Slavofilismo e populismo / di F. Dostoevskij

di Redazione Antenati - lunedì 24 gennaio 2005 - 5275 letture

"Io affermo che il nostro popolo ha avuto una cultura già da molto, prendendo nella sua essenza stessa Cristo e la Sua dottrina. Mi si dirà che esso non conosce la dottrina di Cristo e non gliela predicano, ma l’obiezione è infondata: esso sa tutto, tutto ciò che appunto gli occorre sapere, anche se non sia in grado di sostenere un esame di catechismo. Ha imparato nelle chiese, dove per secoli ha sentito preghiere ed inni, che sono migliori delle prediche. Ha ripetuto e cantato egli stesso queste preghiere nelle foreste, salvandosi dai suoi nemici e durante l’invasione di Batyj forse cantò: "Signore della forza sii con noi!" e proprio allora forse imparò questo inno, perché allora oltre a Cristo non gli restava nulla e in esso, in questo inno, è già tutta la verità di Cristo. E che c’è di grave nel fatto che al popolo tengono poche prediche e il basso clero borbotta le preghiere in modo incomprensibile? E pure è la piú colossale accusa che viene rivolta alla nostra Chiesa, inventata dai liberali, insieme all’altra che lo slavo ecclesiastico è incomprensibile al popolo semplice (e i vecchi credenti? Signore!). In compenso il pope davanti all’altare legge la preghiera "O Dio, signore della mia vita" e in questa preghiera è tutta la sostanza del cristianesimo, tutto il suo catechismo, ed il popolo sa questa preghiera a memoria. Conosce anche a memoria molte vite di santi, le racconta ed ascolta con devozione. Ma la principale scuola di cristianesimo che egli ha fatto sono i secoli di innumerevoli e sconfinate sofferenze da lui sopportate nella sua storia, quando, abbandonato da tutti, calpestato da tutti, al lavoro per tutti, rimaneva solo con Cristo-Consolatore, che egli accoglieva allora nell’anima per i secoli e che per questo gli salvò l’anima dalla disperazione".

[...]

"Sia pure nel nostro popolo la bestialità e il peccato, ecco quel che in esso è indiscutibile: nella sua totalità esso per lo meno (e non soltanto idealmente ma nella piú autentica realtà) non ha accettato mai e mai accetterà e vorrà accettare che il suo peccato sia considerato verità! Esso peccherà, ma dirà sempre, prima o poi: ho commesso un’ingiustizia. Se non lo dirà il peccatore stesso, lo dirà un altro per lui e la verità sarà stabilita. Il peccato è fetore e il fetore passerà quando il sole splenderà pienamente. Il peccato è cosa passeggera, ma Cristo è eterno. Il popolo peccherà e si insozzerà ogni giorno, ma nei momenti migliori, nei momenti di Cristo, non sbaglierà mai per quanto riguarda la verità. Appunto questo è importante, in che cosa il popolo creda come sua verità, in che cosa egli la veda, come se la rappresenti, quale consideri come suo miglior desiderio, a che cosa si sia affezionato, che cosa chieda a Dio, per che cosa pianga nella sua preghiera. E l’ideale del popolo è Cristo. Ma con Cristo, si capisce, è la cultura".

F. M. Dostoevskij, Diario di uno scrittore, Sansoni, Firenze, 1981, pagg. 1284 e 1286-12876


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