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Tina Merlin e il “genocidio” del Vajont

"È stato un genocidio. Lo gridano i pochi sopravvissuti, resi folli dal terrore della valanga d’acqua e dalla disperazione di trovarsi soli e impotenti..."

di Salvatore A. Bravo - domenica 2 marzo 2025 - 272 letture

Tina Merlin scomparsa nel 1991 è stata comunista e femminista. Per lei comunismo significava emancipazione degli oppressi; uomini e donne dovevano camminare insieme per costruire l’alternativa comunista. Fu coerente durante la sua vita, partecipò alle iniziative sociali e politiche volte a fondare una democrazia radicale nella quale è il popolo a prendere la parola e a progettare il suo presente e a immaginare il futuro. Comunismo è democrazia radicale. Fu femminista, ma di un femminismo oggi sconosciuto; il suo impegno non fu per la contrapposizione tra i generi, ma perché gli oppressi, uomini e donne, potessero essere un unico fronte contro il dominio.

Fu partigiana e, dunque, conobbe e sapeva riconoscere le forme dell’oppressione. Di lei, oggi, nessuno ricorda che denunciò la compagnia SADE che costruì sulla pelle degli abitanti del Vajont la diga che poi crollò. I suoi articoli che denunciavano l’imminente pericolo non furono ascoltati, anzi fu denunciata per “procurata allarme”. Difese la sua comunità ed è modello per un giornalismo etico e sociale a noi quasi sconosciuto. Lei che aveva solo un’istruzione elementare appare un gigante dinanzi a titolati e carrieristi che usano l’informazione per difendere il potere di turno e fare carriera. Nell’aspetto e nelle parole con il suo garbo mostrò un senso dell’essenziale oggi scomparso nel chiasso di un giornalismo complice che ha sostituito l’informazione con la seduzione.

Il testo Sulla pelle viva : Come si costruisce una catastrofe è la descrizione razionale ed empatica del genocidio del Vajont come ebbe a scrivere in un articolo. In taluni passaggi analizza nella sua oggettiva verità il capitalismo del miracolo economico. È verità valida ancora oggi, poiché il modo di produzione capitalistico è strutturalmente antropofago. I “PADRONI” restano sempre tali, cambiano i regimi, cadono i sistemi, ma essi si adattano, poiché il loro nichilismo e il disprezzo verso la vita li rende adattabili. Il denaro consente di attraversare i cambi di potere con la forza del denaro. I proprietari della SADE non subirono danno dalla caduta del fascismo, anzi il loro progetto di costruzione di una diga immensa e faraonica trovò nuova linfa nella “sete di energia che caratterizzava il miracolo economico italiano”.

“La prospettiva era affascinante e la SADE inoltrò subito domanda al ministero. Abbiamo detto che era il 22 giugno 1940 e Volpi era al ora presidente del a Confederazione fascista degli industriali. Ma le carte si arenarono a Roma. Con lo scoppio del a guerra altri pensieri occupavano le menti dei governanti e dei dirigenti ministeriali. La SADE aspettò con pazienza. Fino al momento in cui credette di perdere la partita. Il fascismo la partita l’aveva già persa. Cosa sarebbe avvenuto dopo la guerra? Chi avrebbe guidato il Paese? Era meglio premunirsi. Volpi trafficò freneticamente per riuscire a strappare l’autorizzazione, che gli fu concessa con un atto illegale. «Il 15 ottobre 1943, nel e giornate tragiche che seguirono l‘8 settembre, in un momento del tutto anormale nel a vita del o Stato, la SADE riusciva ad ottenere una adunanza ed un voto del a IV Sezione del Consiglio superiore dei lavori pubblici con il quale si esprimeva parere favorevole all’accoglimento del ‘istanza […]. E risultato che al ‘adunanza di cui sopra parteciparono solo 13 su 34 componenti, i quali non costituivano il numero legale, rendendo così illegale quel a decisione». La prima autorizzazione al «progetto Vajont» fu quindi ottenuta con l’inganno verso la nazione” [1].

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Vajont, prima pagina de lUnità

Il fine del capitalismo non è mai di dare un “servizio” alla comunità, ma di sfruttare le opportunità per l’illimitato accrescimento del plusvalore. Gli espropri per la costruzione della diga sul Monte Toc mostrarono agli abitanti della valle, fin da subito, che erano solo un mezzo e, mai persone, per l’azienda. Si procedette agli espropri, senza considerare le esigenze dei singoli, la cui esistenza dipendeva dalla terra. Naturalmente il legame identitario con la terra non era contemplato nell’esproprio. Gli abitanti erano “niente”, erano un semplice ostacolo di cui liberarsi con un obolo:

“Questa serie di episodi contribuiscono a far nascere i primi sospetti e le prime diffidenze tra la gente. Non solo contro l’esiguo prezzo degli espropri praticato dal a SADE, ma anche contro il Comune che accetta di scendere a compromessi tanto pericolosi da porlo in assoluto stato di soggezione nei confronti del a Società elettrica. La SADE sa quel che fa. Il braccio di ferro con i proprietari diventa più duro. La SADE tira al ribasso. Essendo terreni poveri vengono poveramente valutati. Cosa conta, per il monopolio, che un piccolo appezzamento integri il reddito familiare - la possibilità di mantenere una mucca o una capra e quindi il latte, il burro, il formaggio? O che sia, in qualche caso, l’unico mezzo di sussistenza? E che abbia anche un valore affettivo? Sono argomentazioni che non entrano nella logica del grande monopolio, abituato a fare ben altri conti, soprattutto i propri. Toccano però gli ertocassani che si irrigidiscono sul loro diritto naturale alla vita” [2].

Si organizzarono comitati in difesa delle comunità, ma la SADE procedette con il consenso del governo, anzi Tina Merlin coglie nel testo un dettaglio non secondario, è l’installazione di una stazione di una caserma di carabinieri. All’opposizione dei comitati di base e alle diffidenze il potere risponde con la militarizzazione del territorio:

“La SADE fa finta di non sentire. Rifiuta di incontrarsi con il Comitato, è tempo perso, tanto prima o poi farà valere il diritto del a «pubblica utilità», magari con i carabinieri. I carabinieri, appunto. Prima che arrivasse la SADE a Erto non c’erano, non ce n’era bisogno. La stazione della Benemerita più vicina era a Cimolais, decentrata di 5-6 chilometri. Ma i padroni non possono vivere senza i gendarmi, pubblici o privati che siano. Oltre all’arrivo del a SADE, un’altra novità per Erto è quindi rappresentata dall’installazione di una caserma dei carabinieri. E’ l’anno 1956. La sede dell’Arma viene ospitata in un’ala del nuovo municipio che s’inaugura proprio quel ‘anno. Gli uomini del a SADE sono sul posto già da un pezzo. Ancora prima di ottenere la concessione a derivare l’acqua del Piave, del Boite, del Vajont, la vallata è già stata scandagliata, sondata, progettata per il «grande bacino»” [3].

La costruzione non incontra limiti, dunque, “gli interessi generali della nazione schiacciano le comunità e le rinchiudono in un’area ristretta nella quale possono muoversi limitatamente. Prigionieri in un perimetro che la Merlin compara ad un campo di concentramento. Il capitalismo procede inesorabile facendosi beffe delle vite, della storia e del paesaggio. La popolazione è alienata di tutto, deve ora solo obbedire e muoversi all’interno di uno spazio determinato, è privata dello spazio, non possono più inerpicarsi per i sentieri che da sempre sono stati “la loro terra”, in quanto vissuta e non posseduta. La SADE è come il tedesco invasore, afferma la Merlin, il nazismo in fondo è un volto del capitalismo e lei lo ha conosciuto e combattuto sulle “sue montagne”:

“Da questo momento i sentieri sotto il paese, quel i sotto il Toc, vengono disseminati da cartelli di proibizioni al transito. Gli ertani stanno a guardare, nessuno spiega nulla, come se i risultati delle indagini riguardino segreti di Stato, come se si fosse in guerra. E guerra è per qualcuno. La SADE è come il tedesco invasore che rastrellava il Toc e bruciava le case. Come l’invasore pretende, ordina, vuol farsi ubbidire. Ha cacciato la gente dalle proprie case con la forza5, ha confiscato le sue terre, adesso la valle rimbomba degli scoppi delle mine che fanno trasalire cristiani e animali. Perché, assieme alla diga, assieme al a strada in sinistra Vajont, si sta costruendo la nuova strada di collegamento Erto-Longarone, per buona metà in roccia. La vecchia strada bianca, tutta giravolte, resta dall’altra parte, sul a sinistra: verrà per metà sommersa assieme al a vecchia, caratteristica osteria e al ponte del Colomber. La nuova strada sul a destra viene costruita più in alto, con tante gallerie” [4].

L’atteggiamento genocidiario è nel disprezzo verso gli abitanti. Le indagini dimostrano che il rischio idrogeologico è immenso, ma si spera di incassare prima possibile e che la diga cada il più tardi possibile. Si va in modo consapevole verso il disastro. Gli esperti collusi col potere tacciono per difendere i loro interessi di parte. Clientelismo e affarismo sono un corpo unico e marcescente. La catastrofe ha come fondamento il nichilismo proprietario incapace di “ascoltare” la voce delle comunità, queste ultime ancora una volta sono ridotte a enti di nessun valore. La violenza del crollo è l’espressione compiuta e simbolica di una violenza che cova nel sistema:

“Semenza padre ne è sconvolto. La grande diga, coronamento dell’intera sua vita di lavoro, è forse pregiudicata? E il suo prestigio? E gli interessi del a SADE per la quale lavora, attraverso la quale è diventato così importante, alla quale deve tutto, anche portare a compimento il «grande Vajont» prima della nazionalizzazione degli impianti idroelettrici la cui richiesta diventa sempre più forte nel Paese? Dubita del figlio. Vuole che faccia vedere la sua relazione al vecchio Dal Piaz e «se anche dovrai a seguito del colloquio attenuare qualche tua affermazione, non cascherà il mondo». Il legame del tecnico con gli interessi del suo padrone è talmente forte, da indurlo a chiedere al figlio di mentire. Anche se il Vajont casca, «non casca il mondo». L’essenziale è che il Vajont cada il più tardi possibile” [5].

La tragedia si avvicina, i contadini sono ormai in un campo di concentramento. Il loro spazio è controllato e sorvegliato. Sono minacciati con multe e punizioni legali, se non rispettano i regolamenti imposti, si oppongono e dunque sono trattati da nemici. La paura è il mezzo più efficace con cui governare i resistenti. Il potere economico e politico deve far sentire il suo soffio funebre e terrorizzante. Le loro abitudini sociali sono negate, si distrugge una socialità per spezzare la resistenza destrutturando i caratteri, isolando e esasperando, alla fine devono essere vinti e ridotti all’addomesticamento gregario dal potere. Il loro territorio è espropriato, essi sono un nulla, la morte è già qui, tra di loro:

“I contadini, adesso, sono come in un campo di concentramento. Devono vivere e lavorare dentro un perimetro circondato da reticolati. Guai avventurarsi oltre la recinzione: non c’è solo paura, ma anche la guardia comunale che, se ti pesca, ti appioppa una multa. Come è possibile produrre in tanta cattività? Essere sereni, cantare la sera sui prati, giocare a «morrà», insomma condurre la vita di prima? Adesso è tutto sconvolto, causa quel a maledetta diga, il governo che protegge la SA-DE, la SADE che la fa da padrona e se parli ti sventola continuamente sotto il naso carte bollate e decreti governativi. Non è infatti finita con gli espropri sul versante sinistro del bacino, dove si sta costruendo la strada lunga 15 chilometri. Per non dover affrontare uno alla volta i contadini che ancora restano da espropriare - con la rabbia che adesso hanno in corpo non si sa mai - la Società si è fatta fare un decreto dal prefetto che la autorizza ad «occupare permanentemente», in blocco, tutti gli immobili che le servono fino al compimento finale della strada, della diga, del bacino” [6].

La SADE, forse, ha anche fretta, poiché l’istituzione dell’ENEL prevede il suo passaggio all’ente nazionale per l’energia elettrica. La diga cadde il 9 ottobre 1963 causando 2000 vittime e la scomparsa di una civiltà. Non c’è dolore più grande. Gli abitanti avevano il culto dei morti, i legami parentali sono valori non contrattabili in vita e in morte, e centinaia di corpi non saranno recuperati. I sopravvissuti saranno mutili nel corpo, perché una parte di loro è scomparsa nel fango. Durante le ricerche a volte emergono dal fango corpi sfigurati che i gruppi famigliari si contendono.

Merlin palesa l’intreccio tra la SADE e l’ENEL, il potere è un corpo unico che procede sulla e nella pelle degli abitanti:

“Il decreto stabilisce il trasferimento dalla SADE all’ENEL di «tutti i beni e rapporti giuridici, compresa la concessione idroelettrica del Vajont e gli impianti relativi già costruiti». Il padrone dell’impianto è adesso lo Stato, che nomina un amministratore provvisorio dei beni del ‘ex SADE nel a persona del professor Feliciano Benvenuti, docente dell’Università Cattolica di Milano. Siamo in famiglia. Benvenuti è legato al gruppo degli industriali veneziani per i quali funge da consulente economico e dei quali è presidente Valerio Manera consigliere della SADE. Molto probabilmente Benvenuti è stato proposto dalla stessa SADE, in quanto suo uomo di fiducia. Lo Stato accetta” [7].

La vita riprende in un luogo anonimo e senza storia, ai sopravvissuti è stato tolto tutto, essi dovranno vivere nel ricordo della tragedia in un territorio senza storia. Vivranno nel silenzio, perché anche la terra vissuta, a cui si è legati da generazioni può parlare, la loro solitudine è immensa:

“Il 28 dicembre 1966, con la posa del a prima pietra, si dava il via alla costruzione di un nuovo paese nel a piana di Maniago. Oggi lo abitano 225 nuclei familiari: 164 di Erto; 61 di Casso; 93 provenienti da altre località e insediatisi nel nuovo paese. Inizialmente gli ertocassani erano convinti di rimanere amministrativamente sotto il Comune di Erto e Casso, legati ad esso da «un’isola amministrativa». Non è avvenuto così; la scissione in due Comuni è stata imposta per legge, senza una consultazione del a popolazione. Con un atto autoritario. La delusione è stata forte. Ma ormai, chi aveva scelto di trasferirsi non poteva più tornare indietro. Per avere almeno un collegamento ideale con la vecchia vallata, la gente pretese che il Comune la ricordasse almeno nel nome. Venne chiamato Vajont, e al e sue strade e piazze vennero dati nomi di località ertane spazzate via dal a valanga d’acqua, oppure di monti e siti che circondano Erto e Casso. Vajont è un paese «inventato» e perciò senza fisionomia” [8].

Ricordare Tina Merlin e la tragedia del Vajont è un dovere etico, poiché è la nostra storia. Senza memoria non siamo nulla, ma solo soggetti resilienti e senza anima. Il capitalismo ruba la memoria per vincere la resistenza etica. Sta a noi ricordare e riprendere il difficile cammino dell’emancipazione dalle violenze del potere in ogni sua forma. Non fu semplice per Tina Merlin pubblicare il suo testo, le verità scomode incontrano l’opposizione e l’ostracismo dei poteri, ma lei che era la voce degli ultimi mai si arrese. La sua testimonianza è imperitura come il suo impegno per la giustizia sociale. Senza “maestri” non si cresce e lei lo fu profondamente e per tutti. L’11 ottobre 1963 in un articolo sull’Unità scrisse che fu un genocidio:

BELLUNO, 10

È stato un genocidio. Lo gridano i pochi sopravvissuti, resi folli dal terrore della valanga d’acqua e dalla disperazione di trovarsi soli e impotenti a superare una realtà tragica, fatta oramai di nulla, o meglio fatta di sassi e melma amalgamati dal sangue dei loro cari. Una realtà che ha sconvolto all’improvviso la fisionomia di interi paesi, ma che era purtroppo prevedibile da anni, da quando ancora all’inizio dei lavori del grande invaso idroelettrico del Vajont i tecnici sapevano di costruire su terreno argilloso e franabile, che perciò potevano portare alla catastrofe. Genocidio quindi, da gridare ad alta voce a tutti, affinché il grido scuota le coscienze del popolo e il popolo, la cui pelle non conta mai niente di fronte a dividendi dei padroni del vapore, spazzi via alfine con un’ondata di collera e di sdegno chi gioca impunemente, a sangue freddo, con la vita di migliaia di creature umane, allo scopo di accrescere i propri profitti e il proprio potere”.

Sta a noi riprendere il suo cammino. Siamo ad un bivio della nostra storia umana e nazionale.

[1] Tina Merlin, Sulla pelle viva : Come si costruisce una catastrofe, Cierre edizioni, capitolo: Arriva la SADE, 2008

[2] Ibidem.

[3] Ibidem.

[4] Ibidem, capitolo: Consorzio per la difesa della valle ertana.

[5] Ibidem, capitolo: La più grande diga del mondo.

[6] Ibidem, capitolo: Verso la tragedia.

[7] Ibidem, capitolo: L’assassinio si compie.

[8] Ibidem, capitolo: Vent’anni dopo.


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