Sicilianità

Un patrimonio artistico inquantificabile, spaziando su svariati secoli di Storia e stili diversi di architettura. Quanto ne siamo degni?
Quando esplode una rivoluzione, seppur verbale e sostenuta da scambi di opinioni contrastanti, è sempre una notizia da prendere con positività. Già il fatto stesso che un argomento abbia potuto costituire un motivo di querelle dialettica tra due modi di pensare, è sufficiente per far sperare in un mondo futuro che riacquisti la capacità di pensare con la propria testa e manifestare i propri pensieri, auspicando di poterli incrociare con quelli di altri potenziali interlocutori che, sullo stesso argomento, possano avere pareri diversi.
Detta così appare eccessivamente ottimistico questo modo di rivolgere lo sguardo verso le generazioni future e su quanto effettivamente si possa progettare e realizzare, provando a mettere realmente in pratica quelle che spesso sono e, rischiano di rimanere, delle belle frasi da utilizzare all’occorrenza.
Certo, le rivoluzioni oggi si fanno sui social, la recente ricorrenza del primo messaggio inviato con internet è stata celebrata come la panacea delle pene dell’umanità, ma anche nei contenuti si può trovare una consolazione su un mondo eccessivamente portato a dimenticare un glorioso passato.
Quando ci siamo trovati di fronte alla reazione dei "siciliani" nei riguardi delle frasi offensive e, come qualcuno ha voluto semplificare, razziste, dello storico d’arte Philippe Daverio, un nostalgico richiamo alle rivoluzioni isolane contro le ingiurie e i soprusi, tramandate sui libri di Storia, ha risvegliato l’orgoglio di molti. Non si pretendeva certo una sorta di rivisitazione dei Vespri, né una replica delle primavere di Palermo, all’indomani degli omicidi di Falcone e Borsellino. Il tutto, in effetti, si è limitato ad una ormai abituale catena, neanche troppo mistica o religiosa, da fomentare, sostenere, condividere sul solito Facebook. Ovviamente, come da buona abitudine, senza neanche aver letto prima neanche il messaggio da passaparola notato sul profilo degli "amici".
Ci guardiamo bene dall’addentrarci anche noi nella diatriba culturale, esplosa a livello mediatico dalle parole dello storico francese, rilasciate in tv, poi forse smentite. Rivolgiamo la nostra attenzione, piuttosto, su quei politici locali che hanno voluto raccogliere il guanto di sfida dell’intellettuale d’oltralpe, sventolando ipotetiche rivendicazioni di correttezza, di conflitti di interesse da disapprovare, di sicilianità da difendere contro ingiuriosi accostamenti, demagogici e obsoleti (?) alle tante vergogne sociali esportate nel mondo. Sfruttando anche l’ingenuità degli interlocutori, facilmente suscettibili dalle critiche mosse dall’esterno, anche se dalla bocca di un famoso esperto d’arte che, sicuramente, tra i suoi attuali denigratori, fino a qualche settimana fa, poteva annoverare diversi estimatori.
Vogliamo mettere all’attenzione dei nostri lettori, come in altre occasioni (Forza d’Agrò, il crollo della bellezza, Girodivite 18 maggio 2016), la contraddizione di questi scontri culturali. Lo facciamo mostrando le immagini di un’altra località del messinese jonico, ricca di storia e di un altro inquantificabile senso di abbandono e di incuria. Ci siamo recati a Croce, una piccola frazione di Itala, quest’ultima più nota per uno studio condotto dallo storico danese Frederik Poulsen che le attribuì l’origine del nome dell’intera Penisola, mai del tutto confermato. Qui, in contrada Badia sorge una delle più maestose costruzioni religiose, la Chiesa arabo-normanna di SS Pietro e Paolo che, insieme a quella di Casalvecchio Siculo e quella situata a Mili San Pietro, rappresentano le più affascinanti testimonianze della dominazione normanna nella Sicilia nord orientale.
Questa imponente struttura religiosa, che gli storici fanno risalire ad almeno il 1093, anno in cui fu sarebbe stata donata dal conte Ruggero all’abate Gerasimo, merita sicuramente l’attenzione di chi non ha avuto l’occasione di visitarla. La data effettiva della costruzione non è certa e il 1093, anche se alcune versioni storiche anticipano la data di un anno, è certificata dai documenti che testimoniano la donazione. Caratteristica di questa chiesa, come del resto quella su menzionata a Casalvecchio Siculo è quella sorta di mosaico di mattoni rossi che si intervallano con pietre di color bianco e di un nero di origine vulcanica. Rispetto a quella di Casalvecchio, la chiesa di Itala presenta anche una cupola che richiama un’innegabile impronta araba, posta in corrispondenza dell’altare principale. Una caratteristica riscontrabile anche in altre costruzioni ammirabili in Sicilia, tra tutte la Chiesa di San Giovanni degli Eremiti a Palermo.
Adiacente all’abside, per la precisione alle spalle della navata principale, la chiesa ne ha tre, parte una costruzione antica di un monastero. Di fronte al monastero un casolare fungeva da palmento. Questi due elementi architettonici sono pesantemente in stato di abbandono e, in modo particolare per la costruzione adibita a monastero, sono rimaste solo le mura perimetrali, qualche rudere di arcate e di una scala in pietra che, probabilmente, conduceva ai piani superiori, dove sono visibili dei resti di finestre. Il palmento presenta un terrazzino dal quale un ponte di ferro lo collega al piano superiore del monastero. Il sito si chiude con una sorta di chiosco con un terrazzino che si affaccia sulla vallata e dal quale si può ammirare un orizzonte fino al mare. In questo chiosco abbiamo purtroppo testimoniato la presenza di un sanitario rotto, abbandonato per terra.
Constatando l’incuria nella conservazione di questa testimonianza storica di assoluto valore e prestigio della nostra martoriata terra di Sicilia, ci è venuto spontaneo chiedere per quale oscuro motivo nessuno abbia mai pensato di restaurare il sito e renderlo visitabile a quei tantissimi potenziali visitatori che troverebbero molte difficoltà solo ad affrontare la strada che conduce alla chiesa. Ancora più complicato è ritagliarsi l’occasione per visitare gli interni della chiesa. Da consultazioni su alcuni portali presenti su internet, la chiesa sarebbe visitabile la domenica durante la celebrazione della messa, alcuni l’hanno utilizzata per celebrare qualche matrimonio. In alternativa, occorre fissare un appuntamento, non si sa bene con chi, visto che approfondite ricerche su internet, non ci hanno fornito maggiori notizie.
Noi l’abbiamo visitata di sabato ed era chiusa. Un cartello scolorito e quasi illeggibile ci rivela che la chiesa rischiò di essere abbattuta intorno al 1930 a causa delle precarie condizioni della struttura. Il misfatto fu scongiurato dall’impegno del professore Enrico Calandra, che ne impedì la demolizione. Nessun cartello informazioni, relative all’ipotetico appuntamento visite è presente in esterno, a parte quello su menzionato che riporta le brevi notizie storiche. Auspichiamo vivamente che non sia presente all’interno dell’abbazia. Un altro aspetto del sito è l’abitato che si inerpica sulla collina di fronte alla chiesa. Molte case ridotte a ruderi si alternano a costruzioni più recenti con in mostra sui tetti delle inquietanti antenne paraboliche.
Non si può non immaginare quale attrazione turistica potrebbe essere questo sito se solo ci fosse la volontà di restaurarlo. Non sappiamo quali siano state le reali motivazioni di Daverio del suo sproloquio. Sicuramente diverse dalle nostre che ci spingono a documentare questa sicilianità, più folcloristica che figlia di un reale orgoglio del territorio e di appartenenza ad esso. Vorremmo registrare la stessa enfasi e la stessa determinazione a pretendere il recupero di questi patrimoni artistici, con la stessa intensità dimostrata da molti siciliani nel difendere il prestigio di Palazzolo Acreide e del suo ipotetico furto del riconoscimento del titolo di Borgo più bello d’Italia, riconosciuto a Bobbio. Perché se riteniamo plausibile che Philippe Daverio possa non aver mai visto il barocco di questo piccolo centro del siracusano, riteniamo ingiustificabile che molti di questi indignati siciliani, forse non sapessero neanche collocarlo geograficamente, prima della messa in onda del programma sulla Rai.
Il concorso fotografico "Un luogo per Zerobook", che la redazione Girodivite ha bandito qualche mese fa e che celebrerà la sua serata di premiazione il prossimo 16 novembre, si è prefisso proprio questo intento. Invogliare i siciliani a rimpossessarsi del patrimonio artistico isolano che, se alcune statistiche pongono ad oltre il 26% dell’intero patrimonio nazionale, una percentuale che il recupero di siti come quello appena descritto farebbero innalzare notevolmente, non sia soltanto un inutile pavoneggiamento o una rivendicazione d’orgoglio, risvegliata soltanto da una provocazione, ingiusta che sia. Non vorremmo essere costretti a pensare che la reazione virtuale all’attacco dello storico francese non sia stata motivata dalla costatazione di essersi trovati davanti ad una possibile verità.
- Un sanitario rotto abbandonato nel chiosco
- SS Pietro e Paolo
- Resti di una finestra posta al piano superiore
- Punto di contatto tra l’abside della chiesa e il monastero
- Particolare del mosaico cromatico
- Parete posteriore della chiesa
- Lato superiore del monastero
- Interno del palmento
- Interno del monastero visto dal piano superiore
- Il ponte di ferro che collega il palmento al monastero
- Finestra posta al piano superiore
- Facciata
- Copertura sull’altare
- Arcate poste all’interno del rudere del monastero
- Abitato della frazione Croce
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