Svendite d’Italia

Il governo Meloni continua la svendita del patrimonio pubblico allo scopo di pareggiare i conti e rispondere agli ordini di Bruxelles...

di Salvatore A. Bravo - domenica 20 ottobre 2024 - 433 letture

Il governo Meloni continua la svendita del patrimonio pubblico allo scopo di pareggiare i conti e rispondere agli ordini di Bruxelles. Naturalmente il governo è espressione speculare della sinistra liberale, destra e sinistra si confondono e fondono in unico partite reale; si obbedisce a Bruxelles e agli americani e nel contempo le oligarchie nazionali partecipano alla svendita dei beni nazionali. Tra popolo e oligarchie il divario non è solo economico: la vendita dei beni dello Stato in un momento di incertezza globale comporta il rafforzamento di una classe plutocratica senza etica e senza progettualità e lo scivolamento dei subalterni nello sfruttamento. Le abissali differenze materiali sono il sintomo del divorzio politico tra classi dirigenti e popolo.

La privatizzazione libera dalle garanzie residue statali e consegna ad una classe di imprenditori sempre più parassitaria e sempre meno disponibile a rischiare una fetta di mercato fiorente. Il nichilismo assoluto in cui versiamo impedisce ai subalterni di giudicare la radice prima di questo processo di distruzione della nazione e dello Stato. Il liberismo è cupidigia, ma una cupidigia differente rispetto alle forme tradizionali di avarizia. Quest’ultima in una cornice liberale stretta tra familismo e valori famigliari assumeva i connotati di una triste progettualità. Si accumulava, togliendo ad altri, per trasmettere un patrimonio ai discendenti. Tra le pieghe dell’avarizia vi era un’ idea di famiglia e di società discutibile, ma c’era.

La cupidigia del tempo attuale, volutamente distinguo cupidigia da avarizia, è invece caratterizzata dall’accumulo senza prospettiva: si desidera in modo spasmodico e perverso il potere-dominio solo per sé, pertanto emerge un individualismo spietato che conduce la nazione verso la svendita. Si è capaci di vendersi a pezzi, come merce, pur di conservare l’ebbrezza del dominio. Compratori e venditori sono accumunati dalla cupidigia, ovvero dal desiderio di conservare il dominio; il destino della nazione è secondario. Famiglia, comunità, Stato e nazione non rientrano nella grammatica della cupidigia. Ci si limita ai calcoli immediati, tanto tra qualche anno non si ricopriranno gli incarichi attuali, per cui in questo contesto non resta che la svendita e il rafforzamento di posizioni personali.

Il caso dei migranti, solo uomini, trasferiti in Albania e costretti da una sentenza a ritornare precipitosamente in Italia con danno erariale aberrante, quasi trecentomila euro, è sintomatico di una cupidigia che si accompagna ad una superficialità e ad una incompetenza giuridica che mostrano il collasso della nazione, ormai preda di gruppi di potere, magistratura compresa, in lotta tra di loro. Sullo sfondo resta la realtà-verità: il disprezzo per la “cosa pubblica” e l’obbedienza al “politicamente corretto”. L’irrazionalità è doppia e la cupidigia liberista ne è la causa; il danno erariale si è accompagnato alla persecuzione verso il genere maschile divenuto colpevole di ogni male, per cui ancora una volta si scarica sul genere maschile il disastro fomentando una guerra orizzontale tra i generi che serve a oscurare la verità di un potere drammaticamente in decomposizione.

Non ci sono alternative e non vi è opposizione; la discesa all’inferno sembra senza limiti. Il popolo non reagisce e non agisce, accetta fatalmente la persecuzione verso gli uomini, ormai il razzismo di genere è evidente e nel contempo lo sciupio di risorse è percepito come endemico dagli aggiogati. Scuole e ospedali cadono a pezzi e i salari precipitano, ciò malgrado le energie morali della nazione sembrano sopite. La cupidigia delle classi dirigenti, al momento, sembra vincere e regnare.

Hegel ci insegna che la storia è paragonabile ad una talpa che fa e non sa, scava gradualmente fino al punto di svolta, nel quale lo sguardo della civetta finalmente osa guardare nel buio la verità del proprio tempo. Dobbiamo lavorare per donare lo sguardo alla storia, senza l’arroganza di pensarci detentori della verità, ma ogni granello di verità e di impegno non può che contribuire alla svolta che condurrà alla consapevolezza e alla prassi. La Nottola di Minerva avrà la sua metamorfosi ulteriore nella prassi e nella progettualità.

Il nichilismo assoluto della cupidigia non è l’’ultima parola, ma è l’esito finale della decomposizione del liberismo nel suo momento apicale. Non sappiamo quanto durerà la condizione tragica della cupidigia, ma ogni fenomeno storico è destinato ad esaurirsi per la sua decomposizione strutturale, e specialmente, per la consapevolezza collettiva che rinasce sempre dal profondo dello spirito politico di ogni popolo.

Nel IX Canto del Paradiso Dante condanna il “maledetto fiorino”, ora sta a noi, in un periodo storico, in cui ci saccheggiano materialmente e spiritualmente, riprenderci non solo il futuro ma anche il presente e il passato. Il primo passo per una vera opposizione alla cupidigia annichilente è testimoniare la difesa della nostra cultura umanistica dalla quale trarre, ponendoci in ascolto di essa, la forza plastica per guardare al futuro abbattendo la barriera di fango della cupidigia che pesa e grava fatalmente “dentro di noi”. Facciamo nostre le parole di Dante Alighieri:

La tua città, che di colui è pianta
che pria volse le spalle al suo fattore
e di cui è la ’nvidia tanto pianta,
produce e spande il maladetto fiore
c’ha disvïate le pecore e li agni,
però che fatto ha lupo del pastore.
Per questo l’Evangelio e i dottor magni
son derelitti, e solo ai Decretali
si studia, sì che pare a’ lor vivagni.
A questo intende il papa e ’ cardinali;
non vanno i lor pensieri a Nazarette,
là dove Gabrïello aperse l’ali
” [1].

Spetta al popolo e dunque ai dominati trascendere il tempo della cupidigia. Nessun Dio verrà a salvarci.

[1] Dante Alighieri, Divina Commedia, Canto IX versi 127-138


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