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Se una mattina d’autunno un professore.

analisi del libro di Italo Calvino "Se una notte d’inverno un viaggiatore" sottoforma di racconto in tre capitoli.

di Serena Maiorana - giovedì 7 ottobre 2004 - 8226 letture

Per i nostri lettori: in questo giornale qualche mese fa è stata già pubblicata una recensione del libro "Se una notte d’inverno un viaggiatore" di Italo Calvino. Spero comunque che questa analisi-racconto non appaia come una ripetizione, quanto invece come un tentativo di approfondimento su un libro che ha tanto da dire, provando ad utilizzare lo strumento della scrittura creativa. Ed ora non mi resta che augurarvi una buona lettura!

1 La lettura

Va bene, io il libro l’ho letto. Si tratta di "Se una notte d’inverno un viaggiatore" di Italo Calvino, un libro secondo me bellissimo di un autore eccezionale. Infatti l’ho letto proprio tutto, dal titolo fino al codice a barre della copertina. Tutto. Ed anche velocemente. Ma non è strano, spesso è così che succede quando un libro sa entusiasmarti. Ho anche cercato di seguire col corpo lo scorrere del romanzo, almeno leggendo il primo capitolo, nel quale l’autore inizia a rivolgersi personalmente al lettore (che in questo caso sono io) immaginando le pose, i movimenti e le intenzioni dell’inizio lettura. Un libro ha bisogno di essere assecondato per essere capito, è questo ciò che credo. Comunque sia io ho continuato a leggere. Le pagine scorrevano veloci, sempre più veloci sotto i miei polpastrelli. Ogni volta è così che succede. Comincio piano piano e poi, di colpo, quasi senza accorgermene, ecco che io sono lì dentro. Proprio lì, dentro al libro. Non sento più niente, non penso più a niente. Sono le pagine che una dopo l’altra mi portano in quell’Altrove che è il libro, ogni libro. E che con la lettura diventa mio. Il mio Altrove. Che motivo si avrebbe per leggere altrimenti? Comunque sia è così che è andata quando ho letto il mio primo libro di Calvino, così, tutto d’un fiato. E così di colpo mi sono trovata a conoscere il Lettore e poi anche la Lettrice. Ero con loro quando si sono incontrati per la prima volta, ho accompagnato il Lettore quando di nascosto è entrato in casa di lei cercando di comprenderla meglio, poi ho cominciato a fremere quando loro fremevano, ed infine ho gioito per il loro matrimonio. La Lettrice e sua sorella mi si sono anche presentate: Ludmilla la prima e Lotaria la seconda. Non solo, lì in mezzo, pagina dopo pagina, ho conosciuto un sacco di gente, c’era Ernest Marana che è un mistificatore e poi c’era uno scrittore di nome Silas Flannery, uno noto, dal grande talento. Peccato però che quando l’ho conosciuto io fosse un po’ in crisi creativa. Comunque sia, a noi, tutti insieme, per tutte le duecentoventitrè pagine della narrazione ne sono successe davvero di tutti i colori. E non solo: ai capitoli della Nostra storia Calvino ha pensato di alternare degli incipit di altre storie, addirittura dieci, tutte diverse, tutte esaltanti per me che, intanto, divoravo le pagine. Così, in un battibaleno mi sono trovata coinvolta in una girandola di personaggi e mondi possibili tutti inconclusi, tutti sospesi. C’era il romanzo della nebbia, quello dell’esperienza corposa, quello simbolico, quello politico, quello cinico, quello angoscioso ed ancora il romanzo logico-geometrico, il romanzo della perversione, quello tellurico primordiale ed infine il romanzo apocalittico. Il tutto sigillato dal lieto fine più tradizionale, quello del matrimonio tra il Lettore e la Lettrice, reminiscenza fiabesca che chiude lo sconquasso generale. Meraviglioso. Probabilmente Calvino aveva più di un Altrove da regalarmi. Io, ingorda, li ho presi tutti.

2 L’analisi e la notizia

Ed ora che il libro ho già finito di leggerlo da qualche settimana sono tornata qui, nel mondo reale. Ed ecco che di nuovo sento, che di nuovo vedo. In questi giorni ho fatto altre cose, leggiucchiato altri libri, eppure niente. Niente di simile a tutta quell’avventura in cui Calvino mi ha accompagnata per mano e che per un po’ mi ha emozionata, avvinta, commossa. In una parola: entusiasmata. Eppure per un romanzo io non mi entusiasmo facilmente. Sono parecchi i romanzi che ho letto. Sicuramente non moltissimi, ma comunque un gran numero. E’ abbastanza largo anche il numero dei romanzi che ho apprezzato. Però sono pochi, veramente pochi, quelli che ho amato davvero. Tra questi c’è sicuramente il romanzo di Calvino. Anzi, questo romanzo è in assoluto quello che preferisco. Purtroppo però quando si ama profondamente qualcosa, si sa, non è facile delinearne con esattezza le motivazioni. E difatti io tutto questo amore proprio non me lo spiego. Forse è tutto merito della scrittura di Calvino, vorticosa ma chiarissima, priva di precipitose descrizioni come di inutili divagazioni. O forse è stata la storia, l’intreccio che l’autore ha saputo mettere su carta, con una fantasia così fervida ed un talento letterario talmente evidente da non poter essere accostato a nient’altro io abbia avuto il piacere di leggere. O forse ancora a far scoccare la scintilla potrebbe essere stata l’idea (per la quale comunque Calvino si è ispirato ad alcuni modelli precedenti) di quello snervante ed insieme avvincente susseguirsi di incipit, che fa di questo romanzo un metaromanzo, o meglio ancora un iper-romanzo, dato che è lo stesso Calvino a definire con questo neologismo le opere che si basano sul "principio di campionatura della molteplicità potenziale del narrabile" che è la spina dorsale di questo libro (lo stesso può esser detto anche di "Il castello dei destini incrociati"). Principio questo che ti dà l’illusione di legger molto quando invece stai leggendo poco, e di essere entrato ovunque quando invece sei rimasto fermo e comodo disteso sul tuo letto. O magari rannicchiato sulla pelle morbida di una poltrona di casa. Comunque fermo. Ed intanto la mente viaggia. A fare grande questo libro, comunque, c’è anche il fatto che se è vero che ogni libro in qualche modo rispecchia l’autore è anche vero che in pochi libri ciò è tanto evidente quanto in questo. Forse allora a lasciarmi stordita per tutto il tempo della lettura non sono state tanto le storie del Lettore, o della Lettrice e di tutta quella girandola di personaggi dei quali ho piacevolmente fatto conoscenza. A lasciarmi così stordita forse è stato proprio lo stesso Calvino, con le sue paure, i suoi ripensamenti, le sue aspirazioni, soddisfatte e non. Una presenza così marcata dell’autore tra le pagine della sua opera è stata messa in evidenza da lui medesimo, che non a caso definì la questo romanzo "un’autobiografia in negativo" fatta dei "romanzi che avrei potuto scrivere e che avevo scartato". Un immedesimazione netta è ancora più evidente se si analizza nello specifico un personaggio: lo scrittore Silas Flannery, in pratica una sorta di alter-ego romanzesco dello stesso Calvino. Tramite un personaggio l’autore riesce così ad esprimersi a pieno, esplicitando le motivazioni di un romanzo fatto tutto di incipit, oltre al suo rammarico non solo di non saper più scrivere come vorrebbe, quanto di non "saper" leggere: "Da quanti anni non posso concedermi una lettura disinteressata? Da quanti anni non riesco ad abbandonarmi a un libro scritto da altri, senza nessun rapporto con ciò che devo scrivere io? (…) Da quando sono diventato un forzato dello scrivere, il piacere della lettura è finito per me. Ciò che faccio ha come fine questo stato d’animo, (…) ed è uno stato d’animo che a me è negato". È con queste parole (scritte da Silas Flannery nel suo diario all’inizio dell’ottavo capitolo del libro) che l’equivalenza Flannery=Calvino risulta evidente e che "scrittura e lettura" divengono chiaramente gli argomenti-fulcro di questo labirinto narrativo che è il libro. Le parole di Flannery-Calvino però, ora che le rileggo mi fanno riflettere. Immediatamente mi pento di tutta questa analisi testuale che invece di comprendere e volte rischia di fraintendere. Rileggo ancora quelle parole. Ed ancora, ed ancora. Poi torno a sfogliarlo, il libro, ed ancora lo rileggo. Tutto. E mi domando: è proprio il caso di chiedere altro ad un libro che in fondo chiedeva solo di esser letto?

Suona il telefono. DDDRRRRRIIIIIIIINNNNNNNN. E’ questo il suono, fastidioso, assordante, mi desta dal mondo nel quale mi ero immersa e mi costringe ad alzare la cornetta.
- Pronto?
- Pronto serena sono Paola. (è una mia collega universitaria)
- Serena ho una brutta e una buona notizia da darti. Hai presente l’esame di letteratura, quello che ci tenevi tanto a tenere in questo appello..
- Si, certo…
- Ecco: è domani.
- ….
- ….
- CCCOOOSSSAAAAAAAAAAAA!!! E d ora io come faccio? (tremo)
- Non preoccuparti, ora ho la notizia buona: pare che l’argomento dell’esame sia "Se una notte d’inverno un viaggiatore di Italo Calvino". Tu l’hai letto quel libro, no? (sorrido)
- Certo che l’ho letto! E mi è anche piaciuto moltissimo.
- Bene, hai visto che sei fortunata? Ora coricati e cerca di riposare, che l’esame domani è fissato per le nove.
- Grazie Paola.
- Di niente, e buonanotte.

Paola ha ragione, sono stata fortunatissima, quasi non ci credo, sarò interrogata su un libro che adoro e che ho letto, letto, e riletto. E’ straordinario. Così adesso non mi resta che infilarmi buona buona tra le coperte e aspettare che si faccia mattina.

3 L’esame

DDDDRRRRRRRIIIIIIIIIINNNNNNNNNN!!!!!!!!!!!! Stavolta non è il telefono, è la sveglia. Così, d’improvviso vengo destata dal mio sonno profondo grazie ad un trillo inquietante che non promette niente di buono. Ed invece io sono di ottimo umore: oggi c’è l’esame! Mi alzo, mi lavo, mi vesto, faccio colazione ed infine esco. Lungo la strada sono emozionata, non vedo l’ora di chiacchierare circa questo libro, che mi ha tanto colpita, con la professoressa e con gli altri ragazzi che dovranno sostenere l’esame con me. Arrivo in facoltà, cerco l’aula, la trovo, e con mia grande sorpresa scopro di essere l’unica studentessa presentatasi per sostenere l’esame di letteratura. Per un po’ la cosa mi stranisce, poi mi ricordo che l’esame è stato anticipato, ed allora mi tranquillizzo: probabilmente nessuno aveva ancora letto il libro. Eccola: la professoressa arriva. E’ alta, secca secca, indossa una camicia fiorata di dubbio gusto ed una gonna gialla. I capelli, bruni li ha raccolti, arrotolati, strizzati ed infine fermati alla nuca con una larga pinza dorata. Gli occhi sono coperti dalle lenti dei suoi occhiali da vista, dorati anche quelli. Sembra nervosa. Anche il trillo della sua sveglia deve essere fastidioso, penso. Comunque sia si siede ed anch’io mi siedo, difronte. E così comincia il mio esame.
- Signorina, ha letto il libro di Calvino?
- Certo che l’ho letto! E mi è anche piaciuto moltissimo!
- Non mi stupisce. Capita spesso che studenti in età acerba rimangano colpiti da un opera letteraria quando essa riesce ad imprimere loro quel senso di inconclusa ed estremamente controversa precarietà dell’essere, che viene a porsi come vincolo iprescindibile tra stile ed opera, prologo ed epilogo, armonia e disarmonia dell’insieme letterario che si è fatto opera perchè….bla, bla, bla…. Il concetto di frantumazione dell’io qui portato in luce da chiare reminiscenze oniriche affastellate e…. bla, bla, bla….ed è questo il centro nevralgico di quest’opera. Il motivo del suo essere e del suo esistere, poter meglio argomentare un uomo, un epoca ed infine un mondo. E’ capace, signorina, di sviluppare meglio questi concetti chiave dell’opera, abbracciando al contempo l’acuta analisi che della stessa fanno i maggiori critici novecenteschi? Lo sapevo: non avrei dovuto fidarmi di Paola, questa professoressa sta parlando di tutto, meno che del libro che ho letto io. E’ chiaro, deve esserci stato un errore. Ed allora dico:
- Mi scusi, sono mortificata ma devo aver commesso un errore. Non so di quale opera lei stia parlando ma io ho letto "Se una notte d’inverno un viaggiatore" di Italo Calvino. La professoressa ha come un sussulto, si agita, la vedo guardarmi storto attraverso le spesse lenti dei suoi occhiali dorati, ed infine sbotta:
- Ma perché, di quale opera crede che io stia parlando?
- Beh, proprio io non lo so, ma non credo sia la stessa che ho letto io. Il mio libro parlava, di un Lettore innamorato e di una Lettrice sempre in attesa. E poi c’era anche un tizio che scolpiva i libri, dei ragazzini in cerca di alieni, uno scrittore che non sapeva più leggere ed una tale Lotaria che invece leggeva con un calcolatore elettronico. No, non può proprio essere lo stesso libro, nel mio si parlava anche di censura e di viaggi e di amore e di mistificazione…. Ma certo, la mistificazione! Ora è tutto chiaro! Professoressa mi ascolti attentamente: in questa storia deve esserci lo zampino di Ernest Marana. Deve sapere che lui è un mistificatore di libri noti. Sicuramente quel farabutto ha fatto in modo che lei, o io, o entrambe leggessimo dei falsi! Ecco perché i due libri non coincidono! La professoressa trasale, è sempre più agitata, mi sembra quasi che stia per svenire. Alla fine però torna seria seria e mi dice:
- La smetta di scherzare e stia composta signorina, lei sta tenendo un esame universitario e se, come vedo, lei il libro l’ha letto è meglio che cerchi di rispondere senza assurde divagazioni alle mie domande. Sa ad esempio espormi la critica che del testo calviniano fa l’eccelso Guglielmi?
- Guglielmi? Ma la sua recensione ebbe in risposta una netta stroncatura da parte dello stesso Calvino. E la cosa non mi stupisce visto il forte legame dell’autore verso quest’opera, che lui stesso definisce chiusa e conclusa. Certo che l’eccelso Guglielmi qui ha proprio toppato! - SIGNORINA! Le impedisco di prendersi ancora gioco di me e della migliore critica letteraria! Dunque le conviene rispondere con esattezza a questa domanda perché è l’ultima che sono disposta a farle: quale è il principale modello letterario cui l’autore si ispira nella stesura finale della sua opera?
- Questo lo so! E’ lo stesso Calvino che tramite Flannery nell’ottavo capitolo indica ne "Le mille e una notte" il principale modello di questo tipo di romanzo. No? Ed infatti la risposta della professoressa è proprio un secco no. E poi un altro, ed un altro ancora. Prima soffocati, poi urlati, i no della professoressa mi assalgono, quasi mi seppelliscono. Tremo, quasi piango quando lei mi fa notare che, sempre secondo la critica e…bla, bla, bla…, la struttura del Decameron boccacciano è quella che meglio può essere identificata con…bla, bla, bla….. Non riesco a credere alle mie orecchie, e mi domando come mai una donna così colta faccia tanta fatica prima a leggere ed infine a spiegare un libro. Ma io non cedo e così inizio a spiegarle la mia opinione circa i libri, l’Altrove e questa moltitudine di "Altrove" che Calvino ha saputo regalarmi. E’ un disastro. La professoressa sbigottita diventa paonazza, poi bianca, poi di nuovo paonazza. Infine si alza e mi urla di andar via.
- Bocciata!
- ….
- Bocciata, bocciata, bocciata!!! Io non credo alle mie orecchie. Sbianco, sono triste. Il povero Flannery non è l’unico che ha perso il piacere di leggere. Capita anche ad altri, anche oggi, anche qui, nel mondo reale. E così, anche se a malincuore mi alzo e me ne vado.

Lungo la strada incontro Paola che mi corre incontro e mi dice:
- Serena, Serena ho un’altra notizia per te. Hai presente il compito sulle ulteriori competenze linguistiche?
- Certo che ce l’ho presente, però ora lasciami stare, è una giornataccia.
- No, ascolta è importante. Dobbiamo consegnarlo entro questa settimana, si tratta di un elaborato di una decina di pagine sempre su "Se una notte d’inverno un viaggiatore" di Italo Calvino. Incredibile! Quasi non ci credo. Forse è un segno. Voglio dire: non può essere un caso se, dopo l’esperienza di stamani mi viene data un’altra possibilità. Ringrazio Paola ed incomincio a correre verso casa per iniziare subito a scrivere. E speriamo che stavolta vada meglio.

Come scriverei bene se non ci fossi! Se tra il foglio bianco e il ribollire delle parole e delle storie che prendono forma e svaniscono senza che nessuno le scriva non si mettesse di mezzo quello scomodo diaframma che è la mia persona! Lo stile, il gusto, la filosofia personale, la soggettività, la formazione culturale, l’esperienza vissuta, la psicologia, il talento, i trucchi del mestiere: tutti gli elementi che fanno sì che ciò che scrivo sia riconoscibile come mio, mi sembrano una gabbia che limita le mie possibilità. Se fossi solo una mano, una mano mozza che impugna una penna e scrive…

I. Calvino


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