Sacchetti biodegradabili, cosa c’è da sapere

Ha tenuto banco per diversi giorni, ora vogliamo tornare sul tema dei sacchetti biodegradabili per rispondere ai dubbi più comuni. Obblighi, etichette e riutilizzo: facciamo chiarezza. (Un’inchiesta a cura della rivista Altroconsumo)
Dopo il trambusto scatenato dalla vicenda dei sacchetti biodegradabili, a distanza di qualche giorno abbiamo cercato di riassumere i punti principali e di rispondere ai dubbi più ricorrenti.
La Direttiva europea obbliga l’Italia a far pagare i sacchetti?
L’obbligo dei sacchetti biodegradabili in Italia è stato introdotto dalla legge 123/2017, emanata anche per recepire una direttiva dell’Unione europea in tema di materiali di imballaggio. Ma cosa prevede esattamente il testo? La Direttiva Ue fissa degli obiettivi in termini di riduzione nell’utilizzo dei sacchetti di plastica per gli Stati membri e lascia loro una certa libertà d’azione. L’Unione europea stabilisce che, riguardo i bio shopper, gli Stati possano prevedere l’uso di strumenti economici come la fissazione del prezzo, imposte e prelievi, purché questi portino a una riduzione sostenuta dell’utilizzo di borse di plastica. La scelta di esplicitare il costo del singolo sacchetto, perciò, è una decisione presa dal nostro Parlamento.
Perché i sacchetti che prima erano gratuiti ora si pagano?
Nonostante le polemiche delle ultime settimane, il realtà anche i vecchi sacchetti di plastica utlizzati al supermercato si pagavano. Fino a dicembre 2017, però, il loro costo veniva pagato dai distributori che lo ricaricavano poi sul prezzo finale degli alimenti. La verità, perciò, sta nel fatto che il loro costo fosse occulto, a differenza di quello dei sacchetti biodegradabili che si è scelto di esplicitare. Perché questa differenza? Nell’ottica di ridurre gli sprechi, dare un prezzo ai bio shopper significa disincentivarne l’abuso. Sostanzialmente, facendo ricadere il loro costo sul consumatore (o meglio rendendolo esplicito), si vuole alimentare una maggiore consapevolezza nel loro utilizzo e sensibilizzare gli utenti.
Davvero i sacchetti non sono completamente biodegradabili?
Questo è uno degli aspetti che ha generato maggiore confusione. La normativa non prevede che i sacchetti siano biodegradabili solo in specifiche percentuali. In realtà la legge prevede che i sacchetti vengano prodotti con materie prime rinnovabili in proporzione crescente negli anni. Si parte dal 40% previsto per il 2018 e si passa poi al 50% nel 2020, per arrivare al 2021 con sacchetti composti al 60% da materie prime rinnovabili. Questo è un aspetto che non incide sulla loro biodegradabilità.
Le etichette rendono i sacchetti non biodegradabili? Questa è un’informazione vera in parte. Infatti è vero che non tutte le etichette sono adatte a finire assieme ai rifiuti della raccolta dell’umido, perché contengono carta, colla e inchiostro. In circolazione esistono invece etichette idonee allo smaltimento con i rifiuti organici e, per esempio, la catena di supermercati Esselunga ha deciso di utilizzarle. Cosa succede allora se facciamo la spesa negli altri punti vendita e volessimo usare i sacchetti per la raccolta dell’umido? Una soluzione valida è quella di non applicare le etichette sul sacchetto, ma sui manici delle buste. In questo modo risulterà più semplice tagliarle via con l’aiuto delle forbici prima di gettarlo.
È possibile pesare i singoli prodotti e non pagare i sacchetti?
All’indomani dell’entrata in vigore del provvedimento, la rete si è sbizzarrita con soluzioni fantasiose per boicottare l’iniziativa con l’illusione di non pagare i sacchetti. Quindi si sono visti esperimenti di etichette applicate direttamente su arance, banane e mele e fotografate come un trofeo da esibire. Quello che tanti hanno sottovalutato è che il costo del sacchetto viene addebitato su ogni etichetta, quindi questa operazione non consentirebbe di risparmiare il costo del sacchetto ma, al contrario, di pagarlo più volte, per altro senza neanche averlo utilizzato.
Quanto costano i bio shopper?
La normativa non prevede un limite massimo di prezzo, ma lascia agli Stati la libertà di utilizzo di strumenti economici come la fissazione del prezzo. Ogni singolo bio shopper ha un costo che può variare a seconda del punto vendita, ma che nella maggior parte dei casi si aggira tra 1 e 2 centesimi. Noi abbiamo fatto qualche verifica a Milano e abbiamo riscontrato prezzi piuttosto allineati: si va dal prezzo di 1 centesimo a sacchetto applicato dai punti vendita Esselunga e Lidl ai 2 centesimi di Carrefour e Ipercoop. Quanto incidono sulla spesa annua? A conti fatti poco, ipotizzando per eccesso anche 4 sacchetti al giorno (da 2 centesimi ognuno), in un anno la spesa sfiorerebbe i 15 euro.
In che modo aiuterebbero a risparmiare?
Nei Comuni in cui è in vigore la raccolta dei rifiuti organici, riutilizzare i sacchetti biodegradabili consente sicuramente un buon risparmio. Se consideriamo il prezzo di vendita medio di un sacchetto compostabile vergine (circa 22 centesimi a pezzo), sfruttare quello precedentemente utilizzato per l’acquisto di frutta e verdura consentirebbe comunque di risparmiare circa 20 centesimi a sacchetto.
Perché non si possono riutilizzare? Un aspetto che ha contribuito ad alimentare le polemiche riguarda la mancata possibilità di riutilizzo dei sacchetti già acquistati al supermercato. Dopo un’iniziale chiusura, a causa delle possibili contaminazioni batteriche, ora il ministero della Salute ha ventilato la possibilità per i consumatori di utilizzare sacchetti propri, a patto che siano monouso e idonei per gli alimenti. Non sono ancora resi noti ulteriori dettagli: insomma, la situazione è ancora in divenire e noi continuiamo a tenerla monitorata. La proposta di utilizzare retine per il trasporto di frutta e verdura, come quelle diffuse in Svizzera, ci sembra una buona alternativa.
Quale impatto ha la plastica sull’ecosistema? Solo in Europa sono oltre 8 miliardi i sacchetti di plastica che ogni anno si disperdono nell’ambiente: sfuggono alle maglie della raccolta dei rifiuti e finiscono per accumularsi nell’ambiente, specie in quello marino. Gli ultimi dati a disposizione sono piuttosto allarmanti: frammenti di plastica sono stati trovati nel 94% degli uccelli marini del mare del Nord, ma anche nello stomaco di tartarughe e mammiferi marini. Oltre al pesante impatto sull’ecosistema, le implicazioni di questo mare di plastica sono diverse e i danni calcolati riguardano più aspetti:
•Ambientale -Dovuto all’inquinamento dell’acqua, dell’aria e del suolo;
•Economico -Dovuto alla perdita di materie prime, al minore introito per l’industria del riciclo e all’aumento dei costi di pulizia ambientale;
•Sociale -Causa la perdita del valore estetico del paesaggio e implica possibili danni alla salute.
Quali vantaggi comporta l’utilizzo dei bio shopper?
Il vantaggio dei sacchetti di nuova generazione sta nel fatto che si deteriorano in tempi molto più rapidi (scompaiono in circa 12 settimane) rispetto a quelli tradizionali, senza accumuli nelle acque e senza quindi costituire un rischio per le specie animali.
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