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Una norma e una sentenza in rosa

Nelle prossime elezioni regionali i campani potranno indicare non una, ma due preferenze sulla lista, purché la seconda sia a favore di una persona di sesso diverso rispetto alla prima.

di Giuseppe Tramontana - mercoledì 17 marzo 2010 - 2615 letture

Mentre ancora non si sono spenti del tutto gli echi della polemica sulle liste elettorali, una notizia è passata praticamente inosservata, sempre in riferimento alle elezioni regionali prossime venture. Si tratta della sentenza della Corte Costituzionale nr. 4 del 20 gennaio 2010. La sentenza della Suprema Corte ha dichiarato perfettamente costituzionale la norma contenuta nell’art. 4, comma 3 della Legge regionale campana nr. 4 del 27 marzo 2009. Insomma, la norma sulla cosiddetta ‘doppia preferenza di genere’.

Di che si tratta? E’ presto detto. Diamo la parola al legislatore campano: “L’elettore può esprimere, nelle apposite righe della scheda, uno o due voti di preferenza, scrivendo il cognome ovvero il nome ed il cognome dei due candidati compresi nella lista stessa. Nel caso di espressione di due preferenze, una deve riguardare un candidato di genere maschile e l’altra un candidato di genere femminile della stessa lista, pena l’annullamento della seconda preferenza”.

Chiaro? Nelle prossime elezioni regionali i campani potranno indicare non una, ma due preferenze sulla lista, purché la seconda sia a favore di una persona di sesso diverso rispetto alla prima. In caso contrario, la seconda preferenza viene annullata. Perché una previsione apparentemente così bizzarra. E perché la Corte Costituzionale ne sostiene la validità?

Per rispondere a queste domande occorre fare un piccolo passo indietro. Sono abbastanza note le posizione della Corte Costituzionale in materia di ‘elettorato di genere’. Già nel 1995, con la sentenza nr. 422, dichiarò illegittime le norme della legislazione elettorale che introducevano le cosiddette ‘quote’ riservate alle donne. La bocciatura era motivata da un semplice assunto: le stesse quote non si proponevano di rimuovere gli ostacoli che impedivano alle donne di raggiungere certi risultati (nel caso di specie, l’elezione), ma di attribuire direttamente quei risultati medesimi. Insomma, le donne erano trattate in maniera fin troppo privilegiata rispetto agli uomini: non veniva garantita solo l’opportunità di essere eletta, ma direttamente l’elezione, il risultato finale. E ciò mentre, per la Corte, che pur continuava a riconoscere la legge elettorale quale strumento per promuovere la parità di accesso, l’elettorato passivo si configurava come ‘diritto neutro’. In breve, il meccanismo, predisposto in una fase anteriore alla sorgente del medesimo diritto, deve consentire l’uguaglianza dei punti di partenza, delle opportunità appunto, non il conseguimento diretto di risultati di vantaggio.

Bene, lo scorso marzo è stata approvata la legge elettorale della Regione Campania con la previsione, sopra evidenziata, di cui all’art. 4 comma 3. Nel giugno 2009 la Presidenza del Consiglio l’ha impugnata, sostenendone l’illegittimità. In verità, il ricorso tocca vari aspetti della legge medesima, ma per comodità, noi affronteremo solo quello riguardante la materia in esame. Il Governo ha sostenuto, infatti, che la ‘doppia preferenza di genere’ non sia solo una norma antidiscriminatoria, ma una ‘azione positiva’ finalizzata a favorire una parte del corpo elettorale (le donne) piuttosto che un’altra (gli uomini), rappresentando quindi un focolaio di diseguaglianza, in quanto, “presumibilmente ispirata alla idea delle ‘quote rosa’”, si risolve “in una evidente menomazione dell’elettorato passivo e di quello attivo”. In particolare, ne sarebbe stato risultato violato l’art. 3 della Costituzione, poiché la norma avrebbe introdotto “una limitazione disuguagliante” nell’espressione del voto per la seconda preferenza. In altri termini – come sottolinea la Corte – “i candidati appartenenti al medesimo genere o sesso sarebbero ‘discriminati e resi disuguali’ nel momento in cui l’elettore esprime la seconda preferenza.” Inoltre, si è assunto violato anche l’art. 51, comma 1, Cost., in quanto la norma impugnata avrebbe previsto un limite di accesso, legato al sesso, per la seconda preferenza e quindi una “impropria ragione di ineleggibilità. Sotto il profilo dell’elettorato attivo, quindi, l’art. 4, comma 3, della legge campana si porrebbe in contrasto con l’art. 48 Cost., dato che la limitazione di genere per la seconda preferenza renderebbe il voto non libero.”

La Suprema Corte però non è stata però dello stesso avviso. In prima battuta, la Corte ha ricordato come la norma impugnata trovi fondamento nell’art. 5 del nuovo Statuto della Regione Campania, ossia la L.R. 28.5.2009, n. 6 (peraltro non impugnato dalla Governo), che al comma 3 prevede che “al fine di conseguire il riequilibrio della rappresentanza dei sessi, la legge elettorale regionale promuove condizioni di parità di accesso di uomini e donne alla carica di consigliere regionale mediante azioni positive.” In tal senso, allora, la finalità della nuova legge elettorale appare essere dichiaratamente quella di “ottenere un riequilibrio della rappresentanza politica dei due sessi all’interno del Consiglio regionale, in linea con l’art. 51, primo comma, Cost. (…) e con l’art 117, settimo comma, Cost..” Preso atto, quindi, da un lato, che il quadro costituzionale e statutario è ispirato al principio della effettiva parità tra i sessi nella rappresentanza politica nazionale e regionale, ex art. 3 , comma 2 Cost., che impone alla Repubblica di rimuovere gli ostacoli che impediscono di fatto la piena partecipazione di tutti i cittadini all’organizzazione politica del Paese; e, dall’altro, che le donne, in politica, sono effettivamente sottorappresentate, è ragionevole e condivisibile la ricerca di strumenti idonei a promuovere tale partecipazione. Nello specifico, poi, la norma campana non ha fatto altro che predisporre condizioni generali atte a favorire il riequilibrio nell’accesso alla rappresentanza. In questo caso, infatti, non vengono attribuiti direttamente dei risultati (cosa sanzionata dalla sent. 422/1995), ma vengono solo rimossi gli ostacoli alla piena partecipazione. Insomma, si tratta a tutti gli effetti di garantire parità di chances alle liste ed ai candidati nella competizione elettorale (come già stabilito dalla sent. 49/2003).

C’è da chiedersi, peraltro: la norma campana prefigura di fatto un certo risultato elettorale? No, secondo la Corte. Infatti, non ne viene alterata forzosamente la composizione dell’assemblea consiliare, rispetto alle scelte compiute dagli elettori in assenza della norma in oggetto. Infatti, la scelta dell’elettore è meramente facoltativa. Può decidere di avvalersi della ‘doppia preferenza’ solo se lo vuole: non è obbligato a farlo. E nel caso di due preferenze a persone dello stesso sesso, la nullità colpisce solo la seconda, salvando comunque la prima e quindi, sia il diritto di voto sia il diritto di esprimere una preferenza, il quale, in ogni caso, trova il modo di realizzarsi. “E’ agevole di fatti osservare – scrive la Corte – che , in applicazione della norma censurata, sarebbe astrattamente possibile, in seguito alle scelte degli elettori, una composizione del Consiglio regionale maggiormente equilibrata rispetto al passato, sotto il profilo della presenza di donne e di uomini al suo interno, ma anche il permanere del vecchio squilibrio, ove gli elettori si limitassero ad esprimere una sola preferenza prevalentemente in favore di candidati di sesso maschile o, al contrario, l’insorgere di un nuovo equilibrio, qualora gli elettori esprimessero in maggioranza una sola preferenza, riservando la loro scelta a candidati di sesso femminile.” Quindi, il riequilibrio tra uomini e donne viene prospettato come eventuale e possibile, ma non imposto: si tratta di una misura “promozionale, non coattiva.”

In merito alla questione della libertà di voto, di cui all’art. 48 Cost., la Corte osserva come normalmente, l’espressione delle preferenze incontri, in base a disposizioni di legge, delle limitazioni. Anzi, per il suo stesso concetto, possiamo aggiungere, la preferenza implica delle limitazioni. Quanto previsto dalla legge regionale campana, poi, non è certamente lesivo della libertà degli elettori, in quanto il cittadino campano che si reca alle urne può comunque sempre contare su una preferenza e, semmai, ove decidesse di utilizzare la ‘doppia preferenza di genere’, avvalersi anche della facoltà di una seconda scelta. Quindi, a ben guardare, non si tratta di restringimento della facoltà di opzione, ma, semmai, proprio il contrario: lo spettro delle possibili scelte viene allargato. In ogni caso, tengono ad evidenziare i giudici della Corte, il risultato del riequilibrio non sarebbe un effetto della legge, ma delle libere scelte degli elettori. I diritti fondamentali di elettorato attivo e passivo rimangono inalterati. Dal punto di vista dell’elettorato attivo, perché rientra tra le facoltà dell’elettore avvalersi o meno della possibilità della doppia preferenza offerta dalla legge, non riscontrandosi in essa alcuna funzione coattiva; dal punto di vista dell’elettorato passivo, parimenti non si rileva alcuna violazione poiché, in base alla norma censurata, non vi sono candidati più o meno favoriti rispetto ad altri, ma solo una “eguaglianza di opportunità particolarmente rafforzata da una norma che promuove il riequilibrio di genere nella rappresentanza consiliare.”

Infine, rilevato quanto sopra, occorre puntualizzare che, in base a sondaggi effettuati recentemente, quasi nessun elettore campano pare essere a conoscenza di questa nuova opportunità offerta dalla nuova legge elettorale. Quindi, la battaglia, come al solito, si sposta sul campo della promozione della norma e di un suo corretto ed efficace uso. Nel frattempo, la sentenza della Corte Costituzionale ha sortito l’effetto di accendere l’interesse di altri legislatori regionali, sicché, ad esempio, anche i Consigli regionali di Umbria e Puglia, stanno studiando norme simili a quella campana da inserire nelle rispettive leggi elettorali regionali. Di più rosa, pare che ce ne sia proprio bisogno.


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