Tremilatrecentotrenta alpini entrarono trotterellando a Roma

Alì urlò: andate e braccatela, perché questo è il volere della politica del popolo.

di Deborah A. Simoncini - domenica 1 dicembre 2019 - 4732 letture

Tremilatrecentotrenta alpini entrarono trotterellando a Roma. Mancava solo il rullo di tamburi. Erano cats soriani della stirpe del Montenegro: marciavano proni, rispettosi della lealtà e del bene, con lo sguardo fisso a terra. Portavano trombe diritte e corni ricurvi, guidati da Alì dagli occhi acuti e penetranti, il naso affilato nel volto da giudice che gli dava un’espressione decisa e vigile.

Alì si faceva forza del suo essere stato un gatto grigio di strada, pungitore, dalla bocca larga e dal labbro storto, coi baffi a manubrio.

I Romani si raggiravano tranquilli perché c’era lui, degno d’intelletto e capace di dominare tutti gli altri. Indossava degli enormi occhiali da sole per non farsi riconoscere. La missione che gli era stata affidata era delicata: dovevano sfrattare la spiona di professione, capitano di complemento dei bersaglieri, che si nascondeva abusivamente in veste di caramellaia, standosene a scrocco nel suo pied-a terre, all’Istituto di Medicina Veterinaria, in via Ponzio. La costruzione enorme fatta di mattoni scuri confinava con un obitorio. Inappuntabile, si palesò MAM, Mother Antonia Maria detta Betta, vestita in modo tradizionale, di nero, a simboleggiarne i poteri divini, con un anello al naso e tanti braccialetti che tintinnavano quando rideva. Scese con il suo schnauzer nano, da una vecchia Land Rover e si mise a raccontare, impudente e sprezzante, storie e piccoli aneddoti.

“Il capolavoro della natura è la copula seminale. L’amplesso sana la carne, la purifica, la rende forte. Fa balzare lo spirito lucido e chiaro. La forza della lussuria uccide i deboli ed esalta i forti, coopera così alla selezione naturale. Un sentimento di fronte a cui - in tutta coscienza - mi trovo bene. La carne che fiammeggia affina lo spirito. Nell’atto del copulare c’è l’unione dell’anima intellettiva con Dio.”

Era capace di parlare per ore con una dedizione encomiabile. Saltellò su un piede e poi sull’altro oscillando le spalle e agitando i fianchi, per poi lanciarsi in una imitazione del Ballo del qua qua. I suoi compagni di ministero volevano ridurla in cenere per la vergogna.

Il tono petulante e altissimo, con vere e proprie urla e grida che rimbombavano nei timpani. La lingua spedita, nutrita a modo suo di saggezza, dichiarò:

“Nessuno di voi ha senso alcuno di dignità, è un’indecenza. Ma non devo io preservare il mio decoro professionale? O devo ridurmi alla stregua di un ambulante, con delle balle di stracci vecchi? Vorrei non essere mai arrivata fino a qui e francamente non me ne importa un fico di tutti voi che mi chiamate in causa. Andate al diavolo! Mi avete tolto il sonno e mi fate ricordare le mie sventure ogni giorno. Perché immischiarvi, con quel tono…”ma lei lasci e vada via da quella casa…” che sembra insinuare che io non conti più e sia diventata solo un caso disgustoso… Volete farmela pagare?!”

Alì quel giorno quando arrivò si mise in disparte, tra mormorii di voci e tramestii di passi. Doveva vedersela anche con Foo Foo lo schnauzer nano. Alzò gli occhi a guardarlo e circondò le mura, poi varcò la soglia, portandosi dietro il cane.

Con voce sapiente chiamò: “Chi c’è alla porta? Qualcuno si muova e cercatela. Lei sa perché sono venuto qua e come ci siamo accordati.” “Oh carissimo, da dentro casa ho udito la tua voce saggia, di uomo saggio e l’ho subito riconosciuta. Prendi la mia mano, stringila e tienila stretta. Ti ricordo che mi hanno concesso il potere su questa casa.”

Era acconciata con gioielli e vestiti, ma stravolta; mi disse che volevano incatenarla con catene di ferro, da straniera depravata, strega e ciarlatana. Che potevo fare? Me ne stavo seduto in tutta tranquillità e la guardavo. Tra me e me pensavo: è pazza ed è sprofondata nella pazzia più atroce, come si può riuscire a guarirla dalla sua malattia?

Si è fatta mal consigliare e delira e sragiona e ci oltraggia con i suoi discorsi. Le dissi: “Tracotante, ti sei messa al di fuori dalla giusta norma, sin dall’inizio ti vantavi di essere la più brava. Ma oggi vaneggi, con parole sfrenate e stolte e sei fuori di te.”

Non c’era verso e insisteva: “Qui dove ho costruito da me (perché se aspettavo voi…) un santo letto dove giacere ho vissuto notti piacevoli e perché non dovrei continuare a viverci per la gioia del cuore e della mente?” Hai oltrepassato il limite. Vattene e non contaminarci con il tuo delirio. Non sai che se insegui cose troppo grandi non ottieni niente, neanche da ciò che c’è già nel presente?

Tra inganno e corruzione ami e ti rallegri nei banchetti che dai, concedendoti la gioia del vino. In tutta la tua ignoranza sei stata capace di escogitare oscenità e sofismi depravati.

La agguantarono mentre lei spaventata si buttava a terra e ingiungeva di non legarla: “Non sapete quello che dite, né cosa state facendo, né chi io sono.” Don Piccioli fu il primo a dirle: “Falena vai via da qui. Vai a fare altrove le tue danze, con tutti i complici delle tue infamie. Credevi di essere tutto mentre non sei nulla.”

Lei ribadì con voce prepotente: “Ma io, che in me sento tutto ciò che manca alla vita, non posso subire ciò che non devo subire e pagare per le vostre offese. Senza contare che la mia evasione è legale e moralmente consentita da quelle virtù domestiche a cui mi sono sempre attenuta. Mi avete persino messo un serpente in camera, intagliato nel pino, ma io non temo magia. A lui ci pensa Foo Foo il mio mitico muso baffuto. Non per nulla è tedesco d’origine. Ricordatevi! Le bestie si possono rivelare più intelligenti degli umani. E perché poi il maresciallo in capo non può più allacciarmi le scarpe e togliermi gli stivaletti? continuate a dirmi di lasciare la signoria e la regalità? Mi volete spogliare dei miei vestiti?”

Alì urlò: andate e braccatela, perché questo è il volere della politica del popolo.

Non sono duro, né inquieto e sospettoso: sono stato inviato per catturare la preda e vi ricordo che non mi sono messo in azione per nulla.

Era sempre agitata e la sua anima non aveva riposo, sapeva che correva il rischio di essere appesa a un chiodo. Parlava a se stessa e non ascoltava davvero nessuno.

Mi avete assegnato il ruolo di agente provocatore, poiché ci sono soltanto gli individui al motto di: “Riposati, mangia, bevi e datti alla gioia.” “Ma quali masse: le masse esistono solo nella meccanica razionale. Lo so bene io che tengo la testa per aria e ho studiato a Villa Laputa, dove ho conosciuto condanne e paura. Lì le regole erano scolpite sul marmo e minacciose si leggevano sin dall’ingresso.

Vi siete infiltrati con domande impertinenti e oggi siete venuti per smantellare la mia fortezza. Mi avete detto di costruire un castello, e ora tu Alì “babbaleccu” vieni a dirmi che è una fortezza di sabbia, un vero e proprio castello in aria?”

Si mise a sbuffare e la voce le vibrò di collera: “Mi volete distruggere perché mi ritenete sterile”?

Senza sentir ragione acceso il fuoco fecero tremare il palazzo, ordinando prima di portare via tutto ciò che si poteva.

Tutti si davano da fare per preparare la “Cena delle Ceneri.”



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