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Un paese civile?

Un immigrato "cade" da una finestra di una caserma e un ragazzo incensurato si "suicida" in un carcere di massima sicurezza. Attendiamo verità e giustizia

di Adriano Todaro - mercoledì 12 novembre 2008 - 4028 letture

Ancora morte. Ancora carcere. Ancora persone morte mentre erano in custodia dallo Stato. Morti assurde come quella di Marcello Lonzi, 29 anni, Francesco Aldrovandi, 18 anni, Aldo Bianzino, 43 anni e di tanti altri che neppure conosciamo i nomi e che giornali e tv non riportano perché riguardano persone senza potere. Meglio portare l’ultima cretinata detta a “Porta a porta” dal sottosegretario di turno. Morti di cui difficilmente conosceremo i responsabili, indagini che non fanno chiarezza, anche se i cittadini hanno il diritto di conoscere, di sapere come le istituzioni di questo nostro Stato trattano le persone arrestate. Due casi, due persone morte, oscuramente.

Il primo caso viene da Genova e ha come protagonista Aufi Farid, detto Fabio, 46 anni, algerino. Secondo la versione dei carabinieri, è arrestato dopo un borseggio e, sempre secondo i carabinieri, ha precedenti per omicidio e risulta positivo ai test della cocaina. La versione ufficiale dice che Farid si è lanciato dalla finestra della stazione dei carabinieri della Maddalena, a Genova, ad un passo dalla famosa via del Campo, non per suicidarsi, ma per fuggire.

Molto diversa la versione della moglie italiana, Sandra e degli amici algerini. I due hanno un bambino di poco più di un anno e il 6 novembre scorso, si recano in trattoria a mangiare. Alle 14,30 Farid è fermato dai carabinieri e alle 19,30 era già morto, sull’asfalto. Cosa è successo in queste 5 ore? Perché è stato tenuto in caserma così tanto?

Queste le domande che si sono fatti un po’ tutti quelli che hanno partecipato ad una manifestazione sin sotto le finestre dei carabinieri da dove è “caduto” Farid. I manifestanti hanno parlato, dopo 39 anni, di un altro “omicidio di Stato” riferendosi alla morte dell’anarchico Giuseppe Pinelli. Sulla caserma dei carabinieri una scritta con il pennarello: “Davanti a questa caserma è morto Farid Aufi, volato dalla finestra 39 anni dopo Pinelli. Chiediamo verità e giustizia”.

Sempre secondo la versione dei carabinieri, Farid era ammanettato dietro. Per fargli firmare un modulo multilingue, gli avrebbero messo le manette davanti e mentre un carabiniere stava riponendo i moduli in una scrivania, Farid si è divincolato. La finestra era aperta ed è precipitato. “L’unica cosa che ho capito – dice la moglie Sandra – è che avrebbe avuto tutte e due le mani legate, ma mentre cadeva una manetta si sarebbe sfilata da una mano”. Farid viveva a Genova da 25 anni.

Il secondo caso viene da Cattolica. Un ragazzo di 26 anni, Niki Aprile Gatti, incensurato, viene stranamente tradotto in un carcere di massima sicurezza. Dopo tre giorni muore. Secondo le fonti ufficiali si è suicidato.

Questa è una vicenda che ha dell’incredibile solo per le persone che non hanno mai visto un carcere e che partono dall’assunto che se uno è in galera è perché ha fatto qualcosa di male. Seguiamo questa vicenda che è stata denunciata dalla madre del ragazzo con una lettera al blog di Beppe Grillo.

Il ragazzo è arrestato il 19 giugno scorso a Cattolica. Da quella data, la madre, Ornella Gemini, non ha più notizie del figlio nonostante i tentativi di parlargli o di portargli i vestiti di ricambio. Il ragazzo viene arrestato per un’ipotesi di reato e, quindi, era in custodia cautelare. Secondo la versione ufficiale è associato alle carceri di Rimini e, il giorno dopo, spostato nel carcere di massima sicurezza di Solliciano, in provincia di Firenze, per essere interrogato dal magistrato. Secondo quanto afferma la madre, invece, il figlio non è mai passato dal carcere di Rimini ed è subito inviato nel carcere di Solliciano. E qui c’è la prima stranezza. Perché mai un ragazzo incensurato deve andare in un carcere di massima sicurezza?

Il tutto parte dal fatto che il figlio della proprietaria dell’azienda per cui il ragazzo morto lavorava, è arrestato. Questa signora prega Niki di andare dall’avvocato per capire le motivazioni dell’arresto. Niki si reca dall’avvocato, a Cattolica, e quando esce dal portone, è arrestato. Da quel momento, sempre secondo Ornella Gemini, non ha più contatti con la famiglia. La madre di Niki viene a conoscenza dell’arresto solo il giorno dopo. Telefona all’avvocato dell’azienda, Marcolini, il quale afferma che Niki, era sì stato arrestato, ma neppure lui sapeva la motivazione e che era necessario attendere l’interrogatorio.

Da questo momento parte una vicenda kafkiana, un girone infernale in cui ci sono pressioni per cambiare avvocato, computer sequestrati, intercettazioni telefoniche. Intanto Niki è sempre a Solliciano dove si toglie la vita dopo tre giorni, secondo la versione ufficiale alle 10. Il 118 viene chiamato alle 11,15. Seconda stranezza. Perché così tardi?

I verbali dei due compagni di cella di Niki sono discordi. Uno chiede all’altro: “Niki dov’è? Niki è andato ai passeggi” (l’ora d’aria-Ndr). Nella deposizione dell’altro detenuto alla stessa domanda, risponde: “Niki è andato in bagno a lavare i panni”. Qual è la versione esatta? Dov’era realmente Niki? Un verbale di un agente di custodia dice che “Niki discorreva con me, era molto sereno. Mi diceva quando mi interrogheranno di nuovo?”. Secondo l’agente questo colloquio avviene alle 10. Ora del decesso. E’ possibile questo? Com’è possibile che una persona “serena” nello stesso momento in cui fa trasparire questa serenità, si uccida?

Noi non sappiamo cosa sia realmente avvenuto a Solliciano. Non sappiamo ancora quali possano essere le accuse al giovane Niki. Ma di qualunque reato possa essere accusato, lo Stato ha il dovere costituzionale di custodire l’arrestato e di garantirgli la vita. Lo Stato ha il dovere di perseguire chi umilia le persone sotto custodia, chi infligge sofferenze fisiche e psichiche ai detenuti proprio perché la detenzione è un momento particolare dove il detenuto è in una condizione psicologica d’inferiorità. Qualunque sia la colpa di Niki − se c’è colpa − i familiari hanno il diritto di sapere le motivazioni dell’arresto.

Farid e Niki sono morti mentre erano sotto tutela dello Stato. Ma è bene ricordare che in Italia non c’è, da tempo, la pena di morte. Una moglie e una madre attendono verità e giustizia.


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