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Se nelle scuole l’ignoranza diventa una virtù

Ogni voce critica è oscurata nel mondo della formazione, regna così solo il business. Le università private come le pubbliche elargiscono abilitazioni tarate sull’uso delle tecnologia e sulla riduzione della didattica a tecnica applicata. I contenuti sono ritenuti superflui...

di Salvatore A. Bravo - mercoledì 9 ottobre 2024 - 434 letture

A Scuola per produrre uomini

La scuola che ha cura e coltiva il bene degli alunni non può non interrogarsi sul senso della didattica e ancor più sugli effetti che le iniziative scolastiche della didattica innovativa hanno sugli alunni in questi decenni di “totalitarismo aziendalistico”. Lo sguardo sulla pedagogia che si somministra nelle scuole dovrebbe valutare le singole iniziative che connotano La scuola in questi decenni riportandole alla totalità. La somma delle attività scolastiche nel loro insieme sono finalizzate ad un unico obiettivo: l’uomo flessibile-passivo. Se si considerano le singole attività separandole dalla totalità tale percezione-consapevolezza non è debitamente raggiunta. La pedagogia ufficiale non denuncia il totalitarismo pedagogico-aziendalistico, ma lo sostiene con la sua “voce autorevole”, essa ha assunto il ruolo di strumento del capitalismo. La “pedagogia del capitale” prolifera e si infiltra ovunque, nulla dev’essere lasciato alla libera spontaneità.

Ogni voce critica è oscurata nel mondo della formazione, regna così solo il business. Le università private come le pubbliche elargiscono abilitazioni tarate sull’uso delle tecnologia e sulla riduzione della didattica a tecnica applicata. I contenuti sono ritenuti superflui, il fare deve soppiantare il sapere. L’ignoranza è diventata una virtù. Nessuna voce della pedagogia si alza per denunciare lo svuotamento dei contenuti e delle finalità umanistiche.

L’unico suono che si ascolta è l’annuncio del business scuola sotto forma di abilitazioni, certificazioni e aggiornamento sull’uso delle tecnologie. L’uomo calcolante e del fare è il fine ultimo. Il politicamente corretto nella scuola si traduce nella pedagogia del politicamente corretto. Le gerarchie sociali sono in tal modo conservate. La scuola deve normalizzare-naturalizzare il dominio dell’uomo-imprenditore. La tecnica a suo servizio è lo strumento con cui trasformare gli esseri umani subalterni in sottoposti a cui non si riconosce la piena umanità reale. Col totalitarismo aziendalistico si incrinano lotte secolari per il riconoscimento della comune umanità.

Si inaugura “la morte dell’uomo” e inizia l’era dell’automa-imprenditore che non pensa ma calcola. Al centro della scuola non vi sono né l’alunno né i docenti, ma essa è divenuta lo zerbino del mercato che produce uomini e donne mediocri per il mercato. Il termine “produce” non è qui usato casualmente. La logica della produzione è ormai parte del tessuto della scuola. Essa sta penetrando gradualmente nei suoi strati profondi con lo scopo di neutralizzare l’umanesimo, lo teme e lo combatte, stiamo assistendo alla lotta tra due concezioni della civiltà.

Il mercato esige soggetti dinamici, ovvero disponibili a continue metamorfosi, e nel contempo passivi, ovvero adattivi e ubbidienti. La voce del padrone (il mercato con i suoi oligarchi) non dev’essere posta in discussione, anzi i sudditi devono essere automaticamente disposti a mille metamorfosi spaziali e temporali. Il sistema scolastico italiano sta mettendo in atto una rivoluzione distruttrice al fine di formare in serie sudditi passivi e dipendenti. L’obiettivo è ottenuto con l’assenso di pedagogisti, docenti e genitori.

La scuola è un laboratorio dove si sperimenta una pedagogia dell’iperstimolazione quantitativa mascherata con le parole buone del pedagogese: inclusione, recupero, successo formativo, offerta formativa, certificazioni linguistiche, competenze ecc. Le parole si presentano con il luccichio della menzogna. Si tratta di un minestrone che non lascia mai spazio al tempo del pensiero. Si è inoculato l’automatismo secondo cui formare significa dire sempre “sì” ad ogni iniziativa. La scuola odia la scuola, le sue attività tradizionali fondate sull’ascolto, sul dialogo in classe, sullo sforzo dell’alunno nel confrontarsi con i suoi limiti. La classe dove si coltiva la formazione e la socialità è vissuta come un limite. Ogni forma di comunità dev’essere annientata con la sperimentazione radicali finalizzata a destabilizzare le forme comunitarie residue. Si pensi all’importazione della didattica DADA [1].

Gli alunni deve semplicemente adattarsi al movimento perpetuo, devono incamerare l’avversione per ogni stabilità-continuità, senza queste ultime non c’è profondità; i concetti non si sedimentano e non si concettualizza.

Ogni salto qualitativo che esige impegno e confronto con i propri limiti è guardato con sospetto. Il docente che osa condure il proprio alunno nella profondità pensata della conoscenza è considerato “vecchio e superato”. Il presente è nell’ottica del fare senza pensare. Tutto dev’essere rigorosamente superficiale. Si vuole in tal modo realizzare un nuovo tipo umano pronto ad essere offerto alle fauci del mercato. L’uomo di superficie e perennemente sovraesposto agli stimoli è l’obiettivo finale. Un uomo da mercato, che sa poco e non ha consapevolezza di sé questo è l’obiettivo finale. Gli alunni che eccellono nell’adattamento acritico e che si applicano in questo surf della conoscenza sono applauditi e premiati. Essi rappresentano il futuro del sistema: i fedeli devoti dell’imprenditoria e dell’utile a qualsiasi costo.

Ignoranza di sè

La pletora di attività che si riversano martellanti hanno lo scopo di distogliere dall’indole personale e dalla conoscenza di sé. L’ignoranza di sé e della realtà sociale è coltivata con lo smantellamento della disciplina del pensiero ed è sostituita con la capacità di destreggiarsi nel fare e nel parlare (debate). Si deve formare il venditore precoce di sé e dei prodotti che il mercato vuole. Il debate è il mezzo per addomesticare le intelligenze e accompagnarle verso la retorica senza contenuti. La persuasione deve vincere sulla verità. I contenuti residui dei programmi in questa cornice sono il mezzo con cui addestrare all’uso delle tecnologie. Il fine non è la formazione, ma produrre individui anonimi e grigi capaci di usare il digitale senza comprendere la struttura di cui è parte. La catena di montaggio duttile ed eficiente non necessita di conoscenze profonde, ma solo di una infarinatura che non diventa pensiero, carne e sangue. Le infarinature sono sostituibili, mentre la formazione culturale diventa parte della vita, e specialmente da essa si genera il “concetto” e la “prassi”. Si deve deformare la natura umana (logos comunitario), per un nuovo tipo umano che non ha profondità e non ha carattere, pertanto è perennemente dipendente. Il potere trova la sua tranquillità nella riproduzione di tipologie umane controllabili e mediocri. La mediocrità parla il linguaggio del mercato senza comprenderlo, è erosa solo dall’inquietudine competitiva e dal timore panico di non potercela fare. Per i malati che il sistema produce ci sono psicologi e farmaci. Il sistema scuola è al centro di tale mutazione antropologica, è la cinghia di trasmissione dei voleri del mercato nelle nuove generazioni divenute i militi del sistema liberista. Sono liberi nel corpo fino alla sregolatezza, ma il pensiero dev’essere rigorosamente dogmatico. L’obiettivo pedagogico non espresso è la passività da ottenere con il dinamismo dell’offerta formativa, che non lascia mai in pace gli alunni. Le classi e gli alunni più disponibili a lasciarsi attraversare dal sistema sono poi utilizzati dalle stesse scuole, sono messi in vetrina per attrarre iscrizioni. Anche in questo caso si punta sulla sovraesposizione che alimenta forme puerili di narcisismo e di non pensiero. Si gratifica la sensibilità emozionale dell’alunno per ridimensionare il pensiero. In questa cornice continuano a circolare le parole buone della pedagogia organica al sistema, in quanto si teme d’interrompere l’incanto.

Le parole abbagliano e accecano la vista cognitiva, al punto che la menzogna ripetuta è percepita come la verità, l’unica verità possibile, il resto è niente. Esse hanno l’intento di attrare alunni, docenti e genitori nell’iperstimolazione. L’alunno deve vivere senza pensare le tante esperienze che si affastellano, si pensi all’intercultura: un anno o un quadrimestre all’estero, si ritorna, si svolge un esame formale il cui esito è sempre la promozione. Ciò che conta è aver formato soggetti liquidi e disponibili allo spostamento spaziale e allo sradicamento affettivo e identitario. Su tutto alberga la paura continuamente alimentata di essere dei perdenti-disoccupati. Se analizzassero il mercato del lavoro, alunni e genitori capirebbero che solo il denaro di famiglia consente, forse, di evitare la precarietà e lo sfruttamento legalizzato. L’iperstimolazione rende passivi, si è sempre sotto l’abbaglio della stimolazione che sollecita le pulsioni infantili ed egoistiche di ogni soggetto. A tale logica pervasiva e invasiva non si può non rispondere con un sonoro:

“Lasciateli in pace!”.

Il tempo della creatività

La libertà, la creatività e la formazione, termini coincidenti, esigono i tempi vuoti, in cui l’alunno può pensare e conoscersi. L’adolescenza è percorso doloroso e ricco di contraddizioni e sviamenti. Se un adolescente ha il tempo per potersi vivere trova il modo di risolvere il tumulto che lo rende vivo. La creatività è anche il modo in cui l’alunno si confronta con le sue sofferenze. L’adulto che ne ha cura, deve essere presente, ma facendo un passo indietro, in modo da permettergli di vivere il dono più grande: conoscersi. Gli adolescenti per progettare le loro vite non necessitano di “tutor e orientamento” ma di tempo per pensare e pensarsi attraverso i contenuti che le discipline donano. Alla passività di questo tempo malvagio dobbiamo rispondere con la corale limitazione delle opprimenti attività che sono utili al sistema e al guadagno degli adulti, ma che spesso non collimano con la crescita degli alunni. Negli esseri umani bisogna avere fiducia, lasciare in pace gli alunni è un modo per donare loro libertà e creatività con le quali far crescere la loro vita interiore. Rivoluzionaria è una scuola che coltiva la libertà interiore e sociale, per questo dovrebbero e devono essere lasciati in pace. Non si cresce inseguendo il principio di piacere e rincorrendo il mondo, la vita per fiorire necessita di spazi di libertà, di autonomia e, specialmente, del confronto con il “negativo”. Senza la potenza del negativo non si raggiunge nessuna autocoscienza. Il sistema, invece, fa soffrire, ma gli specialisti sono sempre pronti con i loro balsami a distogliere dall’esperienza del dolore. Ogni essere umano, in media, vive l’esperienza della sofferenza e trova il percorso interiore e sociale per capirlo, conviverci e sublimarlo.

L’ossessiva medicalizzazione neutralizza questo processo con il quale si impara a capire anche la sofferenza altrui e ciò consolida la profondità emotiva e solidale. Lo specialista dovrebbe intervenire nei casi eccezionali, le programmazioni particolarizzate dovrebbero essere pratica straordinaria della didattica e, non certo, il mezzo per acquietare le ansie dei genitori e degli operatori scolastici. L’ignoranza di sé e dei contenuti non è una virtù, una scuola che ha cura degli alunni dovrebbe avere al centro la cultura come esperienza personale e comunitaria, anziché il “mercato”. Chi ama la scuola non può che lottare per questo. Nella “notte del mondo”, l’oscuramento della formazione è parte essenziale delle tenebre che avanzano. La notte vela la verità, in quanto malgrado la barbarie che avanza la potenza del negativo affila le sue armi concettuali. Tra docenti, dirigenti e genitori vi è una nicchia che pensa il tempo presente e prepara la svolta. Il futuro non è profetizzabile, ma sicuramente gli scontenti sono in un numero immenso; si potrà invertire la tendenza in atto solo con un’azione politica catalizzatrice, il cui fine sarà organizzare la resistenza propositiva. Ogni gesto, parole, articolo o documento che può contribuire alla “svolta”, e dunque alla defatalizzazione del presente, dev’essere accolto e diffuso. I segnali di resistenza e presenza devono essere resi visibili e discutibili, solo in tal modo la disumanizzazione potrà saggiare la forza dell’opposizione. Il punto di rottura del sistema può realizzarsi nelle istituzioni; la speranza non è attesa, ma azione lenta e finalizzata allo svelamento del reale con le sue contraddizioni e consapevole azione politica/progettuale. Liberare le nuove generazione dal dominio mascherato da “amorevole cura” è uno dei numerosi rivoli dell’agire orientato all’emancipazione della comunità.

[1] DADA: Didattiche per Ambienti Di Apprendimento

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