Umanità
Io Capitano parte seconda... Ma quale umanità? A partire dal film di Polanski, The Palace.
Chi ha avuto la fortuna di ascoltare Liliana Segre intervistata a Che tempo che fa domenica 15 ottobre 2023 sa già di cosa parlo. Io e lei abbiamo vissuto la stessa esperienza: prima il film di Garrone, poi – in rapida successione – quello di Polanski. E concordo con la senatrice nel riconoscere che The Palace comincia dove finisce l’altro, perché, anche se arretrato di una ventina d’anni, ci descrive la terra dei sogni a cui agogna di arrivare il giovanissimo eroe Seydou (che ha lo stesso nome dell’attore). Una terra immaginata, che in realtà è corrotta, decadente, violenta, colpevole di una sperequazione irrisolta e irrisolvibile. La ricchezza esibita, l’arroganza, l’ignoranza, la Grande Bruttezza di donne dai volti rifatti più volte, incartapecorite fin dentro l’anima, e anche di uomini che vogliono assomigliare a divi del cinema ma sono solo criminali patetici la cui umanità li ha abbandonati da tempo, questo è purtroppo quello che aspetta Seydou. Sì, l’elicottero che conclude Io capitano è foriero di speranze – verranno salvati, curati, accolti – ma poi...? Io mi aspettavo qualche fotogramma, qualche fermo immagine, almeno, sui centri di detenzione (mi rifiuto di chiamarli diversamente), sull’assenza di un vero progetto di inclusione, sui discorsi deliranti dei politici di turno. Invece quel lieto fine, dopo l’inferno attraversato, mi ha momentaneamente irritata.
Serviva lei, la Segre, la Donna con la D maiuscola direbbe Sherlock Holmes, a farmi capire che così come nessun uomo è un’isola, nessun film è un singolo prodotto culturale. I film vanno visti in sequenza, vanno incrociati, devono dialogare fra loro. Possono fare male, queste illuminazioni che derivano dal confronto e dalla comparazione, dalla “sequelizzazione” involontaria. Ma stare male va bene, è quello che ci meritiamo.
Non ho dubbi che l’inferno sia quello che ci ha mostrato Garrone. Così come non ho dubbi che i colpevoli siamo noi, l’Europa, l’America, l’Occidente, noi che ci giriamo dall’altra parte e che non giustifichiamo la disperazione come motivo di partenza per attraversare l’inferno. Il problema è che, una volta attraversato l’inferno, qui non abbiamo nessun paradiso. Al massimo abbiamo un purgatorio, un luogo di passaggio dove far espiare ai peccatori d’oltre mare le nostre colpe: devono dimostrare di essere sani, vigorosi, bene intenzionati, possibilmente non musulmani, potenzialmente braccia da lavoro, sicuramente persone che non daranno problemi, che non rivendicheranno diritti – di cittadinanza, di voto, di assistenza.
Dov’è finita la nostra umanità? Fatico a ritrovarla nel film di Polanski, che sa essere ironico e anche far ridere mentre ci bastona con durezza. Forse l’unico personaggio umano del film è il figlio respinto dal padre ma che non smette di amarlo, e nel momento in cui invita il proprietario dell’hotel di lusso a casa sua, nella sua semplice dimora, passa fra i due uno sguardo fugace per cui vale la pena di vedere tutto il film. Quella è l’umanità.
Ne troviamo tanta invece nel film di Garrone, pur in mezzo all’inferno. Seydou è un campione di umanità, anche se abbandona la madre e le sorelle. Il suo abbandono è ben diverso da quello del padre disumano in The Palace. Il giovane parte per dare un futuro alla sua famiglia. E la sua devozione al cugino Moussa, il suo amore, il suo restargli sempre accanto è proprio quell’umanità che noi abbiamo dimenticato. Tant’è vero che la parola “Moussa”, pronunciata moltissime volte da Seydou, a un certo punto non è più solo un nome, ma diventa un mantra, un termine sacro, indimenticabile.
- The Palace - lancio del film
- The Palace, regia di Roman Polanski
Per una recensione del film di Garrone: Palline da ping pong, di Evaristo Lodi.
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