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Trionfo per l’ Iphigenie auf Tauris che ha chiuso il 35° Festival della Valle d’ Itria

di vr - mercoledì 5 agosto 2009 - 5387 letture

L’ Iphigenie auf Tauris di Gluck Strauss ha concluso trionfalmente ieri era il 35esimo Festival della Valle d’ Itria in assoluta bellezza: dopo infatti l’inaugurazione affidata ad un Orfeo discusso e discutibile, un Re Lear estremamente interessante sul piano musicologico, meno su quello empatico-emozionale, con l’ ultima opera abbiamo assistito ad un vero e proprio capolavoro: al Direttore Artistico il merito di aver recuperato ‘dal cassetto’ l’ennesimo titolo inconsueto che coniugava però una potenza espressiva e musicale davvero di primissimo ordine.

L’ impianto di base è l’ opera di Gluck l’ Iphigenie en Tauris andata in scena a Parigi nel 1778 e di lì a breve seguita dal quella del pugliese Piccini, ‘rimaneggiata’ a inizio Novecento da Strauss (erano operazioni queste assolutamente consuete – si pensi all’ Iphigenie en Aulide ‘riadattata’da Wagner- che oggi farebbero arricciare i capelli ai musicologi e filologi musicali di ogni schiera o partito. Tornando all’ allestimento di questa superba Iphigenie (per la prima volta rappresentata in Italia, non possiamo che dire bene, anzi benissimo.

Con una perfetta sintonia interpretativa, favorita anche da una regìa sobria che metteva in risalto le comprovate capacità attorali dei singoli interpreti, si fronteggiavano la coppia di Oreste e Pilade da una parte , a rappresentare l’ archetipo dell’ amicizia per antonomasia (un caso analogo nel mito è riscontrabile nel binomio Achille-Patroclo) nel confronto con la solitudine ‘imposta’ di Ifigenia e attraverso i colpi di scena nell’ articolazione drammaturgica del ‘meccanismo tragico’ si assisteva alla ricomposizione finale (lo ‘scioglimento’ del nodo, il ‘riconoscimento’, l’ agnizione di cui parlava Aristotele).

La direzione musicale di Ramon Tebar è stata asciutta e precisa sempre attenta al suono dell’ Orchestra in relazione a quanto di volta in volta accadeva sul palcoscenico. Analogamente la regia di Oliver Kloeter, degno allievo di Karsen, di concerto con le scene sobrie e funzionali ed i costumi ‘minimalisti’ di Darko Petrovic (entrambi protagonisti dell’ Idomeneo Mozart-Strauss allestito al Festival tre anni fa) privilegiava il discorso narrativo e musicale, esemplificando al massimo le situazioni rendendole chiare ed immediatamente intellegibile.

L’ opera infatti, nella versione novecentesca di Strauss, per la prima volta rappresentata in Italia è in lingua tedesca: un particolare apprezzamento a tutti gli interpreti per essersi cimentati convincentemente in una impresa tanto ardua: memorizzare e interpretare parti lunghe e complesse in lingua tedesca. Peccato solo che nel programma di sala non era riportata una versione tradotta in lingua italiana del libretto. A primeggiare su tutti il terzetto dei ‘greci’ : rispettivamente Oreste (il basso cinese Liu Song-Hu), Pilade (il tenore italiano Marcello Nardis, già apprezzato protagonista sul palcoscenico della Valle d’Itria) ed Ifigenia ( la russa Olga Ktlyarova).

Stupende le arie direttamente filtrate dal modello gluckiano: l’aria vagheggiante ed ipnotica di Oreste nobilmente cantata dal baritono Song-Hu, dal timbro nobile e generoso(un graditissimo ritorno al Festivaldella Valle d’ Itria) che rivive la sua memoria e la colpa tragica, le arie di Ifigenia cantate con accesa passione e partecipazione dalla soprano russa Olga Ktlyarova (bellissima quella di chiusura del primo atto “O du, die mich in Aulis schuetzte… il ricordo va alla Callas…) e quelle di Pilade interpretate con toccante trasporto ed assoluta perfezione stilistica dal giovane tenore Marcello Nardis. Applausi e ripetute chiamate in scena per tutti gli interpreti. Bravi. Davvero bravi.


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