Un articolo di Nino - da "L’isola possibile"
Il testo che segue apre il numero speciale del 25 aprile del giornale del Catania Social Forum, "L’isola possibile".
Ringrazio il vecchio amico e compagno Nicola Torre, esperto
libraio, che mi ha stimolato a scriverlo.
di
Sergej
- sabato 20 dicembre 2003
- 7588 letture
RESISTENZA E COSTITUZIONE DELLA REPUBBLICA: COSA SONO
STATE PER ME (per la mia generazione)? Ha ancora un senso celebrare il
25 aprile, oggi? In fondo, è roba di mezzo secolo fa. Cosa cTentra il fascismo
del Novecento con i temi di lotta sulla globalizzazione del Terzo Millennio?
L’immagine che noi possiamo trasmettere a giovani che hanno all’incirca
l’età di Carlo Giuliani, si confonde facilmente con l’immagine di quelli che
invece la Resistenza l’hanno fatta veramente, cioè di chi aveva vent’anni nel
1943-1945. La mia generazione, la prima nata e cresciuta in regime
repubblicano, di Costituzione e di Resistenza all’inizio non sapeva nulla:
nulla ci dicevano a scuola, nulla nella vita politica. Per circa venti anni, dal
1948 al Sessantotto, la Costituzione infatti è stata "congelata" o "sospesa"
dalla élite politica. Erano gli anni della Guerra fredda, della lotta spietata
contro il comunismo da parte della Nato. La Democrazia Cristiana, che
governava l’Italia con lTassenso nordamericano (una DC nella quale un
Andreotti occupò fin da subito cariche ministeriali) riteneva che alcuni punti
della Costituzione fossero troppo pericolosi, ad esempio lTart. 1, dove si parla
di Repubblica "fondata sul lavoro", o l’art. 11, col "rifiuto della guerra come
strumento di soluzione delle controversie internazionali", e ancora le norme
sull’autogoverno delle regioni e la Corte Costituzionale. Tra l’altro si voleva
far credere agli Italiani che Repubblica e Costituzione fossero arrivate in Italia
alla buona, per voto popolare e allTunanimità. Non è vero. Senza la
Resistenza, senza la lotta armata contro i nazisti e i fascisti non ci sarebbe
stata nemmeno la Costituzione né la possibilità di votare. La monarchia
resistette fino all’ultimo minuto, letteralmente, prima di piegarsi alla volontà
popolare. La destra italiana già dal secolo precedente aveva manifestato la sua
preferenza per la politica del bastone, del carcere, della repressione cieca: il
fascismo non è nato per caso nel nostro paese. E nemmeno è stato sconfitto
per caso. Per abbatterlo ci volle, oltre lo sforzo bellico degli Alleati, la guerra
partigiana: "partigiana" cioè la guerra di chi, per buoni fini, si assume la
responsabilità di essere "di parte", mentre il fascismo voleva far credere che
gli Italiani fossero tutti in blocco una sola volontà: la volontà di "Lui", del
capo (Mussolini, intendo).
Chi denigra la Resistenza, dice: durante il fascismo tutti gli Italiani erano
fascisti. Dice che i partigiani in realtà furono poche decine di migliaia. Certo:
vorrei vedere, dopo vent’anni di regime totalitario, quando intorno a te non
vedi nient’altro. Ma la gente è intelligente, e nei momenti di crisi tutta
l’intelligenza di un popolo viene fuori. I disastri della guerra assurda e
perduta, il paese distrutto, l’arroganza dei nazisti tedeschi costrinsero tutti a
ragionare, dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943. Mio padre, vecchio
liberale, distrusse le fotografie del suo matrimonio, perché vi compariva in
divisa fascista comTera di moda a quellTepoca. Non era un voltagabbana,
semplicemente aveva preso posizione. Mio zio era ufficiale dell’esercito;
rifiutò di servire sotto i tedeschi, si fece venti mesi in campo di
concentramento vicino Auschwitz e tornò, a piedi, con i capelli bianchi, un
anno dopo la fine della guerra. Nessuno dei due era comunista o socialista o
rivoluzionario: semplicemente, come milioni di Italiani, anche loro "fecero la
Resistenza" come poterono, come dovevano.
Per me, loro figlio e nipote, scoprire la Resistenza vent’anni dopo " tra 1960 e
1962 " fu un atto di scelta. Ce l’avevano tenuta nascosta, dovemmo studiarla.
Capimmo che la democrazia parlamentare, il diritto di parola, la libertà di
stampa, che in Inghilterra o in Francia o in America apparivano "naturali", da
noi in Italia non ce li aveva regalati nessuno, erano stati pagati col sangue dei
nostri padri e dei nostri zii, e delle loro donne anche. Ogni generazione filtra
il passato e sceglie ciò che ritiene giusto. La mia generazione ha abbracciato
deliberatamente il 25 aprile: significava credere nella democrazia, e nello
spirito della democrazia ancora più che nella lettera. Non solo Costituzione e
Resistenza andavano difese, ma addirittura ampliate e attualizzate. Non
nascondiamo i fatti scomodi: diverse ali del movimento, dopo il Sessantotto,
credettero che anche il modello di guerriglia armata fosse rimasto attuale, che
bisognasse ancora sparare, perché la democrazia era minacciata. Fu il tragico
errore di persone come Giangiacomo Feltrinelli, errore che si spiega con
l’atmosfera di quei momenti di "stragi di stato" (ancor oggi misteriose e
impunite), o del colpo di stato di Pinochet in Cile, che qualcuno auspicava
anche da noi. Ma a vincere furono ancora una volta gli ideali della Resistenza,
perché a difendere e allargare la democrazia non furono i colpi di pistola
bensì le sterminate lotte di massa, con la conquista dello Statuto dei lavoratori
e almeno in parte dello Stato sociale.
Oggi ci dicono: la Costituzione non è immutabile, lo Statuto dei lavoratori si
può cambiare, chi difende quelle posizioni è una mummia passatista.
Rispondo: cambiare la Costituzione restando fedeli al suo spirito, per
accrescere gli spazi di democrazia, ma certamente! E’ quello che abbiamo
cercato di fare negli ultimi trentTanni. Ma a chi dice "cambiare" però intende
"restringere"; a chi vuole concentrare il potere, a chi vuole far finta che non
esista l’art. 11 e il rifiuto della guerra, a chi vuole una magistratura asservita
al governo, a chi vuole limitare le libertà sindacali¦ a questi io credo che
bisogna rispondere: No; al di là di quel confine che è la Costituzione non si
torna indietro.
Perciò penso che noi, seconda generazione della Resistenza, possiamo ancora
riproporla ai più giovani, con speranza di essere ascoltati. Non vogliamo
trasmettervi una realtà mummificata ma un insieme di principii, un ideale.
Viveteli come credete, rendeteli adatti a voi e ai vostri tempi, modificateli,
fateli vivere! Perciò credo che valga ancora la pena di riunirsi e di sfilare il 25
aprile, data della Liberazione d’Italia dal nazifascismo.
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Un articolo di Nino - da "L’isola possibile"
3 aprile 2006, di :
Elio Camilleri |||||| Sito Web:
Un articolo di Nino - da "L’isola possibile"
Condivido il senso complessivo dell’articolo e penso, anzi, che noi oggi sessantenni non solo possiamo, ma dobbiamo riproporre i valori della Resistenza ai giovani, non solo con la speranza di essere ascoltati, ma con la determinazione di indicare un percorso di libertà, di democrazia e di giustizia.
Oggi ancor più d’ieri dobbiamo ribadire i contenuti fondanti della nostra Costituzione, espressione delle forze antifasciste della Resistenza.
Oggi più d’ieri dato che l’Italia ha praticamente disatteso l’art. 11 sul "rifiuto della guerra", dato che si è calpestato il principio della divisione e del’equilibrio dei poteri in quanto l’esecutivo ha chiaramente e pesantemente condizionato sia il potere legislativo che quello giudiziario.
Oggi più d’ieri è necessari ricordare il principio d’uguaglianza, ampiamente disatteso sia nell’offerta d’opportunità tra donne e uomini, sia nel godimento dei diritti tra cittadini italiani, comunitari ed extracomunitari.
Ed ancora per l’organizzazione della scuola sia pubblica che privata e ricordare che la scuola privata è libera, ma che essa non deve presentare "oneri per lo Stato".
Se è vero che risultano sempre più evidenti i segni di una crisi morale, culturale, politica e civile in frange significative della nostra società ed anche tra i giovani, allora penso che, prima che sia troppo tardi, sia necessario rilanciare con forza i valori della nostra "meglio gioventù"
Elio Camilleri