Un dipinto seicentesco dei domenicani a Lentini
E Il nostro viaggio alla scoperta di Lentini oggi parte dal convento e dalla chiesa di San Domenico...
Evitare tutto ciò che sa di superfluo e di lusso e badare invece che la costruzione sia funzionale e duratura, nel rispetto della povertà che si addice all’Ordine. Semplici e modesti siano gli edifici delle nostre abitazioni. Né ricercatezza né superfluo nelle nostre case in materia di sculture, pitture e pavimenti o quant’altro possa compromettere la nostra povertà.
Così prescriveva la regola dell’ordine Domenicano approvata nel 1252.
E Il nostro viaggio alla scoperta di Lentini oggi parte dal convento e dalla chiesa di San Domenico, demolita agli inizi dello scorso secolo e da cui provengono alcune significative e importanti opere d’arte.
I domenicani a Lentini avevano fondato il loro convento nel 1480, anche se già da tempo molti lentinesi avevano vestito la caratteristica tonaca bianca con la cappa nera. Tra questi Simone, vescovo di Siracusa nel 1269 e Tommaso Agni, già patriarca di Gerusalemme nel 1272 e vescovo di San Giovanni d’Acri, ultima roccaforte dei crociati in terra santa.
La chiesa e l’annesso convento sorgevano accanto alla chiesetta dei tre santi fratelli martiri Alfio, Filadelfo e Cirino.
All’interno erano custodite le reliquie di San Vincenzo Ferreri e una scheggia della Santa Croce.
Nel 1592 era stato seppellito nella chiesa il vescovo di Malta e sacro inquisitore Paolo Bellardita, il cui corpo era stato riesumato e trovato miracolosamente intatto nel 1653. Dopo il terremoto del 1693 il convento e la chiesa erano stati ricostruiti sul precedente sito.
Agli inizi del secolo scorso l’edificio sacro fu demolito e gli arredi destinati alle altre chiese Lentinesi.
Tra le opere provenienti dall’antica chiesa è una bellissima tela, della seconda metà del XVII secolo custodita oggi nella ex cattedrale di Santa Maria la Cava.
Il quadro rappresenta la celebrazione della messa nel preciso momento in cui il celebrante eleva l’ostia per la consacrazione.
Un raggio di luce proveniente dall’alto tra due angeli e irradiandosi verso il basso squarcia l’oscurità facendo da contrasto con il paesaggio in chiaroscuro sullo sfondo.
Il raggio di luce illumina delle piccole figure che rappresentano le anime di coloro che stanno espiando in Purgatorio. Alcune delle quali, a sinistra, spuntano dalle fauci di un mostro tra le fiamme.
- Lentini - Anime del purgatorio
L’ostia elevata e illuminata dalla luce, separa i penitenti dalle fiamme e dal mostro. La messa in suffragio attenua la loro espiazione.
Accanto al sacerdote, nella parte mediana e inferiore della tela ci sono altre quattro figure, tre a sinistra e una destra. Si tratta dei veri e propri ritratti che rappresentano verosimilmente personaggi realmente esistiti.
I due personaggi vicini al sacerdote vestono la tipica tonaca dei domenicani e domenicano è anche il celebrante, che si riconosce per la tipica tonsura del capo.
Il celebrante è un vescovo, infatti nei paramenti sacri è rappresentato uno stemma vescovile ed inoltre, nella parte inferiore della pianeta, si intravvede un lembo della tunica vescovile rossa.
Lo stemma sul paramento è quello della nobile famiglia Candido, che aveva dei feudi a Lentini e poi si era trasferita a Siracusa.
Due membri della famiglia, Giovanni e Filippo, entrambi domenicani e vissuti alla fine del XVII secolo erano stati tra i consiglieri di papa Sisto V.
In basso a sinistra è un’altra figura, vestita di rosso, con le mani giunte e lo sguardo rivolto all’esterno della scena principale, verso l’osservatore, come a cercare un coinvolgimento nell’azione. Probabilmente rappresenta colui che commissionò l’opera all’ignoto pittore.
Si tratta di una tela che per cromatismi e i chiaroscuri risente di influenze tardo cinquecentesche, come il cielo che si apre e proietta un raggio di luce sull’officiante e il paesaggio morbido che fa da contrasto alle anime dei defunti. Un’opera molto interessante e anche se non si conosce l’autore è sicuramente tra le più belle tra quelle custodite nella ex cattedrale.
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