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SERBIA: SERBIA: La siccità mette in ginocchio la produzione agricola

Pietro Aleotti - 10 Settembre 2024

Courtesy of East Journal [Website: https://www.eastjournal.net]

di Emanuele G. - martedì 10 settembre 2024 - 374 letture

Gli ultimi dati appena pubblicati dal portale Nova Ekonomica attestano che il settore agricolo in Serbia è malato, non una novità né una sorpresa, ad onor del vero: che le cose sarebbero andate sorte anche quest’anno, infatti, lo si era capito già nella tarda primavera scorsa dopo che mesi di siccità ininterrotta avevano reso evidente che la produzione di grano sarebbe stata di gran lunga inferiore alle attese: 30% in meno secondo le previsioni.

Così come era già chiaro che questa situazione avrebbe costretto gli agricoltori non solo ad anticipare di parecchie settimane il raccolto ma, anche, a farlo in perdita. Le temperature ben oltre i trenta gradi per tutto luglio e agosto – con previsioni a lungo termine che annunciano clima secco fino a novembre – non hanno fatto altro, dunque, che peggiorare una situazione già critica.

Gli impatti economici

E infatti i conti, tra costi di produzione e costi di vendita, non tornano. Coltivare un ettaro di grano costa, al produttore, l’equivalente di oltre 900 euro ma, a fronte di questa spesa, il rendimento è largamente inferiore agli 800 euro (mediamente 769 euro).

Una situazione che Nedeljko Savić, presidente dei produttori agricoli, definisce “scoraggiante”, aggettivo financo prudente dato che si stima che la perdita secca per il settore ammonti ad almeno cinquecento milioni di euro solo quest’anno e a complessivi sei miliardi nell’ultima decade. Una catastrofe. Non va meglio, né potrebbe essere diversamente, per altri ambiti, come quello delle colture erbacee – in grave perdita per il terzo anno consecutivo – e quello dei girasoli, per i quali si valuta un calo di due terzi della produzione con un ammanco per i coltivatori di quasi 350 euro per ettaro.

Stesso discorso per la frutta, seppure con un impatto più contenuto: secondo Zoran Keserović – professore alla Facoltà di Agraria di Novi Sad – si assisterà quest’anno a una flessione nella produzione di poco inferiore al 10%, inclusa quella iconica di prugne e ciliegie.

La rabbia contro il governo

Di pari passo con la crisi cresce il malcontento degli agricoltori e dei loro rappresentanti. È ancora Savić a lamentare il fatto che il governo non avrebbe mantenuto l’impegno preso lo scorso anno – a seguito delle proteste che avevano agitato l’intero settore specie nella provincia della Vojvodina con tanto di trattori e blocchi stradali – per una revisione del catasto finalizzata a consentire l’accesso dei produttori ai sussidi statali (l’equivalente di circa 150 euro per ettaro e grossomodo altrettanti per l’impiego di sementi certificate).

Nulla sarebbe successo invece e, a oggi, “circa l’80 per cento delle parcelle non sono registrate nel catasto” e i soldi non sono arrivati. Rincara la dose Miroslav Matković, presidente dell’associazione dei produttori di colture erbacee del nord della Bačka, che chiede al governo un intervento per alleviare la pressione fiscale sugli agricoltori con l’eliminazione delle tasse sulle operazioni di scarico delle merci e la riduzione delle accise applicate sul gasolio, lasciando trapelare che in caso contrario la categoria sarebbe pronta a non meglio precisate “misure più radicali”.

Le contromosse

E’ in questo contesto che il governo cerca di correre ai ripari: in un incontro con i rappresentanti di categoria a fine agosto, il primo ministro serbo, Miloš Vučević, ha promesso l’indizione di un bando per l’accesso ai sussidi statali per l’acquisto delle sementi entro la fine di ottobre e, nel medio termine, la predisposizione di un piano strategico per lo sviluppo agricolo e rurale – per periodo il 2025-2032 – con la creazione di un gruppo di coordinamento in cui verranno coinvolti anche delegati degli agricoltori.

Vučević ha inoltre anticipato che saranno offerti sussidi che leghino i raccolti alle condizioni meteorologiche, una sorta di garanzia a tutela della mancata produzione. Per parte sua il ministro del Commercio, Tomislav Momirović, ha invece garantito il monitoraggio dei prezzi dei cereali e dei semi oleosi sul mercato globale, in modo tale da tutelare gli operatori dalle fluttuazioni cui si assiste sempre più frequentemente, perlopiù in ragione dei cambiamenti climatici in atto.

Un problema strutturale (e regionale)

La siccità in Serbia è sempre più ricorrente negli ultimi decenni, al punto che Milica Tošić, ricercatrice dell’Istituto di meteorologia, l’ha provocatoriamente definita come un “fenomeno normale”. E i numeri sembrano darle ragione: tra il 1960 e il 2000, infatti, gli anni siccitosi sono stati solo due (1963 e 1983), mentre negli ultimi 25 anni ne sono stati contati ben otto, gli ultimi due il 2022 e il 2024.

Alla fine del 2023 il governo serbo ha predisposto un “piano di adattamento climatico” ma esso è perlopiù focalizzato sulla gestione dalle catastrofi naturali, tema tornato di importanza centrale dopo le recenti catastrofiche alluvioni. Di fatto, però, ancora manca un piano strategico dedicato alla siccità nonostante essa faccia sentire i propri effetti anche sull’approvvigionamento dell’acqua corrente nelle abitazioni – col conseguente ricorso in diverse aree a limitazioni d’uso – e sull’ambiente, con fiumi, laghi e sorgenti in secca.

Il problema è evidentemente strutturale e, ovviamente, non circoscritto alla sola Serbia, investendo al contrario l’intera regione. In Kosovo, restrizioni nell’impiego dell’acqua sono state imposte durante l’estate in molte aree rurali, mentre danni alle colture di mais e orticole – nonché ai frutteti – sono stati denunciati in ampie zone della Bosnia Erzegovina. In Romania sono stati centinaia i villaggi senz’acqua e vengono riportati danni per oltre due miliardi di euro nel settore agricolo, specie quello dei cereali.

Una questione di tutti, dunque – globale – che richiederebbe una risposta altrettanto collettiva.

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