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Scuola, non educa e non forma i giovani

Si bada solo al profitto, cioé alla quantità di nozioni incamerate, non vengono presi in considerazione creatività, emozioni, identificazioni, proiezioni, desideri, piaceri, dolori.

di Antonio Carollo - lunedì 25 febbraio 2008 - 3454 letture

Sul blog di Palermo Rosalio.it la prof. Maria Cubito scrive della sua esperienza come insegnante nelle scuole medie della stessa città. A parte le sue indubbie qualità letterarie, che mi hanno indotto a prevedere per lei un’affermazione come scrittrice entro una mezza dozzina di anni ( in calce a questo scritto riprodurrò una sua lirica in prosa), mi ha colpito la sua capacità di saper instaurare con gli alunni un rapporto da persona a persona. Non la solita relazione tra docente e allievo, fatto di distanza e di dislivello culturale, mostrato nei gesti, nelle parole, nelle insofferenze o indifferenze, nella freddezza, nella prosopopea professorale.

Ella racconta alcuni episodi che mettono il risalto la naturale predisposizione per un lavoro che le permette di dispiegare la sua carica comunicativa, la sua umanità, il senso della sacralità dell’altra persona, tanto più se si tratta di giovani spesso sprovvisti dei requisiti minimi per una sana e normale socializzazione, imbevuti fino al midollo di una sottocultura di quartiere degradato, con falsi miti, con concezioni distorte del senso dell’onore, della dignità, del rispetto umano.

Nelle periferie di Palermo alle difficoltà ambientali tipiche di molte città sono da aggiungere gli effetti perversi sugli adolescenti di una mafiosità diffusa, intesa come mentalità e comportamenti propri di picciotti scaltri, risoluti e tutti d’un pezzo, inclini ad esaltare il proprio ego in un gruppo o in un ’clan’. La nostra Prof. dimostra, in un ambiente scolastico così fortemente contrassegnato, di possedere doti non comuni di insegnante e di educatrice. Ma è sempre così? Il nostro corpo insegnante è preparato a svolgere un compito tanto impegnativo?

La stessa Prof. Cubito dice: “Nessuno ti insegna ad insegnare. Quasi niente di quello che ho imparato nei corsi abilitanti, concorsi, corsi di aggiornamento mi è tornato utile nella pratica. Si punta il dito contro la scuola. I ragazzi sono bulli perché i professori sono assenteisti, strafottenti e vanno a lavorare per lo stipendio (ah, ah, ah). Certo, alcuni sono così”. E infine: “Concludo con una frase che tutti quelli che fanno il mio mestiere dovrebbero appendersi in classe (come dice la mia amica Valentina) per ricordarsi che si è persone con davanti altre persone da “formare ed educare” (che responsabilità! Troppa, forse..)”. “Non si insegna quello che si vuole; dirò addirittura che non s’insegna quello che si sa o quello che si crede di sapere: si insegna e si può insegnare solo quello che si è. Jean Jaurés”.

Su questo argomento, sulla scuola che trasmette solo istruzione ma non educa, ha dedicato pagine illuminanti il filosofo e psicoterapeuta Umberto Galimberti nel suo libro “L’ospite inquietante. Il nichilismo e i giovani”. Per le constatazioni e le considerazioni che seguono seguirò molto da vicino il filo del suo ragionamento, essendo egli, tra l’altro, fornito di una lunga esperienza di insegnante.

Tranne lodevoli eccezioni, chi tra gli insegnanti accerta il grado di autostima del singolo alunno e con opportuni riconoscimenti lo rafforza, anziché distruggerlo con derisioni, epiteti, umilianti confronti con altri allievi maggiormente dotati? Difficile trovare un Prof. che ascolta con interesse uno studente riconoscendogli un minimo di personalità. L’educazione non è una conseguenza diretta dell’istruzione.

Bisogna praticarla a partire dalla costruzione dell’identità dell’alunno tenendo conto delle sue frustrazioni e rimozioni, dei suoi desideri. Non c’è identità senza il riconoscimento dell’altro. Le capacità dello studente vengono accertate col metodo standardizzato del profitto, cioé con riferimento alla quantità di nozioni incamerata. Non vengono presi in considerazione “creatività, emozioni, identificazioni, proiezioni, desideri, piaceri, dolori”.

E’ esclusa dalla scuola l’educazione emotiva, per cui l’emozione, così forte nell’età evolutiva, oscilla tra istinti di rivolta e tentazioni di abbandono in derive dell’esistere, quali discoteca, alcol, droga. Il legame emotivo tra professore e studente non può costruirsi se c’è reciproca diffidenza e incomprensione.

La gratificazione emotiva sta alla base dell’apprendimento: di fronte alla trascuratezza di un elemento tanto decisivo nella formazione dello studente, il cuore, la forza propulsiva del giovane, può vagare senza orizzonte nel vuoto dell’inquietudine e della depressione. Il sapere non è il solo scopo della scuola; essa deve tendere alla formazione per lo studente di una identità e di una personalità (soggettività) autonoma.

La scuola, purtroppo,è lungi dall’intervenire nei processi di crescita dell’adolescente. Trascura del tutto la formazione dell’insegnante limitandosi ad una preparazione contenutistica e non mirando ad una formazione che lo metta in grado di interagire con la complessità psichica e la soggettività in fieri dello studente. Galimberti si domanda: “Perché si può insegnare per il solo fatto di possedere una laurea, senza alcuna richiesta in ordine alla competenza psicologica, alla capacità di comunicazione, al carisma?”

Le riforme messe in atto negli ultimi tempi non sfiorano neanche queste esigenze. Di fronte ai disagi della scuola si risponde in termini di autonomie gestionali, di rafforzamento delle competenze dei presidi, di nuovi programmi ministeriali, di accorpamento di indirizzi di studi, di corsi integrativi. Non si va mai nel cuore del problema: come dice la Prof. Maria Cubito, non s’insegna agli insegnanti ad educare gli studenti.

Nel Mezzogiorno, specie nelle squallide e pericolose periferie, queste carenze della scuola sono accentuate dai particolari e degradati ambienti da cui provengono gli studenti. In quartieri, ad esempio, ad alta densità di criminalità ci vorrebbero insegnanti corazzati da una formazione di ferro per riuscire a penetrare nei meandri di psiche adolescenziali già incrostate da principi, credenze, pose, atteggiamenti, tipici della prepotenza e ribalderia mafiosa.

Ed è per questo che, quando s’incontra una insegnante della tempra della Prof. Maria Cubito, bisogna inchinarsi in segno di onore e di rispetto, perché siamo di fronte ad una vera eroina di questi tempi. contraddittori e confusi


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