Scusate il ritardo

Giorgia arrivata alla fermata del 21 salì sulla prima carrozza che passava e viaggiò lungo la tratta, tutta sola annacandosi...

di Deborah A. Simoncini - lunedì 3 ottobre 2022 - 1909 letture

Giorgia arrivata alla fermata del 21 salì sulla prima carrozza che passava e viaggiò lungo la tratta, tutta sola annacandosi e dondolandosi lungo il vagone illuminato. Arrivò a casa stanca morta e piena di paura. I vestiti infangati e le scarpe che puzzavano di feci di cane. Rimase più di un’ora nella vasca e prima di andare a letto. Al mattino appena si alzò raccolse le monetine cadute sotto il letto, sul tappeto e nell’angolo della stanza. In cucina si mise a mangiare una grossa cucchiaiata di gelato al cioccolato. Doveva andare nell’ufficio del Presidente e parlargli, in modo riservato e confidenziale, prima di ricevere dalle sue mani lo scettro del comando.

Immaginò di cosa dolesse parlarle e il solo pensiero, nel fissare intensamente quel volto bambino, l’intristì. “La vita - si sa - è un continuo affrontare problemi, ma io ho un chiaro obiettivo da perseguire: uno scopo superiore, universale. Ho già combinato qualcosa nella vita e saputo esprimere le mie potenzialità.” Giunta al cospetto presidenziale raccontò con la sua voce fioca come per arrivare aveva dovuto attraversare una fenditura nel muro e passare da una vecchia fabbrica, tra sporcizia, calcinacci e pareti nude.

“Tutta la mia vita di prima è stata nell’attesa di diventare regina; ora lo sono e devo regnare e tenere tutto sotto controllo. Il successo economico avvantaggerà la mia svolta a destra, nel saper spingere per un orientamento deregolativo in campo economico e lasciare più spazio al mercato. Per cambiare la cultura economica allenterò i rapporti con i sindacati e la loro presenza continuativa nei territori, soprattutto dove sono più forti. La classe operaia declina e aumentano i salariati dei servizi e nel lavoro autonomo: l’immigrazione, insisto, in rapida crescita minaccia la nostra identità. Aprire le frontiere porta alla concorrenza sleale di immigrati e prodotti stranieri. Da parte mia colmo un vuoto di rappresentanza, altro che integrazione razziale e interculturale. Il popolo, corpo sociale unico e indifferenziato, ha i suoi interessi e io li difenderò. In pochi anni ho raggiunto un consenso consistente e pesco in tutto l’elettorato popolare. La mia offerta è sempre più credibile. La società capitalista si fonda sui debiti e così crea la ricchezza. La loro inerzia ha fatto aumentare a dismisura il debito pubblico. Difenderò e rafforzerò il capitalismo democratico.”

Giorgia sul finire confidò al Presidente di non aver mai fatto l’amore con una donna, prima d’allora, ma poi spuntata Cornelia una bella ragazza del Tufello, dalle lunghe gambe lisce e scure … trasferita a vivere a casa sua che a fatica aveva sfrattata, quando aveva saputo che c’era anche un’altra. Il Presidente si pentì di dover ascoltare episodi importanti e significativi di quella sua vita, narrati in un forte coinvolgimento emotivo. Pensò che avrebbe dovuto dirle “Perché viene a raccontare tutto questo a me?” e farle capire che non era il caso di entrare in così tanta intimità.

All’uscita si comprò dell’acqua e della pizza fritta. Ne lanciò un pezzo a un cane che lesto a trovare il boccone lo inghiottì. “Mio caro Bob, ti meriti dell’altra pizza.” Girando e rigirando, tra le dita mezzo sigaro spento, si ritrovò a un certo punto seduta davanti alla scrivania della sezione narcotici della squadra mobile, al primo piano della questura alla Garbatella. Di tanto in tanto guardava fuori dalla finestra. La stanza piccola, colma di libri, aveva l’odore della carta vecchia. Delle mappe geografiche stavano appese a una parete. Faceva molto caldo e grondava di sudore, mentre si ricordò dei suoi problemi alla schiena.

L’agente Silvio Sprecafico, in fase di transizione anagrafica, nel consolarla come poteva la spronò a meditare, a vedersi pensare e contare i respiri. “Si deve occupare di lei ora come non mai, ha bisogno di lei.” “La furfantella è venuta qua! Vorrebbe sporgere denuncia. Sono io che devo difendermi: ho bisogno del porto d’armi.” “Per questo ci siamo noi, le forze dell’ordine.” “Dormivo e mi ha svegliata … avessi avuto la pistola, mi sarei alzata e sarei uscita per affrontare l’intrusa … Sono vittima di stalking al femminile, ma so smontare, pulire e rimontare il fucile …” Preparatele una tazza di camomilla. “Mi stia a sentire, per prima cosa lei non sa sparare e quando presenterà la domanda alla prefettura di porto d’armi per difesa personale, chiamerò personalmente il prefetto e gli dirò di prestare molta attenzione al suo certificato di identità psicofisica. E poi lei non ha mai prestato servizio militare.” E allora cosa devo fare? “L’affronti a mani nude, mostri minacciosamente i pugni, urli e solo se necessario colpisca. Per tutto questo non c’è bisogno di pistola o fucile.” Io sono di mano destra e lesta, mi distinguo sotto il profilo sociale-economico e culturale dalla sinistra. Di fronte ai delinquenti bisogna farsi giustizia da soli e per questo ci vuole l’arma.”

Passati appena tre mesi al governo Giorgia triste e grassa se ne stava ancora in ritardo su molte delle cose che avrebbe dovuto fare. Gradualmente, ma in fretta, le salì un’inquieta disperazione al punto tale da portarla a decidere che non avrebbe preso più servizio e si sarebbe dimessa. Si mise a girare per casa in pigiama, poi a fine settimana tutt’a un tratto poggiò per terra un sacco di plastica della spazzatura, con cui aveva traslocato dal ministero: pochi indumenti e l’intimo personale, compresa l’opera omnia di M. che rileggeva quotidianamente, con tutti gli appunti scritti a margine.

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Giorgia Meloni - granita tricolore

Si tolse gli occhiali e si asciugò il sudore che le gocciava. Il caldo era umido. Chiamò sua madre perché l’ospitasse. Bermuda e maglietta si mise il sacco in spalla, si fece due chilometri a piedi, strascicando le infradito, e le vennero le vesciche. Arrivò ansimante col fiato corto e ricoperta di sudore, dopo aver camminato sotto il sole rovente. Suscitava pietà e repulsione. Andò in cucina e nell’angolo cottura si mise a mescolare il sugo. Al bollire dell’acqua gettò le penne. Seduta a tavola, con l’espressione affranta, in tre morsi si mangiò mezza ciabatta e poi passò a ingaggiare una battaglia serrata col piatto.

Aveva raggiunto il punto più basso della sua esistenza, ma era sicura dei suoi buoni motivi. Chi si sarebbe mai presa cura di lei? Non poteva continuare a fingere di non vedere come era conciata. Chiamò per tirarsi su Guidone il gigante buono: “Sto pensando di farmi una moto” gli disse e lo costrinse a seguirla all’interno del concessionario, mentre lui si chiedeva se una donna di quell’età e di quella corporatura fosse in grado di guidare una di quelle moto di grossa cilindrata esposte.

Giorgia si fermò davanti a una moto bassa enorme e con qualche sforzo riuscì a montare in sella, la schiena dritta e i gomiti in fuori. “Vorrei tanto farmi un giro d’Italia in solitaria e prima che la gravidanza entri nel vivo.” Alla fine prese a prestito una bicicletta elettrica e andò via con la pedalata assistita, spinta a piene mani dal buon Guidone.


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