Un nero deserto subentrò a un’irrigua vallata suburbana...
Verità e menzogna nell’ultimo romanzo di Maria Attanasio "Il falsario di Caltagirone" , pubblicato da Sellerio
Maria Attanasio, Il falsario di Caltagirone. Notizie e ragguagli sul curioso caso di Paolo Ciulla, Sellerio, Palermo, 2007
“Un nero deserto subentrò a un’irrigua vallata suburbana, quando il 9 giugno del 1669 una bocca effusiva si aprì alle porte di Catania; gigantesche fiumare di lava, scendendo dall’altura di Nesima, lambirono e oltrepassarono il Castello Ursino, antica vedetta federiciana sul mare, che dopo quell’eruzione si ritrovò lontano due chilometri da esso. Qualche decennio dopo su quella desertica altura si era già delineata una mulattiera, che da lì a poco diventerà rotabile, e nel 1918 – la città da tempo ormai traboccava dalle sue mura – un ampio viale, dedicato dal sindaco Giuseppe De Felice a Mario Rapisardi, vate di carducciani furori morto qualche anno prima. Ai suoi margini sparse case, e qualche stradina laterale che dopo pochi metri si perdeva tra le sciàre. In una di esse – tinteggiata di rosa e rientrata rispetto alla strada – nella parte più periferica e solitaria del viale, abitava uno strano individuo di mezza età che si faceva passare per professore in pensione, ma che tutti indicavano come il «mavaro»”.
E’ la prima pagina del nuovo romanzo di Maria Attanasio,Il falsario di Caltagirone, col quale la scrittrice tocca i vertici della sua arte di narratrice e la letteratura italiana ritrova il respiro della storia, personaggi indimenticabili e pagine di vera poesia.
Sono affermazioni impegnative e per questo ho voluto farle precedere dalla trascrizione dell’inizio del romanzo, che ci mette subito nella storia e ci fa subito assaporare il linguaggio e lo stile di Maria Attanasio, narratrice e poeta che ha messo al servizio di questa ricostruzione, tra storia e invenzione, della vita di Paolo Ciulla, tutto lo scrupolo e la passione della ricerca storica ma soprattutto tutta la sapienza e l’amore per la parola che un poeta può avere.
Il battito di tutto il romanzo poi è lo stesso che possiamo già vedere in questo assaggio: paesaggi e città, destini individuali e collettivi iscritti nella storia e nei luoghi.
La storia: Paolo Ciulla era un falsario, passato alla leggenda per la perfezione con cui imitava le banconote e per la generosità con cui le distribuiva a chi ne aveva bisogno. Questi i due gesti della vicenda che colpiscono la scrittrice e la portano a saperne di più, a cercare tra archivi e biblioteche per scoprire la verità su di lui.
Ma qual’è la verità? E, più in generale, cos’è verità, cos’è menzogna? Se lo sono chiesti in tanti e alcuni – i filosofi Marx, Nietzsche, Freud, per esempio, chiamati anche maestri del sospetto - ci hanno messo in guardia rispetto alle verità assolute e strombazzate a voce alta – le verità della falsa coscienza, quelle che tornano a vantaggio dei potenti, quelle delle varie religioni, che uccidono la vita. Ma oggi dobbiamo diffidare non solo delle verità assolute ma anche di quelli che sono dati come fatti e invece sono delle pure montagne di bugie che però, purtroppo, producono tristi verità. Dagli inesistenti arsenali iracheni di distruzione di massa, che hanno provocato una guerra infinita, alle quotidiane bugie che sentiamo ogni giorno, siamo sommersi dalla falsità o meglio dalle bugie travestite da fatti, da verità.
Notizie e ragguagli sul curioso caso di Paolo Ciulla: questo è quanto ci offre il romanzo, dice umilmente il sottotitolo.
La ricerca della verità non è mai roboante, è sommessa e faticosa ma a noi lettori le notizie e i ragguagli sulla vita di Paolo Ciulla arrivano come indizi di una caccia al tesoro in un territorio affascinante, proprio quello della verità. Entriamo in quei luoghi e in quegli anni che vanno dai fasci siciliani all’avvento del fascismo, tra la fine dell’ottocento e gli inizi del novecento , a Caltagirone, Catania, Roma, Parigi, Buenos Aires.
E in questo mondo la vicenda di Paolo Ciulla trova la sua vera dimensione, che non è la storia e le scarne notizie che la voce popolare e le carte degli archivi ci rimandano – un pittore fallito, un omosessuale, un falsario - ma è quella che scopriamo attraverso l’immaginazione dell’artista. Come il suo falsario riproduce le banconote in maniera perfetta rendendole vere attraverso la sua arte e il suo amore per la bellezza, così Maria Attanasio con la finzione del romanzo sottrae all’oscuramento della storia un personaggio unico e al tempo stesso capace di incarnare il sogno di verità, bellezza e giustizia di molti siciliani. E, a capire Paolo Ciulla, occorre allora immaginarlo, a Roma, dove studiò all’Accademia di belle arti, tra la visita a una mostra e la partecipazione a una riunione in cui parlava Anna Kulishoff: “Nel silenzio concentrato dell’uditorio le parole della giovane russa cadevano come gocce infiammate a tracciare la mappa della storia futura: di quel ventesimo secolo che avrebbe cancellato sfruttamento e privilegi; che ormai era alle porte: in Russia, in Francia e anche in Italia contadini, operai, intellettuali, erano già in cammino verso la rivoluzione”.
Perché “Romanzo non vuol dire bugia. Spesso la vita è più imbrogliona di un romanzo”, dice Paolo Ciulla durante il processo. Perché c’è tanta più verità nel romanzo e nell’arte - in questo romanzo e nella vita di Paolo Ciulla, nonché nelle sue banconote - di quanta siamo abituati a vederne in giro.
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Non capisco se era meglio la vallata suburbana o se è da preferire il nero deserto: in ogni caso il concetto sprizza ottismo sia in un’ottica passata che in quella proiettata verso il futuro.