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Sud Ribelle: inchiesta (quasi) archiviata

L’inconsistenza di un teorema accusatorio montato ad arte per colpire l’intero movimento trova l’ennesima conferma

di Redazione - mercoledì 28 aprile 2004 - 4095 letture

Apprendiamo con estrema soddisfazione della completa o parziale archiviazione delle posizioni di cinquantuno indagati nell’inchiesta giudiziaria sul Sud Ribelle, che nel novembre 2002 aveva portato nelle carceri speciali di Trani, Latina e Viterbo o agli arresti domiciliari attivisti ed attiviste del movimento globale con l’accusa di cospirazione politica finalizzata a sovvertire l’ordine economico dello stato. In particolare, colpisce l’archiviazione completa per ben nove persone su venti che erano state arrestate. Sbattute in prima pagina come mostri, accusate delle peggiori azioni violente, arrestate da reparti speciali di polizia con agenti incappucciati (i GOS), tradotte in carcere anche in presenza, per alcuni, di gravissime condizioni di salute, queste persone apprendono oggi che non esiste alcuna gravità indiziaria sul proprio conto, tanto da non meritare neppure che si vada nel loro caso a un dibattimento di merito. Come dire: scusate, per metà di voi ci eravamo sbagliati! L’inconsistenza di un teorema accusatorio montato ad arte per colpire l’ intero movimento trova così l’ennesima conferma, quando una procura si adopera a far sparire alcuni indagati e a farne comparire di nuovi, quando sbatte nelle carceri speciali del paese soggetti ritenuti fortemente pericolosi salvo poi riammetterli in libertà dopo pochi giorni sulla base di semplici dichiarazioni o annullare completamente ogni provvedimento a loro carico.

Alla vigilia dell’udienza preliminare, che si terrà il 24 maggio presso il tribunale di Cosenza e che deciderà in merito alla richiesta di rinvio a giudizio per tredici indagati, il provvedimento di archiviazione offre lo spunto per alcune riflessioni.

Intendiamo innanzitutto denunciare l’uso strumentale che una certa magistratura fa degli organi di informazione e, non da ultimo, il ruolo spesso asservito che almeno una parte della stampa ha verso gli organi inquirenti. La dimostrazione sta nel totale silenzio su un decreto di archiviazione a dir poco imbarazzante. Il provvedimento è stato emesso il 2 aprile 2004 e nessun giornale ne ha fatto finora menzione, a fronte dei titoloni sparati in prima pagina per una richiesta di rinvio a giudizio che, nella più completa inosservanza del legittimo diritto alla difesa, non era ancora stata notificata ai diretti interessati. Apprendere delle proprie disgrazie a mezzo stampa sta evidentemente diventando un fatto normale nel nostro paese!

Le vicende giudiziarie che in questo anno e mezzo si sono dipanate intorno alla cosiddetta inchiesta "no global" sono al tempo stesso grottesche ed inquietanti. La ricostruzione di alcuni passaggi salienti può aiutare a fare luce sulla vicenda.

1) Dopo gli arresti, è la stessa gip che ha firmato l’ordinanza di custodia cautelare nelle carceri speciali a fare un primo passo indietro rimettendo in libertà due degli arrestati a partire da una presunta quanto fasulla "abiura" della violenza. Un provvedimento che mostra tutta la debolezza di un impianto accusatorio costruito ad arte dai ROS e dalla Digos, ed accolto solo in un secondo momento, dopo il diniego di altre procure, dalla Procura di Cosenza.

2) Il Tribunale della libertà di Catanzaro nel dicembre del 2002 produce una sentenza che, oltre a rimettere in libertà tutti gli arrestati, demolisce dalle fondamenta l’impianto accusatorio del provvedimento. "Esprimere il dissenso non è reato" è il messaggio cardine delle motivazioni di quella sentenza.

3) Nel maggio del 2003, nonostante la richiesta dello stesso procuratore generale di rigettare il ricorso presentato dal pm titolare dell’indagine, la Cassazione annulla la sentenza del tdl di Catanzaro per esclusivi vizi di forma, mentre i contenuti della sentenza contestata non sono minimamente messi in discussione.

4) Tra la fine di ottobre ed i primi di novembre del 2003 la nuova sentenza del tribunale della libertà di Catanzaro rimescola le carte. Solo a carico di cinque su diciotto già scarcerati dal tdl di Catanzaro rimangono i gravi indizi di colpevolezza. A tre di loro viene addirittura imposto l’obbligo di firma, per tutti gli altri cade ogni contestazione.

5) Tra marzo e aprile di questo anno gli ultimi episodi della vicenda. Notifica di archiviazione di chiusura indagine prima e notizia della richiesta di rinvio a giudizio dopo, solo per tredici degli indagati, due dei quali completamente estranei fino a quel momento a tutta la vicenda giudiziaria. Solo per 11 dei 18 arrestati nel novembre 2002 è stata presentata richiesta di rinvio a giudizio, cinque di quelli che finirono nelle carceri speciali vedono cadere ogni contestazione a proprio carico.

Che si tratti di una montatura giudiziaria, che l’obbiettivo del provvedimento sia di carattere strettamente politico (orientato cioè a scaricare le pesantissime responsabilità che le forze dell’ordine hanno nella violentissima repressione delle mobilitazioni in occasione del Global Forum a Napoli e del G8 a Genova) lo sappiamo bene e con noi lo sanno le centinaia di migliaia di uomini e donne che a Cosenza, nel resto del paese e anche all’estero si sono mobilitate all’indomani degli arresti.

L’inchiesta di Cosenza appare quindi estremamente emblematica sia da un punto di vista tecnico-giudiziario sia da un punto di vista politico. Infatti, oltre a riesumare cadaveri antistorici del Codice Rocco, imputa a tutti gli indagati il reato di "cospirazione politica finalizzata alla turbativa delle funzioni del Governo": ovvero non ci si può organizzare per contestare le decisioni politiche del Governo! Così diventa un processo-laboratorio contro tutto il movimento e contro tutte le forme del dissenso. Non a caso, a seguire, ci sono stati arresti e procedimenti giudiziari che hanno preso spunto dall’inchiesta cosentina che, perla tra le perle, ci imputa anche la responsabilità morale della morte di Carlo Giuliani.

Nessun pezzo del movimento, noi compresi, può fare da capro espiatorio alla sospensione dei più elementari diritti costituzionali a Napoli e a Genova, né tantomeno al programmato massacro di piazza finalizzato a bloccare l’ espansione del movimento anti-neoliberista. Non ci stiamo a rimanere in silenzio mentre il provvedimento giudiziario che ci vede indagati si manifesta in tutta la sua contraddittorietà.

La libera espressione del dissenso non può essere processata, e se questo è vero per cinquanta, non può non essere vero per gli altri tredici!

Cosenza, 23 aprile 2004

I 13 indagati e indagate dell’inchiesta No-global


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