Termimi Imerese, un colpevole cedimento

Lo Stato abdica al suo potere d’intervento non opponendosi ai freddi calcoli della Fiat.
Sulla chiusura dello stabilimento Fiat di Termini Imerese non una parola e’ venuta dal presidente Luca Cordero di Montezemolo, dal vicepresidente John Elkan e da altri membri della Famiglia Agnelli. Eppure, senza contare i sostanziosi sostegni incassati dalla Fiat da parte del governo, e delle regioni, nei momenti di crisi, la costruzione dello stabilimento a Termini Imerese, quarant’anni fa, e’ costato allo Stato e alla Regione Sicilia miliardi e miliardi.
Questo e’ stato possibile perche’ tra governo e dirigenza Fiat correva, in qualche modo, un certo spirito d’intesa, per cui l’incremento della produzione di auto poteva sposarsi al tentativo di emancipare economicamente alcune aree del Sud.
Di quell’antico spirito oggi non si trova traccia. Oggi gli Agnelli, di fronte al dramma di 2.500 famiglie, si voltano dall’altra parte, lasciano le redini interamente nelle mani di un supermanager che in mente non ha altro che economicita’, efficienza, efficacia. Il Governo a sua volta non osa contraddire quest’ultimo, anzi ne agevola acriticamente le mosse, non si cura nella giusta misura (cedendo immediatamente all’idea di riconvertire lo stabilimento per altre produzioni industriali) delle conseguenze del provvedimento di chiusura di una fabbrica in perfetta efficienza come quello di Termini. In pratica lo Stato abdica al suo potere d’intervento lasciando briglie sciolte ad un capitalismo improntato ad un espansionismo egoistico e senza scrupoli.
Qualcuno dice che non ci sono margini di discussione; la Fiat e’ impegnata in una sfida (Chrysler) nella quale ha messo in gioco la sua credibilita’ internazionale; non puo’ non liberarsi dei pesi che ne rallentano la marcia.
Obietto: nel giro di un ragionevole lasso di tempo si potrebbe giungere ad una forte riduzione dei maggiori costi per effetto dei provvedimenti della Giunta della Regione Sicilia, che ha deliberato finanziamenti, agevolazioni, contributi, per circa quattrocento milioni di euro (mutui e agevolazioni alle imprese dell’indotto per ampliamenti, ristrutturazioni, dotazioni di attrezzature, acquisto di nuove aree; finanziamenti e contributi alla Fiat per le esigenze di espansione delle superfici occupate, nuovo impegno finanziario per il potenziamento del porto, per la costruzione di nuove infrastrutture in ordine ad una maggiore scorrevolezza dei trasporti, per le ricerche sull’auto elettrica).
Dal canto suo, il Governo, tra le maglie delle norme Ue sulla concorrenza, potrebbe attivare efficaci interventi indiretti nell’ambito di una seria politica di emancipazione del Mezzogiorno, oggi veramente inconsistente. Nel frattempo dovrebbe opporsi risolutamente alla chiusura della fabbrica. Questo e’ il suo dovere.
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