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"Sulla rivoluzione russa" di Rosa Luxemburg

La storia del comunismo per riprendere il suo cammino esige che si ritorni tra i popoli e ci si ponga in ascolto di essi. Il comunismo non risorgerà, se ci si limita ad operare tra social e nicchie di attivisti...

di Salvatore A. Bravo - mercoledì 21 maggio 2025 - 578 letture

Rosa Luxemburg nel 1918 scrisse un breve testo Sulla rivoluzione russa, era in prigione, e si informava, ciò malgrado, sugli avvenimenti che scuotevano la Russia e rimettevano in moto la storia. Paul Levi militante comunista andò a trovarla in carcere e le sconsigliò la pubblicazione, in quanto il testo era ancora in embrione. Dopo la sua tragica morte nel 1919, Leo Jogiches e Clara Zetkin ritrovarono nell’appartamento della rivoluzionaria devastato dai Freikorps il breve scritto costituito da fogli sparsi e da frasi talvolta incomplete.

Nel 1922 Paul Levi ruppe con il partito e pubblicò il testo “completandolo”. Nel testo, malgrado le manipolazioni, emergono in modo chiaro le distanze della rivoluzionaria dal bolscevismo. Le osservazioni critiche che Rosa Luxemburg muove al bolscevismo sono per noi attuali. La rivoluzionaria profetizzò mediante il senso critico che mai l’abbandonò il pericolo che la rivoluzione bolscevica fallisse per l’isolamento internazionale e per lo scollamento autoritario tra burocrazia e popolo. Il partito dei burocrati avrebbe alla fine prosciugato la spinta rivoluzionaria del popolo mediante la compressione delle libertà e con la gestione dispotica del potere. La scissione tra partito e potere avrebbe gradualmente trasformato la rivoluzione in conservazione di equilibri antichi. Il potere sarebbe tornato a gravare sul popolo e i “compagni” si sarebbero ritrovati ancora una volta “sudditi”. Lo scioglimento dell’Assemblea Costituente il 18 gennaio 1918 fu la premessa di una deriva che avrebbe condotto la rivoluzione al suo fallimento.

Rivoluzione è democrazia consiliare senza la quale nessuna conquista può essere definita “rivoluzionaria”. I rilievi politici che Luxemburg mosse al bolscevismo e a Lenin hanno il limite di non considerare le condizioni storiche, in cui il comunismo nascente si trovava. Era assediato dalle potenze capitalistiche ed era in corso la Guerra civile.  Si pensi alla firma nel marzo 1918 fu del trattato di Brest-Litovsk. La produzione industriale era in caduta libera come la produzione agricola; era minacciata l’esistenza di un popolo intero dall’aggressione capitalistica. Il comunismo visse il suo tempo tragico ed eroico. L’analisi della rivoluzionaria peccano sotto quest’aspetto, ciò malgrado consente di comprendere le fragilità della rivoluzione russa:

“Il noto scioglimento dell’Assemblea Costituente nel novembre 1917 ebbe un ruolo di primo piano nella politica dei bolscevichi. Fu una misura decisiva per la loro successiva posizione, in un certo qual senso il punto di svolta della loro tattica. E’ un dato di fatto che sino alla vittoria d’ottobre Lenin e compagni rivendicarono con veemenza la convocazione dell’Assemblea Costituente, che proprio l’atteggiamento ostruzionistico dimostrato dal governo Kerenskij sull’argomento sia stato uno dei punti di accusa dei bolscevichi nei suoi riguardi e fonte delle loro più volente invettive. Trockij nel suo interessante opuscolo “Dalla rivoluzione di ottobre al trattato di pace di Brest” sostiene addirittura che la svolta di ottobre sia stata “una salvezza per l’assemblea costituente” come del resto per la rivoluzione in generale. “E quando dicevamo – egli prosegue – che l’accesso all’Assemblea Costituente non passava attraverso il Preparlamento di Cereteli, bensì attraverso la presa di potere da parte dei soviet, eravamo del tutto sinceri”. Ebbene, dopo tutte queste dichiarazioni, il primo passo di Lenin all’indomani della rivoluzione fu quello di disperdere quell’Assemblea Costituente a cui avrebbe dovuto aprire la strada” [1].

La democrazia consiliare è capace di autocorreggersi mediante la libera discussione. Le affermazioni della rivoluzionaria ci consentono di decodificare la fine dell’Unione Sovietica. Il sistema sovietico divenne incapace di autocorreggersi, morì soffocato dalla burocrazia e per l’assenza di dialettica democratica. La storia del comunismo reale è stata breve. Un secolo o poco più nella storia vale quanto lo spazio di un mattino, pertanto il futuro dovrà confrontarsi con la fine dell’Unione Sovietica per non ripetere gli errori fatali che la logorarono. La storia del comunismo non è terminata, se guardiamo al nostro presente occidentale sembra impossibile ipotizzare una sua rinascita, ma se guardiamo ad Oriente il comunismo cinese è in pieno trionfo economico e sociale, benché la democrazia socialista sia un obiettivo non ancora realizzato. Il futuro è un orizzonte aperto di possibilità, il comunismo non è finito, ma vi sono le condizioni economiche perché possa essere ridefinito in funzione della prassi e a tal fine è fondamentale confrontarsi proficuamente con il passato:

“Tutto ciò dimostra che “il pesante meccanismo delle istituzioni democratiche…possiede un potente correttivo, appunto nel vivo movimento del popolo, nella sua ininterrotta pressione. E quanto più democratiche sono le istituzioni, quanto più vitale e potente è il polso della vita politica delle masse, tanto più diretta e compiuta è l’influenza, a dispetto di rigide insegne di partito, vetuste liste elettorali etc. Certo, ogni istituzione democratica ha i suoi limiti e i suoi difetti, un fatto che del resto condivide con le tutte istituzioni umane. Ma il rimedio che Trockij e Lenin hanno trovato, la soppressione in generale della democrazia, è ancora peggiore del male a cui dovrebbe ovviare: soffoca cioè la stessa sorgente vitale da cui solo si possono correggere tutti i difetti congeniti delle istituzioni sociali, ovvero la vita politica attiva, libera ed energica delle più ampie masse popolari” [2].

Le democrazie borghesi sono dittature mascherate, esse manipolano l’opinione pubblica e pongono determinati confini invalicabili alla libertà di opinione. Il comunismo, invece, è democrazia reale mediante la quale il popolo deve imparare la pratica interiore e relazionale del comunismo. Solo in tal modo è possibile liberarsi dalle delle tossine che circolano nel corpo dello Stato borghese e che possono inficiare il comunismo. La libertà è vitale per il comunismo, perché esso è libertà, quest’ultima è la condizione del suo consolidamento, ma è anche il “senso” della rivoluzione. Il popolo nel comunismo ritrova la parola e diventa “soggetto politico” formale e sostanziale. Il popolo impara il comunismo mediante la democrazia, poiché in tal modo diviene responsabile del destino politico del comunismo e lo vive come parte vitale di sé. Il comunismo imposto è percepito come estraneo, pertanto lo scollamento tra il partito e la base è condizione da evitare per impedire alla corrente fredda della storia di riaffacciarsi:

“Ma la questione non si esaurisce con l’Assemblea Costituente ed il diritto elettorale; bisogna ancora prendere in esame l’abolizione delle più importanti garanzie democratiche di una sana vita pubblica e dell’attività politica delle masse lavoratrici: la libertà di stampa, il diritto di associazione e di riunione che sono stati messi al bando per tutti gli avversari del governo sovietico. Per queste violazioni la succitata argomentazione di Trockij sulla pesantezza dei corpi elettorali democratici è tutt’altro che sufficiente. È invece un dato palese ed incontestabile il fatto che senza una stampa libera, priva di limitazioni, senza una libera vita di associazione e riunione il governo di larghe masse popolari è del tutto impensabile. Lenin sostiene che lo stato borghese sarebbe uno strumento di oppressione della classe operaia, quello socialista di oppressione della borghesia. Esso non sarebbe altro per così dire che lo stato capitalista capovolto. Questa concezione semplificata non prende in esame l’aspetto più importante: il dominio di classe borghese non ha alcun bisogno di educare politicamente ed istruire la massa del popolo, per lo meno non oltre certi ristretti confini. Per la dittatura proletaria, è l’elemento vitale, l’aria senza la quale non può sussistere” [3].

Non ci sono ricette per la realizzazione del comunismo, pertanto senza la democrazia esso è destinato a concludere la sua esperienza storica. I testi di Marx, qui l’affermazione è chiara, sono dei classici a cui ispirarsi che rispondono ad una visione storica ormai superata, pertanto il comunismo è sa pensare e da progettare, mentre la storia nel suo dinamismo ci dona potenzialità, variabili e ostacoli. Il comunismo è progettualità nella storia del proprio tempo, per cui non vi sono dogmi o protocolli salvifici da applicare. La democrazia consiliare consente la partecipazione del popolo al progetto e dunque la sua difesa e la sua progettazione:

“Il tacito presupposto della teoria della dittatura nel senso leninista-trockista è che la trasformazione socialista sia una faccenda per la quale il partito rivoluzionario ha pronta in tasca una ricetta e che non serva altro che applicarla con decisione. Purtroppo, o per fortuna, le cose non stanno in questi termini. Ben lungi dall’essere una somma di prescrizioni pronte all’uso, la concreta realizzazione del socialismo come sistema politico, sociale, giuridico è una faccenda del tutto avvolta nella nebbia del futuro” [4].

Il comunismo è uno stato interiore individuale e collettivo da raggiungere mediante l’educazione del popolo. Stato interiore e prassi sono un corpo relazionale unico. L’educazione al comunismo deve mutare qualitativamente le strutture interiori, perché si possa trasformare la struttura e la sovrastruttura. Senza la libertà il popolo non potrà evolversi e non potrà che sentire la rivoluzione come estranea al suo sentire ancora condizionato dal recente passato borghese. La logica secolare del dominio e l’ambizione proprietaria non sono spazzate via con il cambio di governo, ma continuano ad esserci nell’invisibile e ad attaccare dall’interno il comunismo. Le misure draconiane contro i nemici interni ed esterni sono soluzioni parziali e immediate che non risolvono il problema della persistenza di strutture interiori del trascorso “sistema capitalistico”:

“È assolutamente necessario un controllo pubblico. Altrimenti lo scambio di esperienze rimane circoscritto al gruppo ristretto dei funzionari del nuovo governo. La corruzione è inevitabile. (Parole di Lenin, “Mitteilungs-Blatt” n. 36). La prassi socialista esige una completa trasformazione spirituale nelle masse degradate da secoli di dominio di classe borghese. Istinti sociali al posto di quelli egoistici, iniziativa di massa al posto dell’indolenza, idealismo che innalzi al di là di ogni sofferenza ecc., ecc. Nessuno lo sa meglio, lo descrive con più efficacia, lo ripete con più caparbietà di Lenin.. Solo che egli sbaglia completamente nel metodo. I decreti, il potere dittatoriale dei sorveglianti di fabbrica, le pene draconiane, il regno del terrore sono tutti dei palliativi. L’unica via che conduce a questa rinascita è la scuola della vita pubblica stessa, la più ampia e illimitata democrazia, l’opinione pubblica. È per l’appunto il regno del terrore a demoralizzare” [5].

La democrazia socialista non è un dono, ma una conquista ed essa inizia con l’abolizione del dominio di classe. Se la rivoluzione non rispetterà tali prerogativa essa finirà col ripiegarsi su se stessa e con il consumare gradualmente la passione rivoluzionaria:

“È compito storico del proletariato, una volta giunto al potere, di creare la democrazia socialista al posto di quella borghese, non di abolire ogni democrazia. La democrazia socialista, tuttavia, non prende avvio nella terra promessa, una volta costruite le infrastrutture economiche socialiste, non è un dono natalizio bell’è fatto per il bravo popolo che ha sostenuto nel frattempo fedelmente il manipolo di dittatori socialisti. La democrazia socialista inizia con la demolizione del dominio di classe e pari tempo con la costruzione del socialismo. Essa comincia nel momento della conquista del potere da parte del partito socialista. Essa non è altro che la dittatura del proletariato. Certo! Dittatura! Ma questa dittatura consiste nel sistema di applicazione della democrazia, non nella sua abolizione, in energici e decisi interventi sui diritti acquisiti e suoi rapporti economici della società borghese, senza i quali la trasformazione socialista è irrealizzabile. Ma questa dittatura deve essere opera della classe e non di una piccola minoranza di dirigenti che opera in nome della classe, ossia deve essere l’emanazione fedele dell’attiva partecipazione delle masse, essere sotto la loro diretta influenza, sottostare al controllo dell’intera opinione pubblica, emergere dalla crescente istruzione politica della masse popolari” [6].

Il breve testo ribadisce, dunque, una “serie di osservazioni critiche” verso il comunismo che si profilava. L’opera di Rosa Luxemburg in quanto eretica del comunismo è ancora oggi non debitamente valorizzata tanto più che siamo in una fase della storia in cui il comunismo è da ripensare e da rifondare. Dinanzi alla dittatura del capitale che avanza, il coraggio e l’intelligenza di Rosa Luxemburg possono esserci “compagni” con cui confrontarci per riprendere i sentieri interrotti del comunismo interrotti nel 1991. Le parole di Rosa Luxemburg non possono che risuonare nel nostro tempo che vive all’ombra del capitalismo che promette l’Eden, ma riproduce l’inferno in terra per i vincenti e per i perdenti:

“La direzione è mancata. Ma essa può e deve essere creata a nuovo dalle masse e tra le masse. Le masse sono il fattore decisivo, sono la roccia sulla quale sarà edificata la vittoria finale della rivoluzione. Le masse sono state all’altezza della situazione, esse hanno fatto di questa “sconfitta” un anello di quella catena di sconfitte storiche che sono l’orgoglio e la forza del socialismo internazionale. E perciò da questa sconfitta sboccerà la futura vittoria. “Ordine regna a Berlino!”. Stupidi sbirri! Il vostro “ordine” è costruito sulla sabbia. La rivoluzione già da domani “di nuovo si rizzerà in alto con fracasso” e a vostro terrore annuncerà con clangore di trombe: io ero, io sono io sarò” [7].

La storia del comunismo per riprendere il suo cammino esige che si ritorni tra i popoli e ci si ponga in ascolto di essi. Il comunismo non risorgerà, se ci si limita ad operare tra social e nicchie di attivisti, essi devono essere parte di un percorso che conduce nella vita reale e senza tale attitudine nulla sarà possibile. La scommessa è ricongiungere la teoria alla prassi e tornare ad essere compagni di strada di un processo che, al momento, appare distante.

[1] Rosa Luxemburg, La rivoluzione russa (1918), a cura di Serena Tiepolato, in: DEP.

[2] Ibidem.

[3] Ibidem.

[4] Ibidem.

[5] Ibidem.

[6] Ibidem.

[7] Rosa Luxemburg, Scritti scelti, Edizioni Avanti!, Milano, 1963. p. 660.


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