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Un mondo senza donne

Un percorso attraverso tre libri: David F.Noble, Un mondo senza donne: La cultura maschile della Chiesa e la scienza occidentale. Henry Chadwick, Agostino. Jostein Gaarder, Vita brevis: Lettera di Flora Emilia ad Aurelio Agostino.

di Pina La Villa - giovedì 18 maggio 2006 - 8416 letture

David F.Noble, Un mondo senza donne. La cultura maschile della Chiesa e la scienza occidentale, Bollati Boringhieri, 1994

Henry Chadwick, Agostino, PBE, 1989

Jostein Gaarder, Vita brevis. Lettera di Flora Emilia ad Aurelio Agostino, Longanesi & C., 1998

La cattedrale di Ely “La cattedrale inglese di Ely, a nord di Cambridge, è una vecchia abbazia che risale al secolo VII. Sulla prima fila di banchi sono oggi posati cuscini ricamati che raccontano silenziosamente la lunga, illustre storia di questo centro monastico. Ogni cuscino reca il nome di un abate, a cominciare dalla fondazione dell’abbazia. Colpisce immediatamente un fatto sorprendente: i primi abati erano in realtà tutte badesse, e nel numero figura la fondatrice stessa dell’abbazia, Etelreda. Il cuscino successivo reca il nome della sorella di Etelreda, Sexburga, e lo seguono cuscini ricamati con i nomi della figlia di Sexburga, Ermenhilda, e della figlia di questa, Werburga. C’è quindi un gigantesco pilastro, a simboleggiare tacitamente una frattura storica nei rapporti di genere (benché la tradizione voglia che parecchie altre badesse succedessero a Werburga). Cronologicamente, il pilastro coincide grosso modo col periodo delle invasioni vichinghe del secolo IX, durante il quale l’abbazia fu distrutta (870). Sull’altro lato del pilastro, i cuscini continuano, ma ora recano esclusivamente nomi di abati”(Noble,p.21).

American Chemical Society Nel 1880 venne organizzato un “Banchetto misogino dell’American Chemical Society”. Vi parteciparono i membri maschi dell’associazione (una delle prime e più ampie società scientifiche professionali). Secondo i verbali della riunione “la serata trascorse in canti, battute e storielle a spese delle donne. Uno degli ultimi testi recitati fu - e la scelta era indubbiamente calzante - La tentazione di Sant’Antonio. Con tali versi questi scienziati, questi magnifici uomini nuovi, tradivano le loro ascendenze monastiche e il loro perdurante retaggio.

“Molti sono i diavoli che percorrono questo mondo -
Diavoli grandi e diavoli piccoli;
Diavoli smilzi e diavoli tozzi;
Diavoli col corno e diavoli senza corno;
Diavoli astuti che portano le code arricciolate all’insù;
Diavoli spavaldi che le portano tutte spiegate;
Diavoli mansueti e diavoli che si azzuffano;
Diavoli seri e diavoli ridenti;
Demonietti per la chiesa e demonietti per la baldoria;
diavoli rozzi e diavoli garbati;
diavoli neri e diavoli bianchi;
Diavoli sciocchi e diavoli accorti -
Ma una donna che ride e ha due occhi lucenti
E’ il Diavolo peggiore di tutti."

I protagonisti della scienza occidentale

La storia raccontata da Noble si snoda fra questi due fatti che con la loro evidenza ci fanno comprendere come la scienza occidentale sia nata e cresciuta all’interno di un mondo maschile e quindi di come abbia sistematicamente escluso l’apporto di una razionalità diversa, l’apporto di una metà del genere umano.

Del resto, sviluppandosi all’interno di un mondo che doveva mantenersi saldo e integro e giustificare questa esclusione, la scienza si è sviluppata non solo senza ma anche contro le donne.

Non è stato sempre così, come dimostrano i cuscini della cattedrale,né la storia è stata così compatta. Non a caso la maggior parte del libro è dedicata alle origini, cioè a cercare di capire come è successo che da un mondo con le donne - che era anche quello del cristianesimo delle origini, con fenomeni come i monasteri doppi - si sia passati a un mondo senza donne, quello della scolastica medievale, i cui caratteri confluiscono poi nelle accademie rinascimentali fino a improntare anche la storia recente delle università e delle associazioni professionali.

Seguendo il racconto di Noble ci rendiamo conto però che l’esclusione delle donne dalla scienza è solo un aspetto dell’evoluzione della chiesa cattolica in occidente.

La Chiesa cattolica costruisce la sua struttura, i suoi dogmi, la sua organizzazione nel corso dei primi secoli dopo cristo. E’ una storia affascinante, sulla quale poco sappiamo, soprattutto in Italia.

Per ricostruirla infatti Noble si avvale degli studi specialistici di storici che per lo più sono americani e francesi.

E’ la storia di come la chiesa cattolica ha costruito il suo potere mentre entrava in crisi quello imperiale. E’ la storia di come la chiesa,nel costruirsi, abbia seguito un modello, quello dell’esercito romano. E l’esercito, si sa, era costituito solo da uomini.

Non fu un processo facile né tantomeno veloce. Ci sono voluti almeno una decina di secoli. Ma su questi dieci secoli di storia è calata la censura, visto che la stessa storia, non solo la scienza occidentale, è stata raccontata dalla chiesa.

“Malgrado seicento anni di decreti, canoni e castighi sempre più severi, i chierici latini continuavano a fare più o meno illegalmente ciò che i loro omologhi greci erano incoraggiati a fare dalla legge stessa: ossia vivevano con le loro mogli e si costruivano le loro famiglie”.(Barstow).

Fu solamente nei secoli XI e XII, sulla scia delle riforme gregoriane, che in Occidente il matrimonio ecclesiastico venne risolutamente scoraggiato.

Si apre quindi, col libro di Noble, un campo sterminato di studi ancora da fare, ma soprattutto un campo di studi sterminato da divulgare. (Gli studi di cui Noble si avvale sono, soprattutto per quanto riguarda la scienza e la tecnologia, quelli di Sally Hacker, Cynthia Cockburn, Ursula Franklin, Sandra Harding, Evelyn Fox Keller e Autumn Stanley, ma anche studiosi di Agostino come Chadwick e Brown. Pochi gli italiani.)

Puntuale, ricco di citazioni e di riferimenti a questi e ad altri studi sui secoli in questione, sulla chiesa e sullo sviluppo della scienza, il libro di Noble consente di enucleare alcuni caratteri della scienza occidentale, che possono essere utili per la critica a questo modello di razionalità e per immaginare nuovi sviluppi della scienza e del pensiero del nuovo millennio.

Abelardo ed Eloisa Una delle storie che racconta, anzi che Noble ci ri-racconta, è, da questo punto di vista, emblematica: la storia, famosa, di Pietro Abelardo e di Eloisa, all’epoca in cui le riforme gregoriane riaffermarono con forza il celibato dei preti.

Pietro Abelardo era un giovane nobile bretone, che rinunciò al suo rango e alla vocazione cavalleresca per la battaglia intellettuale e divenne uno dei leggendari dotti erranti dell’epoca(XII secolo).

Eloisa era la brillante e dotta nipote di Fulberto, uno dei canonici di Notre-Dame. Educata ad Argenteil si era guadagnata già una reputazione di grande dottrina quando Abelardo arrivò a Parigi. L’ambizioso zio la trasferì a Notre-Dame, forse per combinare un matrimonio vantaggioso, e provvide alla continuazione dei suoi studi assumendo come precettore Abelardo. Come Abelardo ci racconta quindici anni dopo, egli aveva i suoi disegni: attirato dai talenti della ragazza e reso imprudente da un egotismo ch’era il frutto della fama, aveva deciso di esporre la sua onorata castità alle fiamme della lussuria. In breve tempo, gli studi cedettero il passo agli amoreggiamenti, e poi questi alla passione. Non passò molto che gli amanti vennero scoperti; e ben presto emerse che avevano concepito qualcosa di più di semplici idee. Abelardo organizzò la fuga di Eloisa da Parigi, e la sistemò nella sua tenuta di famiglia in Bretagna. Qui la ragazza dette alla luce un bambino, Astrolabio (così chiamato dallo strumento astronomico che simboleggiava la nuova, vigorosa cultura europea).

Per placare la furia dello zio della ragazza e siccome per i maestri era previsto il celibato, Abelardo optò per un matrimonio segreto. Eloisa non era convinta la accettò. Ma lo zio aveva vendicativamente diffuso la notizia del loro matrimonio, Eloisa la smentì e subì maltrattamenti a casa dello zio. Allora Abelardo per proteggere Eloisa la fece scappare e rifugiare ad Argenteil. Fulberto si sentì doppiamente offeso e organizzò la vendetta. Una notte, mentre dormiva, Abelardo fu aggredito da alcuni uomini del canonico e castrato. Se la sua storia d’amore era stato uno scandalo la sua mutilazione fu un evento sensazionale e terribile. In preda alla vergogna e alla disperazione Abelardo si fece monaco e si ritirò nel chiostro carolingio di Saint Denis, mentre Eloisa, sempre riluttante, accettò anche lei di ritirarsi in convento.

Nella tragedia di Eloisa e Abelardo, raccontata da quest’ultimo nella Historia calamitatum e da Eloisa nelle Lettere, si compendia lo scontro fatale tra la promessa latente e la dura realtà del risveglio del secolo XII. Il tenace persecutore di Abelardo, Bernardo Di Chiaravalle, era un perfetto esemplare dell’ethos e dell’eros maschili propri della cultura ecclesiastica di impronta ascetica.Egli condannò Abelardo come “un abate senza disciplina, che litiga con i ragazzi e fa lega con le donne”. All’opposto, Abelardo ed Eloisa incarnavano lo spirito di una nuova epoca di amore e sapere, oltre che la rinascita di un’antico ideale cristiano di cameratismo spirituale e intellettuale tra uomini e donne. Per esempio, come ha suggerito Friedrich Heer, nel suo rapporto con Eloisa Abelardo “presenta ai suoi contemporanei, monaci e maschi (...) la donna come tipo dell’umanità nuova”. Con il suo esempio oltre che con la sua etica dell’intenzione, Abelardo “cerca e chiama la gioventù europea, e la donna. Egli le chiama perché vede in esse persone nuove, che osano pensare con più audacia e amare con più passione”. Come ha recentemente sottolineato James Bruntage, “tra i filosofi e i teologi del periodo (...) Pietro Abelardo fu quasi solo nel negare l’intrinseca peccaminosità delle relazioni sessuali e nel sostenere che il rapporto sessuale è a un tempo naturale e benefico”, come chiarisce la sua etica, spiccatamente antiagostiniana. Che tale fosse (in una versione anzi molto più ardente) anche l’atteggiamento di Eloisa, risulta chiaramente dalle sue lettere. Inoltre, quando cessarono di essere amanti, i due modellarono il loro rapporto, tardivamente casto, su quello di Girolamo con le sue protettrici, allieve e compagne. E, come ha notato Heer, “tutto ciò doveva urtare particolarmente i “monaci”, i professori del suo tempo [di Abelardo]. Per essi Dio era soprattutto l’uomo maschio, e lo spirito, il pensiero, un affare che non doveva essere lasciato alle “mani sporche” della donna impura”.

La castrazione di Abelardo, e la tragica separazione della coppia, durata per il resto delle loro vite, segnarono dunque drammaticamente i confini della nuova concezione ecclesiastica del sapere. Il messaggio non poteva essere più chiaro per quei chierici indocili che osavano frequentare le donne; e i futuri scolastici impararono la lezione. Nel corso della sua vicenda con Eloisa, Abelardo aveva violato tre tabù della cultura clericale: il tabù contro il rapporto sessuale, il tabù contro il matrimonio e il tabù contro il cameratismo (ancorché casto) con le donne.

Ma se Abelardo soffrì per aver violato le norme dei chierici, fu in realtà sulle spalle di Eloisa (e con lei, per estensione, di tutte le donne) che gravò il fardello della nuova concezione del sapere.

Certo Abelardo passò grossi guai, coronati dalla condanna pronunciata su insistente richiesta di Bernardo di Chiaravalle . Ciò nondimeno il monaco Abelardo, la sua castità ormai garantita, potè riprendere a insegnare e a scrivere, e perfino tornare a insegnare a Parigi. Anzi, in una fase successiva, e ricordando l’autocastrazione di Origene, l’offesa patita gli parve più un beneficio che una maledizione: essa simboleggiava non soltanto il suo castigo, ma anche la sua perfezione,permettendogli - ora che si trovava al di sopra del desiderio e del sospetto - di perseguire più efficacemente la sua meta devota. Abelardo divenne egli stesso un ardente campione del celibato, e nelle sue lettere ad Eloisa risuona un tardivo orientamento monastico.

Intanto Eloisa, che secondo tutte le testimonianze non gli era inferiore sul terreno intellettuale, si trovò condannata al relativo isolamento del convento. In una condizione che le negava ora anche l’accesso alla porta di servizio (ossia attraverso Abelardo) ai centri del sapere (interamente maschili), fu separata, contro la sua volontà, dall’amante, marito e maestro, dal suo bambino (la presenza di figli maschi non era più consentita nelle case femminili), e perfino dalla sua sessualità. Come le sue lettere attestano con tanta vivezza, essa non prese il velo per sua scelta, ma per deferenza verso Abelardo. Con una impressionante sincerità e una immutata passione, continuò a mantenere un atteggiamento che suonava composta sfida della sterile devozione di lui.

Si è tentati di fantasticare su quel che sarebbe potuto accadere se Abelardo fosse rimasto sotto l’influenza di questa donna straordinaria. Forse, chissà, la congiunzione coniugale dei loro talenti avrebbe potuto imprimere un tono differente all’emergente concezione del sapere. Ma la dominante cultura del celibato, cui Abelardo era ora così singolarmente appropriato, offriva a Eloisa soltanto l’esclusione e un perpetuo strazio. Il vero fardello della sciagura cadde sulle sue spalle. Se lui era stato in effetti, semplicemente “normalizzato”, lei era stata buttata via come uno straccio.

In un manoscritto miniato duecentesco dell’Historia calamitatum di Abelardo, appartenuto a Petrarca, il primo capolettera del testo conteneva un ritratto della sventurata coppia, offrendoci così l’unica raffigurazione medievale di Abelardo. Ebbene, il volto di Eloisa è stato grattato via.

Agostino e Flora La storia di Eloisa e Abelardo ci riporta a quella di Sant’Agostino, raccontata da Jostein Gaarder in Vita brevis.

Si tratta di una lettera, che l’autore presenta come manoscritto originario, inviata da Flora Emilia ad Aurelio Agostino. Flora Emilia è la donna con cui Agostino aveva a lungo convissuto, con cui aveva avuto il figlio Adeodato e che aveva abbandonato in Africa nell’ipotesi, caldeggiata dalla madre di Agostino, di un matrimonio conveniente alle ambizioni del figlio, che per questo si era trasferito a Milano, all’epoca di Sant’Ambrogio.

La lettera è un’invenzione ma, alla luce di quanto abbiamo detto fin qui, potrebbe essere vera. Ed è interessante seguire le vicende e la psicologia di Sant’Agostino, quali emergono dal saggio di Chadwick, per capire molte cose sul cristianesimo, visto che Sant’Agostino, assieme a Giorolamo e ad Ambrogio, è uno dei padri della Chiesa. Seguire l’itinerario di Agostino è molto istruttivo per capire come la chiesa ha costruito il suo edificio e ha presentato per dogmi e verità venute dal cielo scelte dettate dalle più immediate contingenze storiche e dalla questione pressante del potere da costruire. Il libro di Chadwick su Agostino è ricco, ben scritto, stimolante. Per quanto dica di non volersi occupare della biografia di Agostino, le parti più interessanti mi sembrano quelle in cui descrive il contesto storico-culturale nel quale avviene la formazione del filosofo. Quel mondo unito dalla dominazione romana e dal Mediterraneo, l’Africa settentrionale, la Sicilia, Milano. Il museo del Bardo a Tunisi ne è la testimonianza.

"Quando Agostino era in vita, tanto il nord quanto il sud appartenevano a un unico mondo e scrivevano e parlavano un buon latino, che gli africani pronunciavano con forte accento regionale. L’Africa settentrionale provvedeva gran parte del grano necessario all’Italia. Il viaggio estivo via mare da Cartagine o da Ippona a Puteoli (Pozzuoli) o a Ostia era breve e veniva affrontato da parecchie navi ogni settimana; i contatti con l’Italia erano frequenti e facili. Il benessere nell’Africa italiana era spesso superiore a quello delle famiglie benestanti italiane, e le province africane avevano un forte spirito d’indipendenza e un gran desiderio di agire senza interferenze esterne.”

Sant’ Agostino va a Milano, grandi strade si aprono davanti a lui. Ma c’è un problema. La donna con la quale sta da circa 11 anni, la madre di suo figlio Adeodato, era in origine una serva. Se fino a quel momento, poiché la condizione sociale di Agostino era quella di semplice professore, la cosa non aveva suscitato scandalo, adesso, con la prospettiva di diventare anche governatore la situazione non è più tollerabile. La madre di Agostino, Monica, suggerisce e la coppia esegue. Si separano. Lei andrà in Egitto(o giù di lì), lui si fidanza con una ereditiera, un’ereditiera che però non ha ancora l’età per sposarsi. Quindi nel frattempo Agostino sta con un’altra donna, che non conterà molto nella sua vita. In realtà con l’amore Agostino sembra aver chiuso. Il fatto è che a Milano Agostino incontrò Ambrogio, i cui sermoni platonici risvegliarono a tal punto il suo interesse filosofico , che cominciò a pensare alla conversione. E s’imbatté anche per la prima volta nella Vita di Sant’Antonio, e attraverso di essa nell’ideale monastico del celibato.

A Milano, Agostino “si unì a un gruppo di giovani, agguerriti carrieristi” e insieme a loro progettò una comunità filosofica. Nel tardo autunno del 388, dopo i funerali di Monica a Ostia , Agostino si converte e, con i suoi amici, tornò definitivamente in Africa, a Tagaste, dove fondò una comunità.

Poco tempo dopo aver fondato la sua comunità monastica agostino entrò in servizio come presbitero, e più tardi come vescovo, della vicina Ippona. Ma conservò in materia di organizzazione ecclesiastica un ideale monastico e quindi trasferì la sua comunità a Ippona e si adoperò energicamente ad allineare la chiesa con la pratica devota di una comunità monastica. Il suo ideale monastico, celibato incluso, fu imposto a un clero che allora era ancora riluttante a questa scelta. Egli però considerava ovvio che i suoi chierici, anche se sposati, non vivessero più con le loro mogli.

In Africa Agostino scrive la maggior parte delle sue opere che sono un documento di come sulle questioni del libero arbitrio, della grazia, della stessa storia le riflessioni di Agostino partivano dalla sua attività di uomo di chiesa, di vescovo che deve risolvere i problemi pratici della sua comunità in formazione. Questo va a lode di Agostino ma a disonore di quella chiesa che ha fatto di lui un santo e delle sue idee delle verità di fede. Dietro i principi che Agostino impone alla chiesa latina non sta solo l’ascetismo monastico ma anche la sua personale, tardiva e quindi più ardente rinuncia alla vita sessuale.

Ma non bisogna soprattutto dimenticare che la difesa del celibato fatta da Agostino, e la sua affermazione della superiorità della verginità sul matrimonio, erano al contempo parte di un’offensiva ideologica contro il clero sposato, con cui gli asceti rivaleggiavano per il potere e le cariche in seno alla Chiesa. Secondariamente, come portavoce di quella che era adesso una religione di Stato, Agostino rappresentava l’autorità non solo ecclesiastica, ma anche imperiale. La sua sostituzione dell’idea del peccato originale, incentrata sulla predestinazione, ai precedenti ideali cristiani di una salvezza da guadagnare attraverso la libera volontà, corrispondeva non soltanto alle sue preoccupazioni personali riguardo all’inestirpabilità della concupiscenza, ma anche alle esigenze dell’autorità costituita.(Noble)

La lettera di Flora Emilia (l’opera di Jostein Gaarder) si inserisce in questo contesto.

“Dopo che fummo strappati l’uno all’altra, ho votato interamente la mia vita alla Verità, così come un tempo tu la votasti alla Continenza. Mi sei ancora caro, sebbene oggi io debba aggiungere che la verità mi è ancora più cara”.

Flora Aurelia scrive ad Agostino dopo aver letto le sue Confessioni. Lo rimprovera per averla abbandonata, certo, ma soprattutto gli rimprovera l’ipocrisia delle sue scelte, ammantate ancora più ipocritamente nel suo scritto. E dalle Confessioni che Flora parte, usando il tono della loro vecchia intimità e complicità e una ironia tagliente e tenera al tempo stesso. Un discorso che vale oggi come unica risposta possibile alle encicliche papali sull’amore e il resto.

Perché mi hai abbandonata? domanda Flora. E si risponde così:

“Oh sì, perché amavi la salvezza della tua anima più di quanto amassi me. Che tempi, eminente vescovo, che costumi!.”

E, più avanti, scrive:

“Quanto alla salvezza della tua anima , auguro ad essa nient’altro che il bene. Ma la vita è breve, e io so così poco. Pensa se non ci fosse alcun regno celeste sopra di noi, Aurelio; pensa se fosse per questa vita che fummo creati!”.

Qualche conclusione La critica alla razionalità occidentale, quella che ha fatto la nostra scienza e la nostra filosofia, ma anche il nostro senso comune e i nostri comportamenti, ha ormai anch’essa una lunga tradizione, almeno a partire da Nietzsche, ma va continuata.

E questi testi mi sembrano tappe utili. Da essi emergono alcuni caratteri precisi di questa razionalità: la separazione fra corpo e mente, l’esclusione dei sensi, oltre che la mortificazione del corpo, la svalutazione della vita. In fondo una cultura della morte.

C’è dell’altro e soprattutto il testo di Noble lo documenta nei suoi vari passaggi: il carattere militaresco dell’organizzazione ecclesiastica e quindi anche dell’ideale educativo, il rapporto col potere, il ruolo del pensiero, non solo femminile, che si è sviluppato ai margini, contro e quasi sempre si è sviluppato in momenti di crisi, in cui si aprivano varchi nella compattezza dell’ordine costituito.


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