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Senza un coccodrillo per Mario Luzi

Il ricordo di un suo "paesano" che proprio non se l’aspettava.

di Francesco Chiantese - mercoledì 2 marzo 2005 - 4569 letture

Un coccodrillo è, in giornalistichese, un pezzo da necrologio scritto prima che qualcuno sia morto...in modo che, quando verrà la morte che essa abbia o non abbia i suoi occhi, il pezzo è già pronto. Credo che nessuno avesse un coccodrillo in un cassetto per Mario Luzi.

Anzi. Per chi non è attento alle cronache letterarie il poeta fiorentino è nato pochissimo tempo fa, quando un bel giorno, scovandolo dagli impolverati scaffali della letteratura contemporanea, qualcuno ha deciso di nominarlo senatore a vita. Si mormora che la nomina gli sia arrivata quando oramai il nobel che tanto avrebbe voluto (lui o piuttosto chi per lui?) sembrava oramai chiaro, non l’avrebbe mai ricevuto.

A noi questo non importa più di tanto. Quello che ci importa è l’idea di quel vecchietto che, avvezzo a pensieri così alti da sorvolare la politica italiana del momento, quando si è trovato con la carica politica sotto le gambe ha pensato bene di dire tutto ciò che pensava. Immaginate cosa deve aver provato un Gasparri a trovarsi di fronte quel bombarolo della poesia italiana del ’900.

Ho avuto la fortuna di lavorare per Luzi (o meglio per la fondazione che gestisce parte del suo immenso fondo librario) e quindi di poter parlare con lui diverse volte, nella città in cui io vivo, Pienza, e in cui lui amava passare i momenti liberi. La cosa, banale mi direte, che ricordo con più calore di lui è il fatto che riuscisse, cone la sua parlata lenta e pacata, a narrare fatti ed aneddoti per ore senza usare mai due parole uguali.

Riusciva a cucire con eleganza le parole tra di loro, anche quando stava intrattenendosi coi molti anziani del paese che si fermavano con lui per qualche momento durante le sue lunghe passeggiate. Un poeta che parla tranquillamente con un contadino in pensione al bar.

E’ un immagine, forte tra le meno importanti della storia di Luzi, che raramente verrà mostrata in televisione o sull’altra stampa. Una personalità umile e discreta, che non negava mai a nessuno una parola, neanche al sottoscritto che a diciasette anni lo fermò per fargli leggere delle sue poesie (tutti scrivono poesie fino ai 18 anni...) chiedendogli un commento; commento che ricevette, con fermezza, con criterio, ma anche con grande discrezione e delicatezza.

Questo credo che possano ricordare di Luzi, "il professore", gli abitanti della sua amata Pienza. Ricordo anche quando si addormentò durante uno spettacolo di teatro (era una lettura del Piccolo Povero di J. Coupou) ed alla fine, scusandosi con il regista disse, "mi scusi sa, ma non era tutta colpa mia...". Lo ricordo una mattina di scioperi stampa in cui uscì dall’edicola con tra le mani "Il Manifesto" notando che l’osservavo incuriosito da quella sua lettura atipica, infilandolo sotto il braccio mi chiese ironicamente istruzioni su "come è che lo porta sotto il braccio un vero comunista? Mi faccia vedere lei che è avvezzo..."

Ecco cosa ricordo di Luzi, l’ironia e la fermezza che la poesia gli aveva dato, strappandogli ad uno ad uno i peli dalla lingua. Ma la memoria dei defunti, appartiene ai vivi. Per cui ciascuno si ricordi quel che gli pare.

Chissa cosa ricorderanno di lui tutti i politici locali e "gli uomini di cultura" che avevano incentrato la propria posizione pubblica sull’essere "gli amici di Luzi". Adesso si affanneranno a presenziare commerazioni così distanti da quella che era la sua natura. Un maestro che si fingeva allievo per poter insegnare meglio. Un ironico.


Mario Luzi su "Antenati", la nostra storia delle letterature europee


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