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Un mondo sempre più chiuso

Ma davvero l’Internet ha "aperto il mondo"?

di Sergej - martedì 13 dicembre 2016 - 3621 letture

C’è stata una fase in cui il Web ha rappresentato una grande opportunità, una "apertura" - anche in senso libertario, e di opportunità di conoscenze, di condivisione di idee e conoscenze e di buone pratiche. C’è in questa affermazione un bel po’ di idealizzazione: tipica di chi ha superato una certa età e guarda al passato con nostalgia e rimpianto. Chi scrive era giovane negli anni iniziali dell’esplosione dell’Internet: non ancora addentro al sistema di trasmissione "normale" del tempo (il sistema dell’informazione fatto di giornali, redazioni e case editrici; il sistema accademico fatto di università, archivi, negli Stati Uniti anche centri di ricerca e possibilità di accesso a borse di studio pagate da Fondazioni). Abbiamo visto nascere una nuova opportunità, uno spazio (virtuale) nuovo: "che prima non c’era". E’ stato entusiasmante esserci, quando tutti attorno a noi non sapevano neppure quello che stava accadendo, non avevano idea che una scatola con una schermo a tubi catodici potesse connettersi e accedere a biblioteche e pagine senza muoversi da casa.

Sappiamo anche che alla fine degli anni Novanta era già tutto cambiato. Il business si era accorto di questo spazio, e si era riversato nel Web e nell’Internet "per fare affari". Sapevamo che sarebbe accaduto, sapevamo anche che - politicamente - quello spazio di libertà che si era aperto si sarebbe richiuso. Abbiamo continuato a "stare nell’Internet" nonostante tutto. La fascinazione per la tecnologia per noi cresciuti con Star Treck e con il Capitano Harlock, era più forte. Si siamo ritagliati un nostro spazio - attraverso i blog, attraverso il movimento dell’open source e dell’open content.

Passando dal tempo corto "di ciò che avviene" al tempo ormai più lungo dell’Internet che comincia a diventare da cosa occasionale, "incidente" che poteva anche non proseguire come tante cose che non arrivano mai neppure a maturare, a storia (sono le linee che abbiamo cercato di delineare nel cronoWeb), avviene che le giovani generazioni iniziali maturano, diventano progressivamente se non classi dirigenti, classi di produzione. Anche per questa via i "progressi scientifici e tecnologici" diventano dominanti nelle umane società: più per tunover generazionale che per convincimento. L’epistemologia scientifica ne sa qualcosa a riguardo.

E nel frattempo, il processo di privatizzazione dell’Internet, ciò per cui il Web da spazio comune è diventato prima con America online (AOL) e poi con Facebook, spazio privato: "universo" che si impossessa del tempo degli "utenti". Con gli utenti che sono produttori dei contenuti, alimentano il Moloch, felici di dare parole, immagini, emozioni e divertimento.

L’Internet da spazio aperto, spazio che dilatava le possibilità e permetteva l’accesso alle conoscenze, è diventato un mondo sempre più chiuso.

Anche le possibilità di conoscenza si restringono. Nel momento stesso in cui dentro lo spazio privato tu interloquisci solo con quelli della tua cricca (che siano i tuoi "amici"/ conoscenti - niente a che vedere con l’idea sacrale che dell’amicizia hanno i popoli mediterranei; o che siano quelli che la pensano come te) viene a mancare qualsiasi funzione progressiva di Internet. Internet non è più un luogo in cui si impara qualcosa di nuovo, ma in cui quel poco che si sa viene ulteriormente avvalorato.

Su Linkiesta si parla di diverse cose interessanti. Del fatto che esiste una tendenza nelle persone a che i "gusti" personali (la musica che piace, i libri belli che si sono letti ecc.) si blocchino alle esperienze fatte fino ai trent’anni (ma occorre considerare che spesso il processo è bloccato anche dal semplice dato: a quell’età il tempo personale diminuisce perché si deve lavorare e ci si deve dedicare alla famiglia). E che i nuovi "social network" e i siti di diffusione delle informazioni e delle culture non sempre sono fatte, non sono tecnicamente costruiti, per favorire la scoperta del nuovo. Anzi. Nell’articolo viene fatto l’esempio di Spotify.

Ma si pensi al sistema dei "suggerimenti" di Google, per cui - una volta che hai fatto un qualche acquisto da qualche parte sul Web, cominciano ad apparirti chissà come e perché ( :-) ) suggerimenti di acquisto che riguardano quella cosa che hai visto o acquistato. Che poi hai fatto quell’acquisto per conto di qualcun altro, e di quelle bretelle rosa con i disegnini da elefante non te ne frega nulla, questo il sistema non può saperlo.

E persino Amazon, con il sistema dei suggerimenti multipli (sulla base degli acquisti fatti, sulla base di eventuali libri o prodotti che tieni in carrello o nella lista dei desideri) ecc. opera nei fatti un restringimento tautologico, che finisce per far rimanere le persone nel proprio brodo. E’ una tendenza conservativa, ottunditiva nei confronti delle persone considerate come "consumatori" - massa (secondo le sperimentazioni psicologiche collettive iniziate nel Novecento).

Quando potevi aggirarti per le librerie, tra gli scaffali, potevi fermarti, annusare, aprire libri a caso. La libreria era il luogo della scoperta. Non entravi in libreria sapendo già quello che dovevi acquistare, né potevi solo scegliere nell’ambito di un menù ristretto (necessariamente) di una pagina web. Potevi rovistare, e rovistando incontrare l’inaspettato, quella cosa che non avresti mai immaginato potesse esistere e che finora non avevi mai incontrato. E crescere. Aprire alla tua mente (e alla tua vita) altre strade. Cosa fa oggi il menù di un qualsiasi sito di e-commerce?

Aiuto, mi si è ristretto l’Internet? Sarà che invecchio e questo Internet mi piace sempre di meno?



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