Trasparenza e segreti
Sui potenti intercettati
Il cuore (nero) della politica italiana è la televisione. La conversazione telefonica nella quale Berlusconi formula le sue richieste al direttore generale della fiction Rai -e cioè di quell’azienda che in teoria è sua concorrente sul mercato televisivo- rappresenta solo una lampante conferma dell’intreccio totale tra i media e i potenti, il vero tumore della società italiana. Una conversazione, quella tra l’imprenditore televisivo e Agostino Saccà, che non è scandalosa, non è volgare, non è servile, non è incivile. È, piuttosto, una dimostrazione geometrica di che cosa sia e dove stia il potere in Italia. Anche per questo, spegnere il televisore è un atto rivoluzionario. Oggi più che mai.
In qualunque società decente, una simile prova di corruzione avrebbe segnato la fine politica dei suoi protagonisti. Ma in Italia no. Il coro unanime dei potenti condanna non i contenuti di tale conversazione ma il fatto che i cittadini l’abbiano potuta ascoltare. A chi reclama privacy e segreti, bisogna rispondere con chiarezza che in una democrazia i governanti non debbono avere né l’una né gli altri, che il palazzo del potere deve essere trasparente, che tutto ciò che dice e fa un ministro, un deputato, un senatore deve rimanere visibile. Va difesa in ogni modo la vita privata di tutti noi, dei cittadini, non quella di chi comanda perché il comando è un privilegio (in Italia enorme…) e non un sacrificio. Nessuno è obbligato a diventare ministro, deputato, senatore. Le circa mille persone che ottengono queste cariche dovrebbero rinunciare a qualunque sfera privata sino alla fine del loro mandato. E invece si stabilisce l’esatto opposto : Fini, Mastella, Bertinotti (il “comunista” Bertinotti !) e tutti gli altri gridano all’attentato « contro i privilegi costituzionali » del deputato Berlusconi, tacendo dell’attentato da costui compiuto contro ogni forma di legalità e di correttezza formale e sostanziale.
Era piuttosto diverso –in questo- l’atteggiamento di un sovrano assoluto quale Luigi XIV. Come dimostrano anche gli studi di Norbert Elias (La società di corte ; La civiltà delle buone maniere ; Potere e civiltà, splendidi libri editi dal Mulino), a Versailles il Re non aveva vita privata, neppure nelle azioni che oggi considereremmo più intime. La pubblicità perenne, anche se limitata simbolicamente ad alcuni soggetti, dei suoi comportamenti all’interno della corte costituiva uno dei prezzi del suo diritto di controllo all’interno della nazione.
Perfino una società improntata all’assolutismo si rivela più trasparente di quella televisiva, che dietro la luminescenza dello schermo nasconde il controllo arbitrario, il privilegio, l’arroganza delle quali la conversazione Berlusconi-Saccà è una squallida ma emblematica dimostrazione.
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Gentile Biuso,
occupare ruoli di amministrazione, di governo, di rappresentanza popolare non dovrebbe essere un privilegio di potere ma una responsabilità sociale. Chi decide di intraprendere la strada della politica e di provare a farsi eleggere come rappresentante del popolo si assume l’onere di un impegno gravoso, di farsi carico dell’immane peso di tutti problemi di una comunità e quindi di tentare di trovarne una soluzione. L’andare a governare non deve essere visto come un’occasione per disporre a piacimento di un potere straordinario (le leggi democratiche hanno il compito di impedire ciò), ma deve trattarsi di una scelta di servizio alla gente : da un lato la scelta del politico che si assume la responsabilità di fare questo "servizio civile" e dall’altro la scelta della gente che ripone ogni speranza in quest’uomo per la soluzione dei propri problemi. Chi si propone per amministrare non passa ad uno stato di favore e di privilegio ma s’imbarca verso un’esperienza di servizio ai cittadini che prevede sacrifici e rinunce. Le leggi che assicurano alcune immunità al governante non sono dei privilegi ma sono garanzie ad un rappresentante del popolo che ha scelto un ruolo difficile e delicato. Ecco tutto ciò che dovrebbe essere la vita di un uomo politico. Se non lo è, se il politico fa abuso di potere, se il politico trasforma le leggi a proprio favore, se il politico invece di avere uno "spirito da missionario" nutre brama di potere e vede il ruolo che occupa come un’occasione per essere migliore degli altri è anche, forse, caro Biuso, perché tutti noi vediamo le poltrone del politico come posti di potere e non di servizio, di gravoso, faticoso e responsabilizzante servizio. Rappresentare il popolo non significa ottenere privilegi e potere personali, ma deve significare accettare di farsi carico di tutti i problemi di una comunità e ad essa rispondere. E’ una posizione scomoda, ma affascinante se si è animati dallo "spirito del missionario". Se qualche lettore immagina che io sia preso da un delirio di carità cristiana si pone nella posizione di chi , a mio avviso, ha una visione errata del ruolo del politico.
Tutto ciò per dire, caro Biuso, che se esistono i cosiddetti "potenti" è anche perché noi li giustifichiamo nella loro potenza e trattandoli da potenti, guardandoli dal basso verso l’alto, ci dimentichiamo che loro devono essere invece i nostri servitori (con tutto il carico di dignità che può contenere tale termine)meritevoli della loro vita privata ma doverosi di trasparenza pubblica. Sono come me, come lei, come ogni altro lettore, dei cittadini che hanno avuto il coraggio di farsi carico della responsabilità di provare a risolvere i problemi di tutti. Così non è ? Allora ritornino a casa... e avanti il prossimo.
Un caro saluto da Giovanni Schiava