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"Siamo vittime dell’altoparlante": in ricordo di Giorgio Campolongo

Lotta all’inquinamento acustico. Quando metodi nuovi e tradizionali anziché contrastarsi si compensano. In memoria di Giorgio Campolongo.

di Silvia Zambrini - mercoledì 7 agosto 2024 - 417 letture

La scomparsa di Giorgio Campolongo ci fa sentire più soli di fronte al rumore e tristi soprattutto per chi, come me, ha avuto la fortuna di conoscerlo. Nella sua intensa carriera di ingegnere specialista in acustica, a lungo docente presso il Politecnico di Milano, presidente dell’associazione “Missione Rumore” è stato un riferimento per chi si interessava al fenomeno dal punto di vista scientifico, ambientale, sociale; e per chi ne era vittima.

​Come un medico, che conosce i sintomi meglio del paziente, distingueva il rumore in ogni suo effetto compresi quelli che non dipendono dall’intensità: un telefono che squilla alle tre di notte ha un impatto diverso (allertante, ansiogeno) anche se lo squillo di giorno è lo stesso. Il disagio può continuare anche quando il rumore non c’è, così come quando raccontava della signora che si era rivolta a lui per il pianoforte del vicino e, essa stessa meravigliata, soffriva anche quando nessuno lo strimpellava: il rumore che si insedia nella psiche ancor prima che pervenire attraverso l’orecchio, la paura del suo arrivo non meno impattante della sua presenza. Campolongo è stato pioniere di questo nuovo modo di interpretare il disagio in base al tipo di impatto, alla circostanza e non solo attraverso la quantità in dB., secondo un approccio fondamentale per comprendere quello che è attualmente il rumore della socializzazione, del tempo libero, della comunicazione registrata che ricopre intere stazioni, uffici ecc. Non più solo nella città. Non più solo di giorno. ​ "Siamo vittime dell’altoparlante". Così si esprimeva a proposito della rivoluzione elettroacustica che, in anni di boom economico aveva visto entrare il microfono in tutte le case con le televisioni, le radio, i transistor. In riferimento agli studi di Murray Schafer sul paesaggio sonoro e il recente evento della schizofonia attraverso la frattura tra il suono tecnologicamente mediato e la sua fonte naturale, riteneva l’inquinamento da colonne sonore diffuse particolarmente dannoso per l’infinità di parole che si è costretti a decifrare anche se non interessano e di musica in grado di stamparsi nella memoria (ancor più quella che non piace). E fa riflettere che questi aspetti legati alla psicoacustica, molto più che all’acustica tradizionale, venissero approfonditi da un ingegnere. Che veniva sistematicamente interpellato per perizie acustiche importanti su basi rigorosamente quantitative.

Sensibile al malessere di chi disturbato dai vicini ne sottolineava le conseguenze in termini di crisi coniugali, scarsa concentrazione a scuola, sul lavoro, rischio per chi esercita professioni di responsabilità dopo una notte insonne. E si rammaricava che, per legge, i vicini venissero informati anticipatamente dell’intervento di misurazione fonometrica (seppure non nel loro appartamento), così che quella notte nessuno avrebbe giocato col pallone, spostato mobili ecc. “CTU e il rumore non c’è più” era il suo motto scherzoso.

Ad uno ad uno aveva esaminato i rischi da distrazione in strada per via delle tecnologie sonore e altresì gli effetti pregressi come per la commessa di un negozio con musica assordante che rimarrà confusa anche finito il turno, per il giovane uscito dalla discoteca e l’addetto che ci lavora: questi ultimi, oltre che confusi, per un po’ rimarranno completamente insensibili a ogni suono dell’ambiente il che è ancor più grave mentre si guida l’auto.

Passione, curiosità, iniziativa accompagnavano un lavoro che raramente si interrompeva. Sempre puntuale, con la disponibilità che ancora contraddistingue i "grandi", se non poteva rispondere al telefono richiamava subito chiedendo di essere coincisi. Quando organizzava i convegni imponeva un limite di sette minuti ai relatori ritenendo che, se veramente avevano qualcosa da dire, sarebbero stati più che sufficienti. L’avversione al prolisso, per cui in parte si dissociava da certe correnti dell’ecologia del suono incentrate sulle sensazioni più che sulla denuncia, confermava quella capacità di sintesi con cui riusciva a semplificare anche le questioni più complesse; in quello studio di via Porpora a Milano dove accoglieva studenti, tesisti, collaboratori, chiunque avesse qualcosa da proporre, da condividere.

La ricerca su questi problemi continua grazie anche ai suoi numerosi testi e articoli pubblicati, in cui spiega e descrive il fenomeno sempre secondo quel legame di competenza acustico scientifica e psicologica dell’ascolto: che in parte richiede esperienza diretta con la gente, intuito, sensibilità (ultimamente si stava occupando del disagio di bambini che a scuola si sentono isolati a causa degli edifici acusticamente inadeguati e di un innalzamento complessivo del frastuono. ...Cui contribuiscono anche gli insegnanti). Un aspetto di compensazione degli approcci ancora debole da parte di quanti si occupano di questi temi. Ma che il prezioso lavoro di Giorgio Campolongo ha dimostrato essere possibile. Grazie Ingegnere!


Questo articolo è stato diffuso anche da Fana.one.



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