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Una Sconfinata Giovinezza. Un film di Pupi Avati

di Dario Adamo - mercoledì 13 ottobre 2010 - 4285 letture

L’amore è un sentimento che, inevitabilmente, si trasforma con il passare degli anni. All’attrazione totalizzante che riempe la vita di coppia da giovani, facendo germogliare lentamente una consapevolezza via via più matura del sentimento, si giunge, nell’arco di una vita, a definire con chiarezza cosa significhi stare accanto a una persona. E così che, nei momenti più difficili e nella malattia in special modo, l’amore può dimostrarsi anche la migliore terapia al mondo e in assoluto il farmaco più efficace.

E ‘la storia di un amore sconfinato, come sconfinata è la giovinezza del suo protagonista maschile, quella dell’ultimo film di Pupi Avati. Lino, tra le firme più importanti della redazione sportiva del Messaggero comincia a manifestare i primi sintomi dell’alzheimer ad esordio precoce a poco più di cinquant’anni. Chicca, sua moglie, diligente professoressa di Filologia Medievale all’Università Gregoriana di Roma, inizialmente non può che sperare che si tratti di semplici cedimenti della memoria dovuti allo stress e alla stanchezza. Dopo accurati esami specifici la realtà si manifesta in tutta la sua devastante durezza: Lino regredirà progressivamente fino a tornare bambino e ai luoghi di quell’età vorrà tornare anche fisicamente. E lo farà, con lo stesso spirito di devozione profonda della moglie intenzionata a prendersi cura di lui come del figlio che non ha mai avuto, per amore.

Superata la leziosità caciarona de Gli amici del Bar Margherita e dopo il tentativo di una riflessione più seria sulla corruzione morale di certa società italiana ne Il figlio più piccolo, il regista bolognese Pupi Avati volta ancora pagina e realizza un film tanto ambizioso quanto difficile, intriso più delle altre volte di autobiografismo (nomi, luoghi e situazioni rilevate dai suoi ricordi giovanili) per parlare al suo pubblico delle implicazioni di una delle malattie più diffuse nel mondo (seicentomila i malati di Alzheimer in Italia oggi) sull’equilibrio di una coppia e, per estensione, di una famiglia moderna.

Pur avvalendosi della collaborazione di attori adeguati al ruolo che devono interpretare (Fabrizio Bentivoglio forse la migliore scelta che poteva essere fatta, Francesca Neri una buona comprimaria) il film sembrerebbe un’operazione (come detto, difficile) riuscita solo in parte: al peso emotivo della storia, tutto sommato abbastanza convincente e intensa, valida sotto molti punti di vista, forse sarebbero dovute corrispondere scelte stilistiche più efficaci e calzanti: una regìa qui e là più controllata, un accompagnamento musicale meno esasperato, soprattutto in certi punti del racconto, e una fotografia complessivamente più omogenea.

Prolificità non sempre significa rigore: non siamo dalle parti di Woody Allen e forse senza l’(auto?)imposizione del ragguardevole impegno di sfornare un film a stagione potrebbe venir fuori qualcosa di più curato, meglio strutturato e, tutto sommato, più completo. In fondo non è mai troppo tardi per cambiare le proprie abitudini.


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