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San Remo 2021 - Perché sanremo è sanremo....

di Sergej - martedì 9 marzo 2021 - 1412 letture

Il basso indice di ascolti del Festival di San Remo 2021 fa parte della scelta del tipo di canzoni che sono state veicolate dal festival. Per la prima volta (forse) sono stati volutamente esclusivi il target di spettatori degli anziani e pensionati. Così come l’epidemia colpisce astutamente proprio le fasce degli anziani, considerate inutili e parassitarie dalla società dominante dei nuovi guerrieri delle consolle e degli investimenti di borsa. Tutte queste cose non avvengono per caso. Sono giunti all’età della pensione le generazioni del baby boom degli anni Sessanta del secolo scorso, e questo costituisce un problema per gli organismi statali e nazionali, soprattutto dei Paesi occidentali che hanno prima profittato di queste generazioni per la nascita e il rafforzamento della società dei consumi, e che ora non sanno più che farsene.

Escluso dal target, la fascia di pubblico degli "anziani" semplicemente ha scelto di non far parte del pool di spettatori che fanno auditel per tutto il resto della popolazione italiana.

Il festival di San Remo ha scelto di rivolgersi - tramite le sue case discografiche - al pubblico “giovane”. Tra rapper, rock (scimmiottante) e cover. Con un particolare riferimento più per il mercato estero (europeo, latinos) che per quello interno. Sanremo come vetrina per il mercato estero. Per loro è una questione di vendita di canzoni, nei nuovi canali di streaming che ormai sono dominanti rispetto alla produzione di supporti fisici (cd, vinili). Il Festival prova a fare da vetrina per questo pubblico, fornendo un prodotto standard (dunque al ribasso, ma confezionato secondo standard industriali e dunque destinato comunque a sopravvivere come standard pop), ma escludendo il pubblico ex adulto, nostalgico e ancorato a sonorità perdenti. Non si tratta di un nuovo contrapposto al vecchio, nella forma del “progresso”; perché la musica che si sta producendo è musica-fotocopia, collage di basi già preregistrata, patchwork di elementi appartenenti al kitsch dell’udito garantito.

Siamo, con San Remo, alla riconferma dell’assunto dominante di questo inizio secolo: la mandata in discarica della generazione dei baby boom, non sostituita da un’idea di futuro o di progresso. La rottamazione del vecchio (per dirla con un linguaggio che è stato caro a una stagione politica recente) avviene come occupazione di poltrone, a cui si va per giocare e senza sapere poi cosa farne. Perché nessuno ha mai insegnato alle nuove generazioni che oltre l’epifenomeno del potere trasmesso da giornali e tv, dagli apparati di comunicazione del consenso posticcio, esiste un contenuto del potere - che ha a che fare con le strutture sociali, la storia, il progetto.

Una musica senza storia e senza progetto è una musica sterile. È quanto si è visto a San Remo quest’anno, i Måneskin come i Jalisse [1] del 2021 (con le poche eccezioni che forse impareremo a riconoscere solo tra qualche decennio).

[1] Nel 1997, altro anno “nero” per il Festival e per la società italiana in genere, vincitori di quell’edizione poi “scomparsi” dal mondo dello spettacolo ufficiale pop, il “giro” dei visibili


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