovare una situazione ben diversa, era imbarazzante prendersela con anziani, genitori con i figli, studenti e docenti del vicino liceo classico Beccaria. L’intervento si esauriva dopo due giorni di resistenza passiva dei cittadini, lasciando un impatto negativo sull’opinione pubblica, controproducente per chi lo aveva richiesto. Il Comune ritirava definitivamente la concessione edile nell’estate ʼ91. Durante questo intervallo il presidio era sempre rimasto attivo.

Un’iniziativa a difesa del verde pubblico non riconosce schieramenti ideologici, conflitti generazionali, orientamenti individuali. Era forse l’inizio di quella trasversalità di pensiero che ha caratterizzato in seguito sempre più movimenti civici e politici: di fronte a una situazione di emergenza, i cittadini, avvertendo la distanza con le autorità e i partiti che li dovrebbero rappresentare, tendono a coalizzarsi per il raggiungimento di obbiettivi condivisi come la salvaguardia di un’area verde o di un monumento storico, a volte meno nobili come l’esclusione di fasce di cittadini non graditi (pur senza validi motivi), a volte impossibili quando il senso di abbandono è tale da creare distanza e diffidenza tra i cittadini stessi. Al comitato per la difesa del Parco Pallavicino partecipavano persone comuni, religiosi della vicine parrocchie, aderenti al partito monarchico che aveva sede nei pressi.

Tante cose sono cambiate in trent’anni. Il piano parcheggi, nel susseguirsi di diverse amministrazioni, più o meno in suo favore, è stato in parte realizzato. L’ingombro di veicoli posteggiati lungo le vie e sui marciapiedi non si è per nulla alleggerito.

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Milano - via Panzini 2021

​La città non dice il suo passato, lo contiene (Italo Calvino). Questa storia milanese, indipendentemente dalla questione parcheggio, rimane un episodio di società civile volta a difendere il territorio attraverso una presenza reale e lo svolgersi di iniziative in armonia con il quartiere (pulizia del luogo, rispetto della quiete pubblica ecc.) così come si erano mossi gli altri comitati seppure svantaggiati per la minore densità abitativa. Forse non è un caso se negli ultimi anni manifestazioni no profit di mobilità leggera, volontariato e altre forme di socialità all’aperto sono diventate prassi (grazie anche alla rete che le veicola su larga scala). Più persone per bene stanno in strada più c’è controllo del territorio. Mentre gruppi di nottambuli, incuranti del contesto abitativo, mettono a dura prova gli abitanti, un altro “popolo della notte” si ritrova per percorrere strade e vie senza l’uso del motore, per giocare nei parchi, aiutare i senzatetto, condividere momenti di incontro in armonia con la città (rispettandone i ritmi di vita e la normale viabilità). Creando una presenza non ancora sufficiente per contrastare le tante realtà opposte ma integrante di quel “modello europeo” cui Milano ambisce.


Questo articolo è stato pubblicato anche su Fana.one.



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