Sorry we missed you
Un film diretto da Ken Loach e sceneggiato da Paul Laverty (2019, Regno Unito, Belgio, Francia - durata 101 minuti)
Ken Loach è forse uno dei più diretti comunicatori cinematografici di sempre. Non si smentisce neanche in questa sua ultima opera. Poche sequenze e lo spettatore è già dentro la storia. La vive, la impersona e, col passare dei minuti della proiezione, è già il personaggio che prova il sentimento di rabbia che le immagini hanno, sin dall’inizio, il compito di suscitare.
L’ambientazione è cibo di cui il regista si nutre da anni. Quell’Inghilterra che galleggia tra un’immagine british da mostrare al mondo, tra cappellini colorati della regina, nipoti ingrati ad un titolo nobiliare rinnegato, un passato il cui nome Diana richiama subito il disagio e lo scrupolo di coscienza e un sottosuolo sociale che è conosciuto solo a coloro che in Great Britain ci entrano dalla porta di servizio.
E’ quell’underground sociale dove il lavoro la fa da padrone, non solo in senso figurato. Migliaia di lavoratori sfruttati da decenni, tra capricci economici che avviò negli anni ’80 la lady di ferro e dei quali si pagano ancora le conseguenze. La capacità di Ken Loach è quella di raccontare il disagio di una generazione attraverso la semplicità di una vita di coppia, Ricky e Abbie, protagonisti di un’apparente normalità, che sta in bilico tra la voglia di riscatto dell’uomo, convinto che sia suo dovere aprire un nuovo cammino di agiatezza e sicurezza economica che a lui è stata negata, e la moglie che svolge il lavoro più umanitario di sempre, quello dell’assistente domestica ad anziani ed invalidi, come una missione dove il giusto guadagno, che non c’è mai, è solo il riconoscimento per avere svolto il proprio dovere.
La scelta di Ricky di provare ad innalzare il budget economico della famiglia, scegliendo di aprire una piccola azienda di consegne alle dipendenze di un magazzino che opera per conto dei grossi venditori online dei nostri tempi, dimostra la crudeltà che si nasconde dietro il desiderio umile e legittimo di poter avere un giorno una casa propria, evitando di buttare soldi nell’affitto, come lui stesso giudicherà nel tentativo di convincere gli altri componenti della famiglia a sopportare un ultimo sforzo.
La drammaticità della narrazione del nuovo film di Loach ha il pregio di descrivere una realtà, scomoda e diretta, alla quale non si può sfuggire se vogliamo osservare il mondo del lavoro dei nostri tempi con un occhio obiettivo e critico verso questo diritto, in Italia riconosciuto dalla Costituzione, che è diventato lo strumento di legittimazione di un nuovo schiavismo.
Particolare lo stile con il quale il regista ci descrive con le immagini il rapporto conflittuale, quasi violento in determinate circostanze, tra quest’uomo, padre, marito ma soprattutto lavoratore e il figlio Sebastian, adolescente che, in lui, vede il fallimento di una generazione che lo precede e che potrebbe condurlo ad un’idea di vita futura sorretta dalla rassegnazione e da un subire passivo di qualsiasi forma di angheria alla quale si sono votati i genitori.
Un messaggio prevale sugli altri. La mancanza di dialogo. La maestria del regista sta nell’evidenziarla attraverso la contrapposizione di continui scambi di opinione, di sedute estemporanee familiari, attorno ad una tavola a fine giornata, Ma è un dialogo artefatto, dove chi ascolta lo fa spesso solo per attendere la giusta provocazione da ripagare con un liberatorio fuck-off.
E poi la figlia minore, Liza Jane, undici anni di maturità coatta, a parlare di argomenti più grandi di lei, provando a rivendicare il suo ruolo di bambina con un orsacchiotto in mano. Un privilegio non suo, non più. A dividersi tra una parola di conforto per il padre e la voglia irrefrenabile e necessaria di rifugiarsi ancora nel seno della madre, lasciando fuori il mondo degli adulti che non hanno più il tempo per fermarsi ad ascoltare la sua nascosta richiesta di aiuto.
Argomenti attuali, scomodi, disarmanti. Tipici del cinema di Loach. Gli spettatori abituali del regista si aspettano questo genere di contatto diretto con la realtà e in questo non vengono mai delusi. Troppo inficiato di realismo contemporaneo per pensare soltanto ad una candidatura agli Academy Award. A volte un distinguo non da poco...
Scheda del film
Interpreti e personaggi
Kris Hitchen: Ricky Turner
Debbie Honeywood: Abbie Turner
Rhys Stone: Sebastian "Seb" Turner
Katie Proctor: Liza Jane Turner
Fotografia Robbie Ryan
Montaggio Jonathan Morris
Musiche George Fenton
Scenografia Fergus Clegg
Costumi Jo Slater
Trucco Anita Brolly
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