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Sistema bancario e BCE al centro della ricostruzione economica del Paese, oltre il Recovery Fund

L’intervento della BCE potrebbe servire innanzitutto a sostenere l’occupazione ed il lavoro, attraverso adeguate modalità giuridiche ed economiche...

di Achille Gattuccio - mercoledì 30 settembre 2020 - 2728 letture

Questo articolo integra ed aggiorna il mio testo pubblicato il 20 maggio 2020, con il titolo “BCE e immissione di liquidità nel sistema economico e produttivo”.

Nel frattempo, nell’ambito degli interventi per far fronte alle necessità economiche provocate dalla pandemia, è intervenuta, come fatto di straordinaria rilevanza, la condivisione in sede europea del progetto di aiuti agli Stati dell’Eurozona, caldeggiato dal nostro Governo insieme con altri importanti governi europei, intitolato “Next generation EU”.

Il nostro Paese ha ricevuto certamente una particolare considerazione nell’assegnazione delle risorse, sia a fondo perduto sia mediante prestiti da restituire nel lungo termine, rispetto agli altri Stati Europei che, pur vantando alcuni economie di prima grandezza, quali la Germania e la Francia, hanno avuto attribuito, in termini quantitativi, una minore assegnazione di risorse (ai 209 miliardi per l’Italia - di cui 82 a fondo perduto e 127 per finanziamenti da restituire - corrisponde un’assegnazione di 38 miliardi per la Francia e 28 per Berlino a fondo perduto).

Nel mio precedente testo ho sostenuto la opportunità di un intervento della Banca Centrale Europea mediante l’emissione di moneta per finanziare, attraverso il sistema bancario, l’economia reale, particolarmente colpita dalle conseguenze, sul piano economico, sociale e del lavoro, della pandemia: al riguardo, ho ipotizzato un intervento statale fiscale che sostenesse la richiesta e l’attivazione dei prestiti della BCE, svolgendo anche alcune osservazioni sulla mancanza di pericolo inflazionistico, per il fatto che la BCE stampasse moneta in aggiunta ai suoi importanti interventi per l’acquisto di titoli di debito pubblico e non.

Lo strumento del “Recovery Fund” ha reso meno necessario almeno da parte di alcune rilevanti forze politiche della maggioranza e dell’opposizione, il MES, Meccanismo Europeo di Stabilità, dal quale nella seguente esposizione intendo prescindere.

La prospettiva dell’attivazione del ‘Recovery Fund’ escluderebbe un ulteriore e diverso intervento della BCE, ovvero permarrebbero tuttavia ragioni di necessità o almeno di opportunità, per ricorrervi?

Per rispondere alla domanda è conveniente muovere intanto dall’esame delle criticità del “Recovery Fund”, sotto diversi profili:

In primo luogo e fondamentalmente la riconosciuta urgenza degli interventi finanziari.

Secondo quanto ritenuto, anche da coloro che in sede governativa e dottrinaria hanno celebrato i risultati ottenuti in sede europea dal Governo, si riconosce che le provvidenze non saranno disponibili prima della seconda metà del 2021.

La crisi economica non sopporta tale ritardo, pur calcolato ottimisticamente con la previsione che tutto vada per il giusto: l’urgenza e la praticabilità degli interventi rilevano particolarmente in materia di occupazione e lavoro, specialmente quello giovanile (oggi, secondo l’Istat, a causa della pandemia sono venuti meno 800.000 posti di lavoro, dei quali la metà riguardanti persone di età inferiore a 35 anni, ciò è accaduto quando ancora sono operanti il contestato dagli industriali divieto di licenziamento e in presenza della cassa integrazione straordinaria).

In secondo luogo, le risorse utilizzabili tramite “Recovery Fund” riguardano settori strategici di rilevante interesse generale, mirati ad ammodernare la nostra economia (digitalizzazione, risanamento ambientale, opere pubbliche, sanità) con indirizzi concordati in ambito europeo; solo che le necessità dell’economia reale non attengono soltanto ai settori strategici, ma anche al complesso delle specifiche attività economiche e imprenditoriali, gravemente colpite dalla pandemia.

Ancora non si può non osservare che gli interventi ipotizzati del “Recovery Fund”, per i quali il Governo ha predisposto e presentato al Parlamento italiano le linee di indirizzo per poi trasmetterle alla Comunità Europea, hanno una provenienza pubblica, cioè le scelte sono affidate essenzialmente ai pubblici poteri, sia in fase di progettazione sia di realizzazione; mentre la partecipazione della collettività degli operatori economici e delle imprese, sia quelle colpite dalla straordinarietà degli eventi sia quelle che volessero impiantarsi (start up ad esempio) per realizzare progetti innovativi e per creare posti di lavoro, sarebbe assente dalla progettazione e non espressamente contemplato dagli interventi pianificati; soltanto in un particolare settore, cioè l’edilizia (per inciso le crisi economiche che si ricordano, che hanno travolto universalmente le economie, si ricollegano alle crisi edilizie), sono stati previsti interventi - ovvero l’”ecobonus” - che presuppongono l’iniziativa dei privati e che potrebbero avere, anche per la misura dell’intervento, cioè il 110% della spesa necessaria, un benefico effetto non soltanto per la ricostruzione edilizia ma anche per il lavoro.

I progetti che si presenteranno per l’attivazione in ciascun Paese degli strumenti finanziari non potranno ricomprendere la numerosità e molteplicità dei programmi di intervento economico previsti. Si parla opportunamente di concentrare in alcune grandi questioni nazionali gli interventi stessi cosicché resterebbero fuori dalle “provvidenze” la maggior parte dei programmi di intervento che sono stati richiesti di elaborare anche agli Enti locali. Inoltre, non è da escludere che si pongano problematiche di particolare difficoltà al momento della realizzazione della cosiddetta “provvista” per alimentare il Fondo europeo, legata come è noto al bilancio dell’UE e suscettibile di avversioni da parte dei Paesi che hanno manifestato riluttanza rispetto alle scelte economiche della Commissione Europea; peraltro, il Commissario europeo per l’Economia, Gentiloni, ha espressamente escluso anticipazioni a valere sulle risorse del “Recovery Fund”.

Nella fase attuativa, altre criticità potrebbero subentrare, in primo luogo in ragione della urgenza e tempestività degli interventi, per i quali, se è prevista la restituzione dei prestiti a larghissimo termine, per gli interventi a fondo perduto e per gli stessi finanziamenti si prescrive che raggiungano gli scopi prefissati (almeno attualmente) entro due anni dalla loro erogazione, che non sarà in unica soluzione, ma che avverrà per gradi e scaglionata nel tempo. Ove si tenga conto dei precedenti in termini di utilizzazione delle risorse europee, in tempi ragionevoli, con obbligo di restituzione, è lecito dubitare che in un tempo breve si possano soddisfare le pur giustificate richieste europee.

I Paesi economicamente più robusti nell’ambito europeo, cioè Germania e Francia, hanno previsto che le risorse di provenienza europea siano implementate con risorse proprie dello Stato interessato, cosicché potrebbe manifestarsi la sostanziale debolezza di un intervento che prescinda dalla corresponsabilità nazionale (modalità usuale in passato della normativa del genere improntata alla corresponsabilità degli Stati membri).

Le criticità nell’attuazione degli interventi del “Recovery Fund” consigliano di avvalersi di un ulteriore possibile strumento, quale quello dei prestiti della BCE tramite il sistema bancario, che potrebbe collateralmente conseguire risultati validi per il risanamento economico.

L’intervento della BCE potrebbe servire innanzitutto a sostenere l’occupazione ed il lavoro, attraverso adeguate modalità giuridiche ed economiche. Gli interventi della BCE con prestiti tramite il sistema bancario non si contrapporrebbero ad interventi di diversa provenienza, quali il “recovery fund”, iniziative dello Stato, iniziative private: la complessità e vastità delle esigenze postulano che tutte le iniziative ed attività dirette a contrastare la crisi economica e a risolvere le relative problematiche, principalmente quelle dell’occupazione, realizzino una sinergia, che sia armonizzata e coerente. Oltretutto, gli ipotizzati interventi della BCE con prestiti da erogare tramite il sistema bancario non costituiscono una novità, ma sono stati sia ideati sia parzialmente attuati sotto la gestione della BCE del presidente Mario Draghi.

Infatti, l’acquisto dei titoli di debito pubblico e di aziende di rilevante importanza non è stata l’unica modalità con cui la Banca Centrale Europea ha immesso liquidità nel sistema finanziario. Una diversa modalità si è attuata nel 2015 con prestiti nell’Eurozona per ribaltarli nell’economia reale; relativamente a tale manovra, le banche italiane hanno preso in prestito un totale di 93 miliardi in tre offerte di finanziamento a quattro anni, con la BCE che ha soddisfatto interamente la richiesta pervenuta da 128 istituti di credito della zona Euro. L’intervento della BCE secondo le richiamate modalità non è stato però incrementato, anzi ne è stato registrato un sostanziale arresto perché alla fine è prevalso, in linea generale, l’obiettivo di stabilizzare al meglio il sistema bancario, per la consapevolezza delle conseguenze che avrebbe comportato una crisi delle banche, le quali, godendo di una riconosciuta autonomia operativa, hanno attinto alle risorse della BCE per risanare i propri bilanci.

In questo quadro di ipotizzati interventi, non può non tenersi conto che lo Statuto della BCE vuole che la sua attività sia autonoma da indirizzi politici degli Stati membri dell’UE ai quali statutariamente non è consentito esprimere direttive operative, potendo essi svolgere soltanto valutazioni politiche sul suo operato. La BCE - è bene sottolinearlo - ha però il compito fondamentale (che per quanto riguarda l’Italia ha sostituito quello della Banca d’Italia) di emettere moneta, senza limiti predeterminati che non siano collegati alla politica monetaria. La BCE ha esercitato questo potere, ed intende esercitarlo, secondo le dichiarazioni della Presidente Lagarde, sino al giugno del 2021, con una immissione di liquidità per altri 600 miliardi oltre i 750 miliardi già stanziati: quindi ha immesso e intende immettere risorse finanziarie enormi, attraverso il “quantitative easing”, proseguendo l’opera di Draghi, contrastando efficacemente le speculazioni internazionali sulla moneta e sul debito pubblico ed anche stabilizzando il sistema bancario, in connessione con i suoi poteri di vigilanza e controllo sulle banche operanti nell’Eurozona.

Però le problematiche dell’economia e del sociale, indotte dalla pandemia, la cui drammaticità potrebbe manifestarsi già dalla fine del corrente anno, inducono a superare, come di fatto sta accadendo, i limiti di una pretesa estraneità della fondamentale Istituzione bancaria europea rispetto ai problemi economici e sociali che vanno inevitabilmente imponendosi. L’autorevolezza dei richiami (Draghi) alla necessità di un esteso e capillare intervento del sistema bancario e le sottolineature sulla imprescindibile esigenza di contrastare l’inattività e la disoccupazione, indotte e viepiù aggravate dalla pandemia spingono a considerare quali possano essere gli ambiti di una auspicata immissione di liquidità nel sistema economico e produttivo della BCE tramite il sistema bancario e ad approfondire per quali aspetti e con quali modalità questo intervento possa essere realizzato, ovviamente coordinato e assecondato - come già detto - da interventi di altre istituzioni, prevalentemente attraverso la manovra fiscale.

Sotto la gestione della nuova Presidente Christine Lagarde è stato contemplato, nella misura prima indicata, l’intervento con l’acquisto di titoli di Stato e non il diverso intervento ipotizzato con la concessione di prestiti al sistema bancario da ribaltare direttamente nelle economie reali. Un diverso approccio che contemplasse anche questo secondo tipo di intervento richiederebbe pregiudizialmente l’individuazione delle risorse finanziare necessarie per affiancare il primo tipo d’intervento. Va evidenziato che l’acquisto dei titoli di debito pubblico configura essenzialmente un sostegno alle finanze pubbliche statali, mentre un diverso intervento si rivolge essenzialmente alle economie private, valorizzando l’intermediazione del sistema bancario.

L’individuazione delle risorse necessarie potrebbe teoricamente muoversi nella logica della ripartizione e dell’equilibrio, cioè - si perdoni l’approccio che può apparire semplicistico - destinando una parte delle risorse finanziarie già stanziate all’acquisto di titoli pubblici alla concessione di prestiti da ribaltare nel sistema economico. Peraltro, potrebbe essere utile adottare un diverso meccanismo di concessione di prestiti al sistema bancario, cioè non ricorrendo ad aste tra le banche per l’assegnazione dei fondi, ma affidandosi alla loro iniziativa e alle loro richieste, in dipendenza delle esigenze delle economie reali che le banche sarebbero deputate ad individuare e delle quali dovrebbero farsi tramite, senza limiti che non fossero collegati alla loro capacità di avvistare e soddisfare le specifiche esigenze dei territori e della clientela di pertinenza.

Un approfondimento su un diverso modus operandi non può prescindere dalla valutazione sul sistema bancario e dalla necessità di un approccio innovativo alla operatività del sistema stesso in generale e delle singole banche. Le crisi bancarie hanno indirizzato le scelte di queste aziende nella direzione della tranquillità massima possibile degli impieghi, privilegiandosi quelli che assicurassero i minori rischi possibili con profitti modesti ma sicuri. Questo modo di atteggiarsi nei confronti della clientela e dello sviluppo economico, la ricerca delle garanzie reali e personali più affidabili come criterio principe, la diffidenza verso le economie non tradizionali e innovative, ha sacrificato certamente opportunità di crescita e di sviluppo economico, cristallizzando a volte l’esistente. Occorrerebbe che le banche facessero rivivere al meglio quella che era la loro missione, cioè di impegnarsi nel sostenere l’economia reale, correndo il rischio di una valutazione del cosiddetto “merito creditizio”, al quale dovrebbero essere professionalmente vocate. Non va dimenticato che le banche sono imprese per le quali l’uniformità dei comportamenti non è un pregio, mente certamente lo sarebbe la capacità di individuare esigenze e prospettive economiche specifiche delle realtà nelle quali operano e ancor più destinare le risorse disponibili al sostegno delle realtà economiche da sostenere.

In questo quadro rileva, ritornando al discorso dei possibili prestiti della BCE tramite il sistema bancario, indubbiamente la ampiezza e vastità degli interventi che il sistema bancario e le singole banche potrebbero mettere in essere, senza porsi limiti legati al rigore di criteri certi e garanzie inoppugnabili nella restituzione dei prestiti, ma alla considerazione delle esigenze e delle difficoltà che hanno ingenerato la necessità di richiesta del credito da parte delle imprese economiche che vi ricorrono.

Con questo criterio, i prestiti della BCE tramite il sistema bancario, rientrerebbero nelle logiche del credito agevolato avente la destinazione più ampia possibile con l’esclusione delle iniziative economiche che fossero esclusivamente ispirate alla logica del profitto e che non si muovessero secondo le linee della nuova economia, rispettosa del lavoro e della dignità dei lavoratori coinvolti nella attività di impresa. Con questa logica i prestiti da ribaltare nella economia reale tramite le banche potrebbero coprire anche le necessità di formazione, ricerca e innovazione delle attività di impresa sia di quelle esistenti sia di quelle da avviarsi, con la adeguata strumentazione giuridica che potrebbe teoricamente coinvolgere nella restituzione dei prestiti agevolati a tassi di particolare favore, anche coloro che venissero formati ed assunti per partecipare alle attività di impresa.

L’auspicato diverso approccio consentirebbe di non escludere dalle sovvenzioni le richieste di prestito che fossero dipendenti dalle sofferenze ed incagli determinati dal periodo di inattività, di modo che fosse consentito alle imprese colpite dalla crisi da pandemia di riprendere l’attività e di evitare che il tessuto economico-sociale divenisse “terra bruciata”.

Ritornando alla sinergia di cui si è detto prima, sarebbe utile individuare attraverso quali strumenti e provvidenze sarebbe possibile allo stato agevolare fiscalmente i prestiti, collegare le attività di impresa agli obiettivi indicati in sede europea e nazionale, per l’attuazione del “recovery fund”, mobilitare le capacità e attitudini della collettività nella realizzazione dell’obiettivo della crescita economica e sociale.



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