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Storia dell’anarchico Passannante

Nel 1878 fu autore di un fallito attentato alla vita di re Umberto I, il primo nella storia della dinastia Savoia. Condannato a morte, la pena gli fu commutata in ergastolo. La sua prigionia fu spietata e lo condusse alla follia, sollevando un enorme scandalo nell’opinione pubblica.

di Salvatore A. Bravo - sabato 14 giugno 2025 - 402 letture

Giovanni Passannante: eguaglianza ed eguagliamento

Ci sono storie, apparentemente minori, che rivelano l’identità di una nazione e di un continente. La rimozione e la dimenticanza sono sempre il sintomo di una patologia sociale che attraversa il corpo dello Stato e si infiltra nelle relazioni sociali. Non confrontarsi eticamente con le violenze del passato non può che determinare l’ordinaria violenza non riconosciuta nel presente e, specialmente, insegna a deresponsabilizzarsi dinanzi alla storia e ad evitare di confrontarsi con le resistenze e le opinioni che non si omologano al “politicamente corretto”. In tale contesto si lavora per l’eguagliamento e non per l’uguaglianza. L’eguagliamento è la produzione in serie di individui conformi al sistema che ripetono gesti e parole che incontrano la pubblica approvazione. Il sistema si riproduce senza tensioni, mediante la passività dei sudditi. L’uguaglianza è ben altro, è pratica democratica e dialettica delle differenze che si riconoscono in principi universali comuni pensati e concettualizzati.

Una società fondata sull’eguagliamento non ha storia, la rifiuta, la rimuove, essa è concentrata sul presente ed è sempre alla ricerca del consenso. Il tempo si riduce all’attimo da inseguire e a cui conformarsi. In una realtà di tal genere il confronto con il passato al fine di comprendere il presente e riorientarsi verso il futuro è puntualmente negato. I popoli sono addestrati a ripetere i copioni che altri hanno pianificato e la cultura si riduce a pratica del “politicamente corretto”. L’eguagliamento è il nuovo totalitarismo che si infiltra in stati formalmente democratici. La storia di Giovanni Passannante, anarchico lucano, svela la tempra etica della nazione tutta.

Giovanni Passannante e la giustizia negata

Una delle storie dimenticate è la tragedia, perché tale fu, Dell’anarchico Giovanni Passannante. Egli nacque a Salvia il 19 febbraio 1849 in provincia di Potenza. La povertà della famiglia e del meridione non fu accettata come un dato naturale, ma gli procurò la sete di giustizia. Sentiva l’umiliazione dei poveri nelle carni. Imparò a scrivere, in una famiglia di analfabeti, a Salerno sui testi di Mazzini e di Garibaldi dove si recò per imparare e lavorare. Al suo ritorno a Salvia lavorò come cuoco, fu licenziato, perché fu scoperto a leggere.

La disperazione e la rabbia per le ingiustizie subite da un popolo tutto lo condussero a progettare l’attentato al re. In lui si svelava la storia degli sfruttati e lo indusse ad attentare a Umberto I per denunciare la miseria materiale e spirituale del popolo.

Il 17 novembre 1878 attentò alla vita di Umberto I In visita con la regina Margherita a Napoli con poco o nulla nocumento per il re. Egli si avventò sul re con un temperino e gli procurò ferite superficiali. Passannante fu condannato a morte e poi graziato dal re; la famiglia di Passannante subì un autentico rastrellamento pur estranea ai fatti. Fu condotta prigioniera nel manicomio di Aversa. L’intera famiglia fu oggetto di un autentico rastrellamento.

Scienza e giustizia

La scienza dell’epoca si schierò con il potere, era ed è parte del dispositivo di legittimazione del potere. L’attentato fu spiegato con la tesi della tara famigliare. Il fratello Giuseppe Passannante fu giudicato pazzo, in realtà era fragile per lo scorbuto e per la miseria e la “follia” del fratello fu utilizzata per giustificare il delitto, il quale aveva come unica causa la tara genetica famigliare. Gaspare Virgilio direttore del manicomio di Aversa così scriveva nel suo testo sul caso Passannante:

“Il padre, convulsionario prima, eccentrico poi, stravagante, e la madre nevropatica ed imbecille, preformarono nella generazione in esame il terreno favorito al mal seme di diversi elementi degenerativi: cioè dell’imbecillismo o povertà di spirito (caratteristica dell’intera famiglia), dell’albinismo e delle convulsioni nei più tardivi rampolli, e della pazzia infine di uno dei membri, la quale perciò stesso fu di natura idiopatica e scoppiò senza causa apprezzabile. E che tale sia stato il meccanismo patogenetico di quest’ultima, se ne può ottenere la conferma collo studio della forma morbosa che ha assunto la psicopatia nel Giuseppe Passante. Forma cronica, con delirio sistematizzato di religione e di grandezza, che dev’essere additata come una paranoia primaria. Questa speciale alienazione, quale che esso sia il contenuto della personalità nel caso concreto, va collocata nella classe delle degenerazioni psichiche, val quanto dire eminentemente ereditarie, proprio come nel caso di Giuseppe Passannante la ricerca storico-anamnestica ce la svela. Da quanto si è venuto appurando in occasione del fratello ricoverato nel mio Manicomio è fatto lecito di ricostruire la vera base scientifica ad un più giusto apprezzamento del Giovanni del 1879” [1].

Giovanni Passannante fu condannato a morte. La reazione al caso toccò intellettuali e politici “realmente dissidenti”. Giovanni Pascoli fu imprigionato per alcuni mesi per aver partecipato alle contestazioni degli anarchici. Scrisse un’ode per l’anarchico che andò distrutta, in quanto rea di aver preso le difese dell’anarchico per la sproporzionta sentenza. La pena di morte fu commutata in ergastolo e per anni fu detenuto nella torre della Linguella detta anche del Martello, in condizioni atroci, a Portoferraio nell’isola d’Elba in una cella sotto il livello del mare. La cella era buia e senza latrina, era alta 1,50, mentre l’anarchico era alto 1,60, al piede aveva una catena di diciotto chili. La cella era sempre buia, perse tutti i peli, si ammalò di scorbuto e nell’aspetto divenne irriconoscibile. Diventò pazzo per la lunga e inaudita tortura. La reclusione fu solitaria. Fu costretto a mangiare i suoi escrementi per la fame.

Una giornalista Anna Mozzoni, modello di un femminismo perso nella storia, si recò col deputato socialisto Agostino Bertani a fargli visuta e fu loro pemesso di osservarlo dalla serratura. Denunciò il caso e questo favorì il dibattito che condusse dopo anni al trasferimento in manicomio, ma ormai era folle. Il resoconto della visita è riportato da Francesco Merlino:

“Passanante è rimasto seppellito vivo, nella più completa oscurità, in una fetida cella situata al di sotto del livello dell’acqua, e lì, sotto l’azione combinata dell’umidità e delle tenebre, il suo corpo perdette tutti i peli, si scolorì e gonfiò... il guardiano che lo vigilava a vista aveva avuto l’ordine categorico di non rispondere mai alle sue domande, fossero state anche le più indispensabili e pressanti. Il signor Bertani... poté scorgere quest’uomo, esile, ridotto pelle e ossa, gonfio, scolorito come la creta, costretto immobile sopra un lurido giaciglio, che emetteva rantoli e sollevava con le mani una grossa catena di 18 chili che non poteva più oltre sopportare a causa della debolezza estrema dei suoi reni. Il disgraziato emetteva di tanto intanto un grido lacerante che i marinai dell’isola udivano, e rimanevano inorriditi” [2].

Punire dopo la morte

Dopo dodici anni di crudeli sofferenze fu liberato e condotto in manicomio dove morì, cieco, il 14 febbraio 1910. Alla sua morte il corpo fu decapitato per poterne studiare cervello e cranio. I poveri resti sono stati lungamente oggetto di studio e solo nel 2007 sono stati prelevati dal Museo criminologo di Roma a Savoia di Lucania per essere portati al paese natio, dove sono stati tumulati. Il resto del corpo è seppellito a Montelupo Fiorentino. Il paese che gli diede i natali, dopo l’attentato, mutò il nome da Salvia a Savoia di Lucania per non essere associato al gesto dell’anarchico e per esprimere l’inossidabile fedeltà a casa Savoia. Il corpo di Giovanni Passannante è ancora lacerato perché tumulato in due luoghi differenti e il paese natio continua a chiamarsi Savoia di Lucania, benché siamo in Repubblica.

Giovanni Passannante è uno sconosciuto, perché è la nostra storia è dispersa nell’omologazione senza memoria e con essa la coscienza etica di un popolo si inabissa nella condizione di eguagliamento tipico della plebe. Le parole di Costanzo Preve, in ultimo, ci sono d’ausilio per capire la tragedia dell’eguagliamento senza memoria e senza identità politica:

“Bisogna distinguere l’eguaglianza e l’eguagliamento. L’eguaglianza è una cosa buona, e non può camminare senza la libertà, che ne è una sorella siamese, legata insieme cioè con il corpo. L’uomo è libero per natura, e persegue l’eguaglianza come scopo consapevole e razionale, mosso dal suo senso di giustizia. L’eguagliamento, che non ha nulla a che fare con l’eguaglianza, è una patologia sociale che avviene in due modi, e cioè come eguagliamento dei modelli conformistici di consumo e di comportamento (tutti vestiti eguali alla moda, tutti con i medesimi costumi simbolici di status, eccetera), oppure come livellamento sindacalistico di tipo furiosamente antimeritocratico” [3].

A ciascuno di noi il compito di recuperare la memoria e di avviarci verso l’eguaglianza.

[1] Gaspare Virgilio, Passannante e la natura morbosa del delitto, Ermanno Loescher, Roma 1888, pag. 17

[2] Salvatore Merlino, L’Italia così com’è, 1891, in: Al caffè, di Errico Malatesta, 1922

[3] Costanzo Preve, Luigi Tedesco, Alla ricerca della speranza perduta, Settimo Sigillo Roma, 2008 pag. 43


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