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Una giornata particolare

Domenica 24 gennaio il Pd è travolto in Puglia, Bologna e Torino. A Milano presenta l’esangue Penati consapevoli tutti che perderà il confronto con Formigoni

di Adriano Todaro - mercoledì 3 febbraio 2010 - 3052 letture

Domenica 24 gennaio. Una giornata strana, per molti versi particolare. Milano è grigia come al solito, in Puglia, invece, soffia una tramontana fredda che si infila fra le sciarpe e i cappotti delle persone in fila per votare alle primarie, quelle primarie dove Nichi Vendola, “gay, comunista e cattolico” ha vinto con quasi il 70 per cento dei voti.

Per il Pd una rovinosa sconfitta. Se c’è una fotografia evidente di questa sconfitta è il clima che si respira in questo partito e i personaggi che si ritrovano il giorno prima delle elezioni, all’hotel Tiziano di Lecce. Per allietare funzionari (tanti) e militanti (pochi), hanno chiamato a cantare Franco Califano il cantante preferito da Alemanno e il gruppo Tiromancino. Sul maxi schermo, scorrono le immagini del “giovane” Francesco Boccia ripreso nel corso di una giornata-tipo con cellulare d’ordinanza sempre in mano, pronto a comunicare.

Intanto canta quello che chiamano “il Califfo” mentre con ritardo arrivano le persone. Le cronache ce li descrivono apatici, senza nerbo, quasi sapessero già di aver perso. Non le rincuora né Enrico Letta né lo stesso Boccia. D’altronde sia Califano che Boccia non hanno nulla da dire. Boccia afferma che “con me il Pd sarà unito e compatto, guiderà la nuova coalizione e assumerà la leadership di un progetto politico nuovo che guarda al futuro”.

Avete capito qualcosa? Vediamo se è più chiaro con qualche domanda diretta: “Nichi candidato del popolo”, gli domandano? “Macché – risponde Boccia –. E comunque l’altro che dice di essere candidato del popolo è Berlusconi”. Ed ancora: “Vendola è una risorsa del centrosinistra quando riesce a lavorare per gli altri. Purtroppo negli ultimi anni c’è riuscito poco. E lavorare per se stessi, per rompere la sinistra, per scindere la sinistra, è un esercizio che alcuni vorrebbero fargli fare proprio da sinistra e che io eviterò con tutte le mie forze”.

Avete capito meglio adesso? No? E allora ecco una frase che chiarisce tutto: “Pretendo – ha espresso Boccia – che le famiglie del San Paolo di Bari non paghino nulla e i benestanti come me e Vendola paghino di più. E, per farlo, occorre aprire le porte della gestione dell’acquedotto pugliese alla competizione tra privati”.

Due giorni prima, nello stesso albergo, c’è Vendola sommerso da giovani e giovanissimi e lui parla di cose concrete, del lavoro, della primavera pugliese, della precarietà, delle difficoltà che trovano giovani e meno giovani. Ma domenica 24 gennaio parla anche in piazza davanti a tanta gente e la prima cosa che dice è che il giorno prima, un ragazzo di 32 anni è caduto da un’impalcatura, parla dell’acqua potabile che deve restare pubblica, dell’ “inferno della precarietà”, dell’esigenza di aiutare “chi cerca non il lavoro, ma un’ora di lavoro”. E parla dei bambini disabili, di sole, vento, diossina, amianto e carbone. Parla di cose concrete, della morte di Stefano Cucchi e degli anziani che spesso “non hanno bisogno di farmaci, ma di parlare con qualcuno”.

Se Vendola vince (ed ora dovrà stare molto attento per non finire nel tritatutto della politica romana), chi perde veramente è Massimo D’Alema. La sua strategia ingegneristica di sconfiggere Vendola e associarsi al partito del mafioso Totò Cuffaro ha fallito. In realtà era una strategia perdente che lui ha voluto, in modo pervicace, percorrere. Le alchimie dalemiane sono da almeno 20 anni perdenti. Lui ha fatto di tutto per non scalfire minimamente il potere berlusconiano, la filosofia di Berlusconi. Ha fatto il risotto in Tv, ha cantato, si è fatto riprendere mentre veleggiava nei mari del Sud. Voleva cambiare la Costituzione con un campione anticostituzionale come Berlusconi, ha tramato per andare al governo senza essere eletto, non ha votato contro lo scudo fiscale (e tante altre vergogne) e ha concesso al presidente attuale del Consiglio le concessioni delle frequenze Tv in cambio solo dell’1 per cento dei ricavi.

Il suo partito, quello che oggi si chiama Pd, lo ha sempre appoggiato. Già 14 anni fa Luigi Pintor, ironicamente, lo aveva definito “la volpe del Tavoliere”. Già 14 anni fa D’Alema lavorava per far diventare piccolo il suo partito, il famoso partito leggero, talmente leggero che sta evaporando. Bersani è stato eletto per costruire un partito radicato nel territorio. In realtà, in tutta questa vicenda, Bersani fa la figura del “pugile suonato”, è stato inesistente, ha lasciato mano libera a personaggi come D’Alema e il suo sodale Nicola Latorre. Dice Bersani: “La popolarità di Vendola ha oscurato la proposta del Pd che non era contro Vendola ma lo comprendeva e al tempo stesso si preoccupava di favorire la convergenza di tutte le forze di opposizione in un percorso alternativo alla destra”.

Ora si afferma questo, ma ieri Vendola era dileggiato, disprezzato, spesso irriso. Sino a qualche giorno prima della vittoria di Vendola, D’Alema affermava che “Vendola è rimasto inchiodato al suo ruolo locale e ha fatto un errore politico che ora può diventare un disastro”, ed ancora: “Non voglio immaginare cosa farebbe Vendola se vincesse e dovesse cercare compagnia dopo aver sfidato tutti in solitudine”. Una solitudine del 70 per cento, ma ininfluente per un tipetto come D’Alema: un politico, continua, “deve capire quando è il momento di fare un passo indietro”.

Bella frase, ad effetto. Lui, però, da politico passi indietro non ne fa. E cade, nonostante l’incapacità evidente e l’ambizione sfrenata, sempre in piedi. Il giorno dopo la vittoria di Vendola, Massimo D’Alema è stato nominato, all’unanimità, presidente del Copasir, il Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica. Auguri bipartisan alla “volpe del Tavoliere”, al “baffetto velista”. Qualcuno penserà che alla fine ce ne siamo liberati. Ma non è così. Appena eletto D’Alema ha dichiarato che “Nulla vieta ad un presidente di questo organismo, ovviamente nel rispetto dei compiti istituzionali, di poter continuare a svolgere il proprio ruolo di esponente politico dell’opposizione”. Continuerà, per molti anni ancora, a fare disastri.

Ma domenica 24 gennaio ci sono stati altri eventi importanti che hanno visto al centro ancora una volta la politica deludente del Pd. A Torino si sono riuniti quelli del “Sì Tav”. Doveva essere una manifestazione che andasse a contrastare la marcia dei 40 mila dei “No Tav”. Si sono ritrovati in circa 800 nella “sala gialla” del Lingotto, la stessa sala dove Walter Veltroni, l’americano, era partito per conquistare la segreteria del Pd dopo aver giurato che se ne sarebbe andato in Africa ad aiutare i bambini poveri. Dovevano esserci anche gli esponenti del Pdl che, però, si son ben guardati dal farsi vedere. E così Chiamparino e soci hanno parlato ai funzionari di partito, consiglieri d’amministrazione delle partecipate, segretari di unità di base, insomma il ceto politico. I cittadini non hanno partecipato. Pensate che questo insegnerà qualcosa ai dirigenti di questo partito? No di certo. Imperterriti continueranno a dire di sì a questa opera inutile e dispendiosa.

A Bologna, invece, si è dimesso il sindaco Flavio Delbono. E’ un altro “prestato” alla politica che di mestiere fa il professore universitario. Si è dimesso per le note vicende e perché “per me – sottolinea Delbono – Bologna viene prima di tutto”. Bene, bel gesto e bella frase. Però, secondo l’accusa dei magistrati, c’è di mezzo un rimborso per una missione all’estero quando invece era in vacanza, uno strano Bancomat di proprietà di un suo amico che usava la sua ragazza e questioni legati ad appalti nel campo della sanità. Per uno “prestato” alla politica, bisogna dire che ha capito bene come funzionano le cose. E’ stato sindaco solo 7 mesi. Questa vicenda è paradigmatica. Con le dimissioni di Delbono (che spero sia prosciolto dalle accuse) crolla completamente l’anomalia bolognese, la diversità.

Anche qua i dirigenti del Pds prima e del Pd poi ce l’hanno messa tutta. Oggi Bologna non è più “diversa” è come le altre città amministrata da personaggi che cadono per l’insipienza o con l’accusa di disonestà. Bologna ha avuto grandi sindaci, da Giuseppe Dozza a Renato Zangheri, da Guido Fanti a Renzo Imbeni. Poi la decadenza e non solo perché, nel 1999 è arrivata la destra di Giorgio Guazzaloca, ma perché sono arrivati i nuovi rampanti, i manager delle cooperative che nulla sapevano e sanno dei “Probi pionieri di Rochdale, sono arrivate le privatizzazioni in campo ospedaliero e scolastico, i licenziamenti dei precari nelle scuole e il finanziamento alle scuole private. E con il paracadutato Sergio Cofferati, uno che con Bologna non c’entrava nulla, sono arrivati anche le retate, la guerra ai nomadi, ai poveri, ai centri sociali. Con Cofferati si è anche detto no alla costruzione di una moschea. Quando se n’è andato i bolognesi hanno tirato un sospiro di sollievo. D’altronde non lo vedevano mai, neppure in Consiglio comunale tutto preso com’era da una grande passione per una ragazza e per il figlio. Una figura, quella di Cofferati, scialba. Un sindaco inutile.

Ora è la volta di Delbono. E dopo di lui? Il povero Bersani ha tanti problemi da risolvere. In tutte le regioni dove il 28 marzo si andrà a votare, ci sono problemi. Tutti litigano con tutti. Tutti hanno a cuore il loro posto e non le esigenze degli elettori. Sarà dura. Una delle regioni dove però non ci sono problemi è la Lombardia. Candidato forte di sinistra? Ma và! Il candidato che fronteggerà Roberto Formigoni è quel Filippo Penati che è stato battuto alla Provincia. Lo sanno tutti che perderà. Lo sa lui, lo sa Bersani, lo sa Formigoni e lo sa la Compagnia delle Opere. Formigoni se lo mangerà in un sol boccone.

Possibile che in tutta la Lombardia non ci fosse un altro candidato da spendere? Certo che c’era. Ma se poi vinceva? Penati ha detto che non vuole correre con i partiti della falce e martello. Ha fatto due conti a tavolino e se questi non prendono il 3 per cento sono fuori e qualche consigliere in più lo prende lui. Sta all’opposizione per un po’ di anni, tranquillo. Non disturba troppo cooperative e Compagnia delle Opere e poi fa il grande salto in nazionale. Miope e superfluo.

Basta. Domenica 24 gennaio è stata proprio una giornata particolare. Leggo anche che il Milan ha perso, ma non m’intendo di calcio e quindi non so se questa sconfitta ha valenza politica. So, però, che anche per me – anche se è un fatto tutto privato – è stata una giornata particolare. Ho compiuto gli anni e le notizie che arrivavano dalla Puglia sono stati un bel regalo. Anche se non faccio parte di nessun partito.


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