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Turchia: rieletto Erdoğan, autocrate resiliente

Oggi, nel decimo anniversario delle proteste di Gezi Park, in Turchia si è votato per il ballottaggio alle elezioni presidenziali. I risultati hanno sancito la vittoria di Recep Tayyip Erdoğan che era giunto all’appuntamento con il secondo turno in vantaggio di cinque punti percentuali rispetto allo sfidante Kemal Kılıçdaroğlu. "Come sarà e dove andrà la Turchia di Erdoğan" è un interrogativo che sentiremo riecheggiare ancora a lungo nel prossimo futuro.

Courtesy of ISPI [https://www.ispionline.it]

di Emanuele G. - lunedì 29 maggio 2023 - 1300 letture

In quelle che sono state definite le elezioni più importanti del 2023 non poteva essere certo un problema di salute, sopraggiunto in campagna elettorale, a frenare la corsa del presidente Recep Tayyip Erdoğan. Anche il suo ‘palmares’ parlava chiaro: all’attivo cinque elezioni parlamentari, due elezioni presidenziali, tre referendum e un colpo di stato sventato. E così, né l’immagine sbiadita degli ultimi anni, né le difficoltà nell’affrontare la complessa congiuntura economica del suo paese gli hanno impedito di riconquistare la carica di presidente della Turchia con circa il 52% dei voti ottenuti al ballottaggio, secondo gli exit poll. Come già avvenuto in passato, alla vigilia delle elezioni il Sultano si è presentato al popolo turco come l’uomo forte, quello difficile da battere. E per il suo principale avversario, Kemal Kılıçdaroğlu, c’è stato ben poco da fare; Unico risultato l’aver costretto Erdoğan a passare al secondo turno, un evento finora inedito. Il sostegno offerto al leader turco dal candidato nazionalista Sinan Oğan, che aveva ottenuto il 5,2% dei consensi al primo turno, è stato, invece, tra i fattori decisivi che hanno consentito al presidente in carica di superare il suo diretto concorrente.

Di fronte alle numerose sfide che attendono Erdoğan tanto sul piano interno quanto su quello internazionale, a partire dal ruolo della Turchia nel conflitto russo-ucraino, l’approccio del capo dello stato e del suo partito Giustizia e Sviluppo (AKP) non dovrebbe cambiare. Al contrario, si inserirà nel solco tracciato durante gli ultimi anni di leadership incontrastata. La vittoria alle elezioni legislative della coalizione di governo di Erdoğan (che potrà contare su una maggioranza di 322 seggi su 600) garantirà al neopresidente di governare senza preoccuparsi dell’opposizione del parlamento. Ma se da un lato il cammino della ‘Turchia che verrà’ appare delineato, rassicurando coloro che vedevano nel cambiamento un elemento di incertezza, sarebbe un errore pensare che continuità sia un sinonimo di stabilità. I risultati delle urne hanno restituito il volto di un paese fortemente diviso e polarizzato tra chi sostiene Erdoğan e chi invece rimane profondamente deluso dal suo sistema di potere.

I dossier più scottanti in politica interna

Con la rielezione di Erdoğan, la ricostruzione delle zone terremotate e la questione dei rifugiati siriani presenti in Turchia restano i dossier più spinosi in politica interna. Su questi il presidente non ha esitato a far leva nel corso della campagna elettorale. Per le zone colpite dal devastante terremoto del 6 febbraio Erdoğan ha promesso la costruzione di oltre 300.000 case entro un anno, mentre da più parti ci si chiede se si tratti di misure sufficienti a contenere l’impatto di una catastrofe dai costi economici che si aggirano, secondo le stime più attendibili, a 103 miliardi di dollari (circa il 9% del Pil turco per il 2023). Nell’ambito di un accordo sull’immigrazione concluso con l’UE nel 2016, che ha portato nelle casse del paese 6 miliardi di euro, la Turchia attualmente ospita circa 3,7 milioni di rifugiati siriani. Di fatto, il sistema della redistribuzione dei migranti previsto dall’accordo non ha mai funzionato in maniera adeguata e, dopo aver inizialmente favorito l’ingresso dei rifugiati da una vicina Siria in preda al conflitto, Erdoğan è stato costretto (e lo sarà ancor di più nelle vesti di neopresidente) a trovare una soluzione volta ad ‘alleggerire’ la loro presenza nel paese. Del resto, negli anni è cresciuto il malcontento nei confronti di questi ultimi, tanto che alcuni commentatori turchi hanno parlato dei siriani ospitati nel paese come di una “bomba a orologeria” che minaccia l’economia e la sicurezza nazionale della Turchia.

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Risollevare un’economia malata: missione (im)possibile?

L’economia turca versa in uno stato di salute critico, aggravato dagli effetti della pandemia da Covid-19, dalle ripercussioni della guerra in Ucraina sui prezzi delle materie prime e dei generi alimentari e dalle conseguenze del terremoto. A preoccupare particolarmente sono gli alti tassi di disoccupazione e di inflazione, oggi rispettivamente al 10% e al 43,7%. Nel corso del 2022 un’impennata dell’inflazione (con un tasso medio al 72,3% contro il 19,6% del 2021) e il deprezzamento della lira (che ha perso il 60% del suo valore rispetto al dollaro negli ultimi due anni) hanno fatto registrare una significativa perdita di potere d’acquisto, soprattutto dei ceti medio-bassi. Nonostante le iniezioni di liquidità del Golfo abbiano in parte sostenuto la lira e riequilibrato le riserve di valuta straniera, le capacità di risparmio del paese sono allo stremo e le riserve di valuta estera (utilizzate a sostegno della valuta nazionale) sono in negativo per la prima volta dal 2002. Ora più che mai Ankara necessita di attirare investimenti stranieri per fare ripartire l’economia del paese. Secondo il FT, oggi meno dell’1% del debito pubblico interno è in mano agli stranieri, in calo rispetto a circa un quarto di dieci anni fa.

In una recente intervista rilasciata alla Cnn, il leader turco ha ribadito che non intende abbandonare la controversa politica dei tassi bassi, dichiarazioni che hanno alimentato ulteriormente il timore dei mercati. L’economia, che per anni è stata il cavallo di battaglia di Erdoğan si è trasformata in una forte criticità, ma non ha rappresentato l’elemento che ha dato la spallata al leader turco, nonostante il crescente malcontento nel paese per l’impennata dei prezzi e il deterioramento degli standard di vita. La politica monetaria non convenzionale adottata dal presidente, basata sulla considerazione che bassi tassi di interesse contribuiscano a contrastare l’inflazione, favorire le esportazioni e attrarre investimenti, stimolando così (nel lungo periodo) la crescita dell’economia, gli è valsa nei mesi scorsi aspre critiche e alcuni osservatori erano pronti a imputare alle cattive condizioni dell’economia turca le ragioni di una sua débâcle alle elezioni. In campagna elettorale Erdoğan ha promesso una crescita economica elevata, sei milioni di nuovi posti di lavoro e una maggiore spinta per il turismo. Tuttavia, al momento sembra improbabile che il presidente si discosterà dalle posizioni assunte in materia di politica monetaria.

Making Turkey great again

Negli ultimi anni il presidente turco ha fatto dell’attivismo diplomatico una chiave di volta del proprio successo in politica estera. Dalla Libia all’Azerbaigian, passando per un rapporto speciale con Vladimir Putin, Erdoğan ha operato su tutti i fronti “caldi”. Primo fra tutti l’Ucraina, dove Ankara ha sapientemente bilanciato la propria posizione fra Kiev e Mosca svolgendo un ruolo di mediazione fondamentale per il raggiungimento dell’accordo sul grano concluso sotto l’egida delle Nazioni Unite. Nell’era Erdoğan la Turchia si è confermata un alleato importante della NATO, ma i rapporti con il blocco transatlantico non sono stati (e non sono) esenti da frizioni, sfiducia e risentimento reciproco. Nel quadro della diversificazione delle partnership che già da tempo caratterizza la politica estera del paese, il presidente turco ha stretto forti legami economici con la Cina e soprattutto con la Russia (rispettivamente terzo e primo partner commerciale di Ankara nel 2022). Sotto il nuovo corso, è molto probabile che la Turchia continuerà con la sua politica di diversificazione.

Con continui riferimenti all’impero ottomano il presidente non ha nascosto il suo obiettivo numero uno: riconciliare la Turchia moderna, nata sulle macerie di quell’impero, con il suo glorioso passato. Tra le macerie, oggi, si continua ancora a scavare nelle aree più colpite dal sisma di febbraio, e proprio il terremoto ha offerto ad Ankara l’opportunità di aprire nuovi canali di dialogo, anche con paesi rivali come Grecia ed Egitto. Oltre che con l’Egitto, Erdoğan cercherà, anche in funzione anti-curda, di dialogare con il regime siriano del presidente Bashar al-Assad, fresco di riammissione nel consesso della Lega Araba. Nel quadro dei tentativi di uscire dall’isolamento avviati nel 2021 la Turchia proseguirà poi nel processo di normalizzazione avviato con Emirati Arabi Uniti, Israele e Arabia Saudita. Dopo la vittoria alle elezioni, Erdoğan continuerà a perseguire l’obiettivo di “rendere la Turchia di nuovo grande” mentre si prepara a festeggiare il centenario della fondazione della Repubblica.

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