Un grazie al manifesto
Da quel 28 aprile 1971 sono passati 50anni che il «quotidiano comunista» ha sempre vissuto pericolosamente. Dalla parte del torto
Pochi giorni fa, il 28 aprile, il quotidiano il manifesto ha compiuto 50 anni di vita. Un anniversario che ha qualcosa d’incredibile considerato le difficoltà che ha avuto in questi 50 anni: senza padroni alle spalle, con poca pubblicità, dilaniato da rotture e distacchi traumatici. Cinquant’anni che rappresentano un pezzo di storia del nostro Paese e del giornalismo italiano. E, anche, un pezzo della nostra vita.
Farò più avanti la storia di questo quotidiano, anomalo in tutti i sensi. Ora voglio solo ricordare cosa portava, quando è uscito, il «quotidiano comunista» (così si autodefiniva il giornale e lo scriveva sopra la testata). Intanto bisogna dire che le pagine del quotidiano erano “disegnate” da un grande grafico, Giuseppe Trevisani. Pagine semplici e austere. Formato lenzuolo, quattro pagine, sei colonne. La testata è molto grande e occupa tutta la larghezza della pagina (38,5 cm.). Niente fotografie.
Il titolo di apertura, del primo numero, a tutta pagina, è un po’ il sommario di quello che il lettore troverà nel giornale: «Dai duecentomila della Fiat riparte oggi la lotta operaia. È una lotta che può far saltare la controffensiva padronale e i piani del riformismo. Corrispondenza dalla prima base rossa di Mao». Poi gli articoli con l’apertura di una corrispondenza dalla Cina di K. S. Karol, lo sciopero alla Fiat, un articolo sulla repressione con 213 studenti denunciati a Roma. Sulla destra, di spalla, il fondo di presentazione del giornale. Titolo: «Un giornale comunista», firmato da Luigi Pintor, fondatore e ispiratore prima del manifesto mensile e poi del quotidiano, considerato uno dei più bravi e chiari giornalisti italiani che era stato dal 1962 al 1965 condirettore dell’Unità, a Roma. Direttore responsabile, invece, Luciana Castellina. Le quattro pagine del quotidiano sono divise per grandi temi, la prima con la scelta degli argomenti principali, la seconda di politica estera, la terza di politica interna e la quarta sul movimento di lotta. Schede esplicative e corsivi completano gli articoli. Costa 50 lire. In quel momento, i quotidiani costano 90 lire.
Il primo numero esce il 28 aprile 1971. Subito si lancia una sottoscrizione che frutta 44 milioni. Il preventivo mensile di tutte le spese è di 32 milioni e 130 mila lire. Dal preventivo mensile delle entrate si vede che il ricavo della vendita di 35.000 copie giornaliere per 26 giorni al mese è di 32 milioni e 760 mila lire. Poiché al momento dell’uscita del primo numero sono stati spesi 23 milioni e 207 mila lire, il nuovo quotidiano parte con una copertura di 22 milioni, appena sufficienti per cercare di resistere. Da quel momento in poi, la richiesta di sottoscrizioni per aiutare il giornale sarà sempre presente negli appelli lanciati dalla direzione del manifesto.
In redazione, oltre a Pintor e Castellina, ci sono Michele Melillo, redattore capo che proviene dall’Unità, Rossana Rossanda, Massimo Caprara, Lucio Magri e Aldo Natoli.
Tra redattori e corrispondenti fissi, una quindicina di persone, così divise, amministrativamente: stipendio mensile 150 mila lire al mese (il minimo contrattuale per i giornalisti negli altri giornali è 274.800 lire lorde) uguale per tutti, esclusi i parlamentari che lavorano gratuitamente; chi lavora a metà tempo, 70 mila lire al mese; i volontari, ovviamente non retribuiti.
Fra i collaboratori spiccano, come detto, K. S. Karol, studioso famoso della Cina e di Cuba e Umberto Eco che firma con lo pseudonimo “Dedalus”.
La tiratura dichiarata del primo numero è di 100 mila copie; la vendita un successo. La tiratura sale e raggiunge infine le 135 mila copie il 1° maggio 1971. In redazione c’è molto entusiasmo e si pensa che l’assestamento del giornale sarà oltre le 35.000 copie preventivate nonché la possibilità di stampare il giornale, contemporaneamente a Roma e Milano. Il 18 maggio la tiratura scende a 90 mila copie e si parla di rese che raggiungono punte del 50 per cento. Tuttavia è ancora realistico l’obiettivo di vendere stabilmente 60 mila copie.
Il bilancio del primo mese è in attivo e il giornale è un po’ una lezione per giornalisti e politici perché dimostra che si può fare un buon quotidiano, a basso prezzo, con notizie che altri non portano. Dopo le elezioni del 13 giugno, arriva l’estate, un momento molto critico per i quotidiani. Le spese crescono ed è necessaria una nuova sottoscrizione. In agosto le vendite sono attorno alle 21 mila copie giornaliere, in settembre risale a 28. Il 29 settembre, il giornale annuncia la «sottoscrizione permanente». La tiratura è di 67 mila copie.
Il consuntivo del 1971 dà un pareggio grazie alle sottoscrizioni. Ma 30 mila copie non sono sufficienti né per resistere né tanto meno per svilupparsi. In dicembre, in concomitanza con l’elezione presidenziale, la vendita risale a 32 mila copie giornaliere.
Dall’11 aprile 1972 il manifesto ha un concorrente. Si tratta di Lotta continua: quattro pagine, 50 lire, la testata rosso fiamma. Il nuovo quotidiano è fatto da un gruppo di giovani guidati da Adriano Sofri, pisano, uno dei capi di questo movimento, che appare ormai il più agguerrito e organizzato tra i gruppetti della sinistra extraparlamentare. Dà la sua firma (sempre per via che non hanno giornalisti iscritti all’Ordine dei giornalisti) Adele Cambria, nel 1956 inviata del Giorno.
Lotta continua, quotidiano, è assai diverso dal manifesto. Gli articoli sono brevi, stampati con un corpo grosso, le foto numerose. Il tono sempre aggressivo e beffardo. In quel periodo il manifesto è in rialzo: la decisione alle elezioni e di presentare come capolista Pietro Valpreda così da farlo uscire da galera, hanno fatto salire le vendite e l’interesse per il giornale. Domenica 30 aprile, Pintor dà le cifre: in marzo e aprile la media è stata di 44 mila copie e 43 mila e il bilancio mostra un avanzo, sia pure piccolo, di un milione e rotti.
Le elezioni però aprono delle crepe perché Lotta continua è per l’astensione e il fatto che Valpreda non raggiunga il quoziente minimo per essere eletto, apre polemiche interne al giornale.
Il manifesto vista la flessione di giugno a 26 mila copie con 5 milioni e mezzo di deficit, prende una decisione realistica e impopolare: porta il prezzo del quotidiano a 90 lire, mantenendo inalterato quello degli abbonati. La decisione suscita polemiche fra i militanti e i lettori, ma dimostra che non è possibile fare un giornale con il solo introito delle 50 lire a copia.
Il 1° gennaio 1973, il manifesto dovrebbe cominciare a stampare anche a Milano, ma le copie sono sempre basse, 23.500.
Poi c’è un altro pezzo di storia, quella del manifesto non solo in preda alla spasmodica ricerca di soldi per poter uscire, ma anche – e forse, per molti versi, più traumatica – i vari abbandoni dei cosiddetti “padri nobili” del giornale del movimento comunista italiano, cominciando da Luigi Pintor. Oggi il quotidiano è diretto da Norma Rangeri una delle penne più acuminate della critica televisiva, lei stessa detentrice di una rubrica sul manifesto chiamata “Vespri” e autrice di uno dei più bei libri sulla Tv italiana: «Chi l’ha vista? Tutto il peggio della Tv da Berlusconi a Prodi».
- La rivoluzione non russa - Il Manifesto
Prima di chiudere, però, permettetemi di ricordare i famosi titoli di prima pagina del giornale. Una vera e propria sollecitazione all’intelligenza del lettore. Titoli che hanno ricevuti premi importanti, i famosi calembour, mai volgari. Anni orsono è uscito un libro che racchiudeva tutti i titoli di prima pagina del manifesto. Io ne voglio citare solo qualcuno come quando viene eletto papa Ratzinger (2005) «Il pastore tedesco». Oppure «Caccia i bombardieri», quando si decise di acquistare gli F35, «L’Irto Colle», nei giorni della rielezione di Napolitano, Grillo, per il manifesto, è la «Forza Nuova», mentre Andreotti è «Omissis Est». «Preso per il Colle», a proposito dell’uscita di scena politica di Bersani e, sopra una grande foto di Napolitano e Berlusconi, il titolo «No grazia».
Semplicemente geniale, poi, non un titolo ma un manifesto apparso sui muri, negli autobus e su varie riviste per pubblicizzare il prodotto, cioè il manifesto. Si vede l’immagine di bambino che dorme con il pugnetto sinistro chiuso e, sopra, la scritta recita «La rivoluzione non russa». Semplicemente intelligente. Un’idea creata da Sandro Baldoni, scrittore e regista, collaboratore de il manifesto.
Né possiamo dimenticare che nelle pagine del manifesto si sono formati, professionalmente, tantissimi giornalisti, allora alle prime armi, e che oggi stanno in grandi quotidiani e in televisione.
Grazie manifesto di continuare a esistere.
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