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Tutti i colori di Margherita

"La terra è di destra, l’universo è di sinistra" scrive Stefano Benni in "Margherita dolcevita": una favola che ha per tema il tradimento.

di Sergej - domenica 23 ottobre 2005 - 10661 letture

La copertina di "Margherita dolcevita" di Stefano Belli (Feltrinelli, 2005) è una illustrazione di Giuseppe Palumbo / Inventario. Una ragazzotta seduta su un sasso, una farfalla sopra la sua testa, immersa nella natura. La ragazza (Margherita) ride beata, soddisfatta. In primo piano, un grillo e un geco. Natura selvaggia, senza costruzioni umane. L’erba. I colori sono quelli del verde e del marrone, con l’unica macchia rosso-arancione dei capelli della ragazza.

Un tempo erano i frontespizi dei libri a recare la presenza iconografica. A partire dal Seicento a dominare era l’iconografia simbolica: le raffigurazioni, sotto forma di incisione, dovevano "significare" qualcosa a livello simbolico e dotto. Le raffigurazioni moderne sono invece localizzate nella copertina. nzi, nella "sovra" copertina del libro: elemento di vestito del libro, fasciatura a carattere editoriale e confezione. E sono "illustrazioni". Più che simboleggiare, il gioco è quello di rimandare in qualche modo al contenuto del libro, alla storia che vi è narrata.

Così in questo caso, l’illustrazione colorata del libro di Benni. La ricerca degli illustratori, la sfida, è appunto quella di riuscire a cogliere un aspetto del libro, una delle linee narrative, di cui costituire l’immagine. L’imago, la parvenza. A dettare la scelta del colore, anche, ovviamente, ragioni commerciali: un libro con una bella e colorata immagine di copertina attira di più l’attenzione dell’acquirente rispetto a un libro anonimo in bianco e nero. L’essenzialità del prodotto industriale - e le ragioni della comunicazione, l’economia del marketing - limitano la presenza di oggetti sulla copertina: l’immagine, il titolo e il nome dell’autore, il nome della collana e l’editore, il simbolo dell’editore (logo): basta. L’unico residuo simbolico della tradizione precedente è limitato al logo dell’editore (a volte neppure a quello). Il frontespizio interno replica i soli elementi testuali, nell’assenza del colore e di qualsiasi immagine. Alla copertina viene demandato l’elemento e il valore artistico e visivo, che era nei codici miniati svolto dalla presenza delle miniature e che accompagnavano in età medievale e rinascimentale il testo. Con la nascita del libro e del prodotto industriale, l’opera manuale viene progressivamente relegata. Il libro illustrato è escluso dalla commercializzazione di massa, anche quando la tecnologia potrebbe permetterne facilmente l’uso, dati i costi di riproduzione ormai abbassati.

Il centro geometrico dell’illustrazione del libro di Benni è la farfalla, ma il centro aureo è in realtà il viso della ragazza. Titolo (Margherita) e illustrazione (la ragazzotta) convergono sottolineandosi a vicenda, rafforzandosi vicendevolmente. Non è secondario che non siamo davanti a una foto, ma appunto a una illustrazione, in cui la semplificazione fumettistica opera la scelta di campo: protagonista è una ragazza, tendenzialmente a questo target ci si rivolge. Il solipsismo della ragazza altrove rimanderebbe al tema negativo della solitudine: qui è invece un valore. Il piacere di poter godere circondati dalla natura. La natura è il bene, il mondo degli uomini il male. La tematica ecologista è al centro della narrazione di Benni. L’io narrante è la ragazza, la narrazione è il suo punto di vista. La pienezza di sé nel mondo non contaminato dalla presenza disturbante e corruttrice della "civiltà", il mondo costruito degli uomini. La favola di Margherita (il fumetto di Palumbo) ha come spettatori desiderati gli animali e le creature (gli insetti, le erbe, i fiori, persino i sassi) della natura. E’ questo l’universo positivo di Margherita che, al centro di questo universo, trova sé stessa, la propria pace e felicità. Tenendo strette le ginocchia con mani e braccia, rannicchiata a palla, i capelli sciolti nel vento, Margherita sorride nella sua pienezza vitale. Il cielo ha i colori di un tramonto placido. E’ Margherita alla fine della giornata (della narrazione?) che si riposa.

"La terra è di destra, l’universo è di sinistra" scrive Benni (p. 141). La sua è una favola che ha per tema il tradimento.


L’incipit del libro

Dentro un raggio di sole che entra dalla finestra, talvolta vediamo la vita nell’aria. E la chiamiamo polvere

Il mondo si divide in:
quelli che mangiano la cioccolata senza pane
quelli che non riescono a mangiare la cioccolata se non mangiano anche il pane
quelli che non hanno la cioccolata
quelli che non hanno il pane
(Dai detti celebri di nonno Socrate)

Capitolo uno la sparizione delle stelle

Sono andata a letto e le stelle non c’erano più. Ho pulito per bene il vetro della finestra, ma niente da fare. Erano sparite. Era sparita Sirio e Venere e Carmilla e Altazor. E anche Mab e Marylin e Zelda e Aldemartin e la costellazione del Tacchino e la croce di Lennon. Non ditemi che alcune di queste stelle non esistono. Sono i nomi che gli ho dato io. Infatti rivendico il diritto di ognuno, specialmente delle fanciulle fantasiose come me, a chiamare le cose non soltanto con il nome del vocabolario, ma anche quello del vocabolaltro, cioè con un nome inventato e scelto. In fondo tutti lo fanno. Infatti i miei genitori mi hanno chiamato Margherita ma io amo essere chiamata Maga o Maghetta. I miei compagni di scuola, ironizzando sul fatto che non sono proprio snella, a volte mi chiamano Megarita, mio nonno che è un po’ arteriosclerotico mi chiama Margheritina ma a volte anche Mariella, Marisella oppure Venusta che era sua sorella. Ma soprattutto quando sono allegra mi chiama Margherita Dolcevita. Il vigile davanti al quale sfrecciavo in bicicletta mi chiamava Vaipianomargh. Le maestre mi chiamano Silenziolaggiù. Il mio primo amore, praticamente anche l’ultimo, mi chiamava Marmottina. A quei tempi portavamo tutti e due l’apparecchio per i denti e ci davamo dei baci metallici che sembravano i duelli dell’Iliade. Eppure li rimpiango. Anche a quattordici anni e nove mesi si può rimpiangere. E’ presto, dite? E se muori a quindici? Stavo parlando delle stelle. La cosa strana è che il cielo era limpido, poco fa, quando ho accompagnato fuori Pisolo, il mio cane, nella sua tourneè di sessanta minipisce. Quindi non potevano essere le nuvole a nasconderle. Infatti ho aperto la finestra e ho visto che proprio dove un’ora prima c’erano il prato e gli alberi, avevano piantato un cartellone enorme, tipo schermo di cinema, quaran-cinquanta metri, e sopra c’era scritto

Lavori in corso.

Era quello schermo immenso a coprire le stelle. Cosa sta succedendo, mi sono chiesta? Ho allungato il capino fuori come una tartaruga a primavera, e ho visto vari tipi di camion. Scaricavano lastroni di vetro, tubi e blocchi di cemento e anche lavandini e piastrelle. Allora ho capito. Da tempo sapevamo che qualcuno aveva comperato il pezzo di terreno vicino al nostro per costruirci una casa. Ero eccitatissima, avrei voluto svegliare mamma o il nonno o i miei fratelli, ma era tardi e così ho fischiato per chiamare Pisolo e lui è venuto. Pisolo è il mio cancatalogo, perché più che un incrocio è veramente un catalogo di tutte le razze canine e animali e forse vegetali apparse sulla terra, mi fanno ridere gli esperimenti sul diennea e le clonazioni, Pisolo è più complicato, è uno dei più misteriosi arcimboldi della natura. Potrei descriverlo così:

Corpo cilindrico da porcello.
Zampe davanti da ornitorinco.
Zampe dietro da rospo cavallerizzo.
Orecchio destro dritto da volpe del deserto.
Orecchio sinistro pendulo da cocker.
Muso da pterodattilo occhi da camaleonte naso da bufalo baffi da birraio e denti da piranha.
Culo da papera.
Coda ritorta da scimmia.
Pelo di cinfalepro pezzato e maculato. Non saprei descrivere il colore. Diciamo color straccio di benzinaio.
Il tutto con qualche cromosoma di pipistrello, di caimano e di oloturia.

E questo non esaurisce la bellezza di Pisolo.

Mio nonno dice che ogni bellezza è complicata, e che Pisolo è come una casa, o come il mondo intero. In ogni casa c’è il salotto buono, il bagno sfavillante e i mobili antichi, ma anche il ripostiglio polveroso, le tubature viscide e i tarli che rodono, la stanza dei giochi e la cantina oscura che spaventa e attrae noi bambini. In ogni casa che crediamo di conoscere bene c’è sempre qualcosa di dimenticato, di nascosto, un’orma di un altro pianeta. Intimità e avventura. E così nel giardino scopriamo una misteriosa scritta su un albero, o un fiore mai visto, nella strada che facciamo tutti i giorni c’è un vicolo buio, nella città scorre un fiume sotterraneo, e nel nostro paese vive una banda nascosta di assassini.

(Le prime pagine del libro di Benni, "Margherita dolcevita")


Dal sito: Internetbookshop:

Margherita Dolcevita è una ragazzina allegra, intelligente e appena sovrappeso, con un cuore che di tanto in tanto perde un colpo. Vive con la famiglia fra città e campagna. Un giorno, davanti alla sua casa, spunta, come un fungo, un cubo di vetro nero circondato da un asettico giardino sintetico e da una palizzata di siepi. Sono arrivati i signori Del Bene, i portatori del "nuovo", della beatitudine del consumo. Amici o corruttori? La famiglia di Margherita cade in una sorta di oscuro incantesimo, nessuno rimane immune. E su chi fa resistenza alla festa del benessere, della merce, del potere s’addensa la nube di misteriose ritorsioni.

Dopo Saltatempo e Achille piè veloce, l’universo narrativo di Stefano Benni si arricchisce di un nuovo personaggio, vivace, simpatico e originale, come i suoi predecessori, e capace di smascherare, con innocenza e disincanto, le degenerazioni e la mancanza di valori del mondo d’oggi. È Margherita, prima protagonista femminile di un romanzo dell’autore bolognese, una “bambina in scadenza”, come ama definirsi lei stessa: quasi quindici anni, occhi blu, capelli biondi ricci “che sembrano una piantagione di fusilli”, qualche chilo di troppo e un problema al cuore, “una valvola spanata che fa ta-tunf invece di tunf-ta”. La sua vita scorre tranquilla in una villetta alla periferia della città, unica isola di verde miracolosamente risparmiata dal cemento, in compagnia del padre pensionato, Fausto, che si diletta a riparare vecchi oggetti, della madre Emma, casalinga e avida spettatrice di soap opera, di un fratello maggiore Giacinto, diciottenne, infestato dai brufoli, che “nella vita ha due grandi interessi: il calcio e il pallone” e un fratello minore, Erminio detto Eraclito, “genietto rompiballe”, “il dito da videogioco più veloce del West”. Non mancano un nonno un po’ “sbiellato” ma saggio, che si chiama Socrate e per paura di morire avvelenato si mitridatizza mangiando yogurt scaduti, formaggi marci e acqua con la varechina, e infine Pisolo un cane, o meglio un “cancatalogo”, perché “più che un incrocio è un catalogo di tutte le razze canine e animali e forse vegetali apparse sulla Terra”. La quiete di questa famiglia bizzarra ma in fondo normale viene sconvolta dall’arrivo dei nuovi vicini di casa ricchissimi, supertecnologici e alla moda, vittime del consumismo e del più sfrenato arrivismo. Sono i Del Bene: padre affarista, sempre sorridente e con una fluente chioma trapiantata, madre elegantissima e nullafacente, che colleziona oggetti di ogni sorta, tutti rigorosamente inutili, una figlia teenager con fisico da pin up e un figlio, Angelo, misteriosa pecora nera allontanata dalla famiglia. Dalla loro impenetrabile abitazione hi-tech, i Del Bene esercitano un influsso potente e deleterio sugli ingenui dirimpettai, che a poco a poco finiscono per cedere alle lusinghe di uno stile di vita fondato sul culto del benessere materiale, della bellezza esteriore e sul rifiuto di tutti coloro che sono ai margini della società: poveri, anziani e extracomunitari. Armata di intraprendenza e grande coraggio, profondamente fiduciosa nella forza dei sentimenti autentici, della natura e della fantasia, Margherita non si arrende, intuisce l’esistenza di un piano diabolico e reagisce alla grave minaccia con l’aiuto del piccolo Eraclito, di Angelo, adolescente inquieto da cui è inevitabilmente attratta e della “Bambina di polvere”, la sua amica invisibile, fantasma di un piccola vittima innocente della brutalità della guerra.

Amara metafora delle trasformazioni della società moderna, Margherita Dolcevita è un’impietosa denuncia della mancanza di valori autentici, della volgarità del potere e dell’arroganza della ricchezza, che rischiano di soffocare la bellezza della vita, ma anche una fiaba ecologica a favore della difesa della natura, della fantasia e dell’immaginazione.


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