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Sulla deriva dell’europeismo

Altri confini : Il PCI contro l’europeismo (1941-1957) / Luca Cangemi ; prefazione di Giorgio Cremaschi. - Roma : DeriveApprodi, 2019. - 106, [VI], br. ; 21 cm. - (Ricerca). - ISBN 978-88-6548-278-0.

di Sergej - mercoledì 10 aprile 2019 - 3850 letture

Cosa unisce Aquisgrana, città termale vicino ai confini della Germania con Belgio e Paesi Bassi, dove Merkel e Macron si incontrano e fanno un nuovo patto il 22 gennaio 2019 ; Taranto e la crisi ambientalista ed economica della produzione di acciaio italiano e dell’ILVA; e il settantesimo anniversario di una "alleanza" militare che in Francia si ostinano a chiamare OTAN e che in Italia viene chiamata NATO?

Il filo rosso è la "questione europea", come ce lo ricorda Luca Cangemi nella sua ultima ricerca, opportunamente pubblicata da DeriveApprodi. Ricerca storica di tipo politico, non dunque economica sociologica o di altro taglio; che sapientemente si concentra su un periodo ben preciso - 1941-1957 - e su un "punto di vista" specifico: quello della pubblicistica politica e le posizioni ufficiali del PCI in quel primo quindicennio, e del PSI che allora collaterava con il PCI.

Il libro ci riporta, quasi in un salto all’indietro nel tempo, all’interno di un nucleo "originario" della questione, che viene polemicamente contrapposta al "dopo" ovvero quel che è diventato, soprattutto negli anni successivi al 1989, l’europeismo per i quadri dirigenti che si erano formati nel vecchio PCI e che da nuove posizioni di classe li transitano fino a diventare il baluardo della borghesia e dell’apparato di produzione capitalistico. La polemica di Cangemi con Giorgio Napolitano, individuato come artefice di questo spostamento politico, è diretta; coinvolge en passant Altiero Spinelli su cui Cangemi ha ragione di sottolineare l’assoluta alterità rispetto alla "tradizione comunista" e che pure è stato utilizzato nel contesto del nuovo europeismo napolitaniano.

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Copertina del libro di Luca Cangemi - Altri confini: Il PCI contro l’europeismo 1941-1957

Il libro ci restituisce un tassello importante. Le ragioni di una contrarietà a un progetto che aveva sapore e sostanza militaristiche e di rafforzamento del controllo economico sulla popolazione e sulla parte del Continente europeo non occupata militarmente dall’Armata Rossa e dall’esercito di liberazione jugoslava. Nel contesto di Stati europei - Francia e Gran Bretagna - che continuavano la loro politica imperiale e colonialista pur nel quadro di una disgregazione dopo Yalta di quel sistema. L’europeismo, in quel contesto, sottolinea Cangemi, non ha le caratteristiche elitarie e "pacifiste" di un Altiero Spinelli sempre ininfluente; ma il preciso intervento clericale e reazionario che si coagula nei Paesi europei occidentali come forma di risonanza della vittoria negli Stati Uniti della linea "trumaniana" rispetto a quella "rooseveltiana": quella che porterà alla caccia alle streghe e al maccartismo. Proprio il Piano Marshall sarà la cartina di tornasole di questo mutamento d’indirizzo: nato all’interno della cultura tecnocratica rooseveltiana, diventa quasi subito (depotenziandosi nei suoi effetti sociali) arma di egemonia per il nuovo Impero statunitense. Come tale vista non come una opportunità di sviluppo ma come una minaccia dal "blocco sovietico" (a cui aderiva il PCI all’epoca). Poi, i tentativi europei di trovare una collaborazione tra Stati: la CECA (su cui il PCI fu contrario, ma che si rivelò utile per l’industria italiana), Euratom (il PCI era a favore, fu un fallimento), il progetto di difesa europeo (un fallimento), il Mercato europeo comune... tutti i tasselli della lunga marcia dell’europeismo così come noi lo conosciamo.

Nel momento della crisi del modello "europeista" è molto importante andare a rileggere come quel modello è nato, e quali erano le contrarietà (alla lunga rivelatesi ragionevoli) rispetto a quel modello. Nella continua opera di riscrittura della storia che viene riversata sui giornali, libri come questi di Luca Cangemi ci servono per ritrovare alcuni punti fermi, alcune verità che comunque ci dicono come le cose non sono mai così semplici come li si legge sui libri di scuola.


Dall’introduzione di Giorgio Cremaschi

«Gli Stati uniti di Europa, in regime capitalista, sarebbero impossibili o reazionari». Questo giudizio lapidario di Lenin dal suo esilio svizzero nel 1915, mentre in Europa dilagava il massacro della Prima guerra mondiale e la rivoluzione russa neppure era concepibile, sembra scritto per l’Europa di oggi. Troviamo questa citazione nell’attualissima e rigorosa ricerca di Luca Cangemi, militante e dirigente comunista, sul rapporto, in realtà burrascoso, tra il Pci e l’europeismo post bellico.

Cangemi racconta e documenta questo rapporto dagli anni della sconfitta del fascismo al varo del primo trattato istitutivo di quella che oggi è la Unione europea: la creazione nel 1957 del Mec, Mercato comune europeo, tra Francia, Germania, Italia, Belgio, Paesi Bassi e Lussemburgo. Questi i sei paesi che diedero vita alla cosiddetta Europa carolingia, dalla quale per successive aggregazioni di Stati e aggiunte di trattati si è giunti all’attuale Unione europea a 27 Stati.

Dopo le utopie del manifesto di Ventotene di Altiero Spinelli, alle quali il Pci rispose sottolineando appunto l’astrattezza di un progetto sull’Europa che non considerava che metà del continente, con l’Urss, stava costruendo il socialismo. «Dove sono i confini dell’Europa secondo Spinelli e i federalisti?», scriveva «Rinascita» nel 1944. Dopo le astrazioni e la propaganda, il processo reale di aggregazione europea nasceva con una netta impronta conservatrice. Anzi clerico conservatrice, visto il ruolo centrale che in esso assunsero il Vaticano e De Gasperi, Adenauer, Schuman, leader democristiani di Italia, Germania Occidentale, Francia. Europa liberista, atlantica e cristiana e profondamente anticomunista. Questo il dna della costruzione europea, rispetto al quale dunque non possono certo dirsi estranei i suoi discendenti reazionari di oggi, da Orban a Kurtz a Salvini. Essi non sono estranei alla unificazione europea, ma sono invece una versione di estrema destra della sua anima costituente. L’idea dell’Europa fortezza, che chiude le sue frontiere ai poveri mentre le apre ai capitali, alla base del cosiddetto sovranismo attuale, non è estranea alla istituzione del Mec, che Cangemi intelligentemente collega alla contemporanea crisi degli imperi coloniali europei. Da quella crisi si alimenta il progetto europeo, non per rompere con la storia coloniale, ma per riproporla con altri mezzi.

In sintesi, al di là della retorica e delle buone intenzioni, l’unificazione europea nei suoi contenuti reali nasceva come progetto conservatore e imperialista a fianco degli Stati Uniti e sia contro l’Urss, sia contro i paesi postcoloniali che nel 1955 a Bandung iniziavano a concertare una posizione comune.


Sinossi del libro

La crisi d’egemonia dell’Unione Europea può consentire di guardare a una storia rimossa: l’opposizione comunista ai progetti d’integrazione europea negli anni Quaranta e Cinquanta. Si possono decostruire le narrazioni dominanti, come quella fiorita intorno alla figura di Altiero Spinelli, e comprenderne il ruolo nell’affermazione di una sinistra subalterna che ha avuto grandi responsabilità in questi anni.


L’autore

Luca Cangemi (Catania, 1966), docente di Filosofia e Storia, dottore di ricerca in Scienze Politiche, è autore di L’elefante e la metropoli. L’India tra storia e globalizzazione (2012). Dirigente di Fgci e Prc, è stato deputato nella XI e XIII legislatura per Rifondazione Comunista, fa parte della segreteria nazionale del Partito Comunista Italiano.


Vedi anche: Altri Confini. Il PCI contro l’europeismo.



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