Sulla Cina comunista

Ogni imperialismo è un male, anche l’imperialismo cinese sicuramente differente dall’imperialismo degli Stati Uniti non può portare buoni frutti a lungo andare...
Non si può non restare stupiti dal grande balzo cinese. La Cina negli ultimi decenni ha risolto il problema della fame e dei bisogni primari; la popolazione cinese è costituita ha una folta classe media che ha conquistato un notevole potere d’acquisto; gli industriali e i capitalisti sono ormai parte dell’architrave sociale e sono capaci di investimenti in settori energetici e tecnologici d’avanguardia. La Cina ha abbandonato i piani quinquennali e, oggi, il partito comunista usa con duttilità e flessibilità gli appetiti di oligarchi e della classe media per aumentare il PIL nazionale ormai eguale a quello statunitense.
Forse porre il dibattito sulla Cina ponendo il quesito se la Cina sia una nazione comunista o capitalista potrebbe essere ingannevole. Il problema, a mio avviso, non sono certo un esperto, è la qualità del comunismo cinese e la sua progettualità nel tempo. Si dovrebbe valutare il comunismo cinese in modo oggettivo, e intendo per oggettività, il comparare il modello cinese al modello marxiano che pur fra contraddizioni e evoluzioni è comunque distante anni luce dal comunismo cinese. Forse tra il comunismo cinese e il modello marxiano e marxista vi è stato e vi è solo una analogia linguistica, in quanto pratiche e contenuti orientano il comunismo cinese verso il capitale e non altro.
- xi jinping nel 2024 - fonte ANSA
Il giudizio che da occidentali diamo al comunismo cinese può essere fuorviato dal fatto che caduta l’Unione Sovietica, la Cina ci sembra un faro nelle tenebre del capitalismo. Essa ci dà l’impressione che il comunismo ha un presente e un futuro e ciò è sicuramente vero. La Cina con il suo comunismo orientale ha dovuto risolvere il problema della miseria, ha portato a termine con successo tale obiettivo, eppure, ora, resta una nazione distante dal comunismo marxiano, sempre più distante aggiungerei, poiché per Marx il comunismo è libertà ed estinzione dello Stato; è libertà di essere se stessi all’interno di relazioni solidali. Marx fu critico delle strutture economiche che producevano alienazione.
Nell’attuale Cina la sorveglianza della parola e il controllo sociale sono sempre più stringenti e dal riconoscimento facciale alla cittadinanza per punti si constata l’affermarsi del capitalismo-comunismo della sorveglianza. Si sperimenta a carico dei cittadini la potenza tecnologica curvata ai fini economici e di controllo. A Xiongan si sperimenta la rete 10G e i proprietari sono costretti a risiedervi, poiché la smart city si stava spopolando. Controlli asfissianti e timore per gli effetti sanitari hanno indotto in molti a lasciare la città. Si potrebbe continuare nell’elenco delle contraddizioni del comunismo cinese che continua ad essere segnato dalla burocrazia tecnocratica più che rossa. Inoltre dove le differenze di classe diventano notevoli regna, è inutile farci illusioni, la logica padronale. Chi ha denaro a palate può comprarsi tutto e può dominare su chi invece sbarca il lunario e vive la vita ordinaria nelle fabbriche cinesi. Il problema più rilevante, a mio avviso, è il vuoto teoretico sostituito da una progettualità economica che ha ormai perso di vista il fine ultimo per abbracciare la sola logica del PIL declinata sicuramente in modo diverso dal nostro decadente capitalismo sanguinario.
Il comunismo cinese rischia, in modo differente, di avvilupparsi su se stesso come fu per l’Unione Sovietica. Quest’ultima, persa ogni idealità e progettualità, si limitò specialmente con Leoníd Il’íč Bréžnev all’amministrazione burocratica; la Cina rischia di diventare potenza globale con l’unico obiettivo di accrescere il PIL e pertanto ha rinunciato ai processi ideali senza i quali nessun comunismo può vivere e sopravvivere. I cinesi ormai guardano ad occidente, imitano il modello crematistico, l’idealità comunista è stata prosciugata dagli affari.
Mi chiedo, è solo un dubbio, se l’esaltazione della Cina, a volte acritica, non celi la nostra disperazione dinanzi ad un capitalismo che produce armi e guerre e non è contenuto all’interno della nostra realtà da nessun movimento popolare, partito e progettualità sistematica capace di contenerlo. Ricostruire un modello di comunismo libertario è sempre possibile, e a questo scopo la Cina non ci è utile, poiché il capitale è infiltrante, esso penetra nella politica, la corrompe e l’aliena dai suoi fini onto-assiologici per farne mercato e imperio.
Capitalismo e comunismo sono inconciliabili; il capitale nella sua logica nichilistica è capaci di bucare anche le leggi più ferree e i divieti più severi, ma esso, specialmente, penetra nella psiche e inietta la tossina dell’individualismo proprietario con il mito dell’abbondanza e dell’eccesso. Ho l’impressione che il popolo cinese lentamente stia perdendo la cultura della comunità per il narcisismo proprietario. Usare il capitalismo per produrre ricchezza può essere vantaggioso nell’immediato, ma un popolo che ha ormai acquisito una forma mentis capitalistica potrà mai essere comunista? Non vi è il pericolo che la “tigre di carta” come ebbe a definire simbolicamente Mao il capitalismo statunitense si sia insinuato in Cina in modo polimorfico con la cultura del capitale divenendo davvero tigre d’acciaio? Le domande potrebbero essere tante e le risposte difficili, ma andrebbero poste per non cadere in una trappola interpretativa.
L’unico dato certo è che la Cina è una potenza mondiale nella quale il comunismo non sembra essere all’ordine del giorno, anzi pare essere per i cinesi solo una immensa scenografia di cartone che contiene il Celeste impero e lo protegge dalle forze interne che vi si oppongono. Guardando al presente non dovremmo dimenticare le parole di Mao:
"Quando definiamo l’imperialismo americano una tigre di carta parliamo in termini strategici. Da un punto di vista complessivo dobbiamo disprezzarlo, ma in ogni situazione specifica dobbiamo prenderlo sul serio. È dotato di artigli e di zanne. Per venirne a capo bisogna strappargliele una alla volta. Mettiamo che abbia dieci zanne: la prima volta gliene strappiamo una, gliene restano nove; la seconda volta un’altra e gliene restano otto. Quando gli abbiamo strappato tutte le zanne, gli restano gli artigli. Se procediamo gradualmente e coscienziosamente, alla fine ci riusciremo. Sul piano strategico bisogna assolutamente disprezzare l’imperialismo. Sul piano tattico bisogna prenderlo sul serio. Combattendo contro di esso bisogna prendere sul serio ogni battaglia, ogni aspetto specifico. Adesso gli Stati Uniti sono molto forti, ma se li consideriamo in un ambito più vasto nell’insieme della situazione e in una prospettiva di lungo periodo, essi sono impopolari, la loro politica non piace perché opprimono e sfruttano i popoli. Per questo la tigre è destinata a morire. Quindi non è terribile, la si può disprezzare. (...) Noi ci troviamo nelle stesse condizioni dei nostri amici dell’America Latina, dell’Asia e dell’Africa dato che facciamo lo stesso lavoro: operare nell’interesse del popolo per ridurre l’oppressione dell’imperialismo. Se lavoriamo bene, questa oppressione può essere radicalmente eliminata. In questo siamo compagni. Nella lotta contro l’oppressione imperialista, tra noi e voi c’è un’identità sostanziale, le differenze riguardano l’area geografica, la nazionalità e la lingua. Con l’imperialismo abbiamo invece una differenza di carattere sostanziale, la sola vista dell’imperialismo ci fa star male. A che serve l’imperialismo? Il popolo cinese non lo vuole e nemmeno i popoli di tutto il mondo. L’imperialismo non ha alcun motivo di esistere" [1].
Ogni imperialismo è un male, anche l’imperialismo cinese sicuramente differente dall’imperialismo degli Stati Uniti non può portare buoni frutti a lungo andare; nessun imperialismo si ritira spontaneamente dai paesi alleati che ricevono benefici. Il caso italiano è emblematico. Ancora una volta la volontà di verità e la volontà di sapere possono condurci verso elaborazioni critiche capaci di elaborare la via italiana ed europea al comunismo.
[1] Brani tratti da: Mao Zedong, L’imperialismo americano è una tigre di carta, 14 luglio 1956. Sta in: Mao Zedong, Rivoluzione e costruzione, pp. 412-16, Einaudi editore)
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