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Riflessioni in dormiveglia

Breve analisi sugli argomenti di estrema attualità di questi giorni, tra un tentativo di riscrivere la Storia e uno per cancellarla per sempre.

di Giuseppe Tramontana - martedì 30 agosto 2011 - 3212 letture

Ancora tu? - Lo avrete sentito ormai in tutte le salse: vogliono abolire le festività civili (o almeno spostarle al lunedì o alla domenica seguente). E con questo torna di moda la P 2. Come mai? Semplice. Già il Piano di Rinascita Democratica di Gelli così si pronunciava: “eliminazione delle festività infrasettimanali e dei relativi ponti (salvo 2 giugno – Natale – Capodanno e Ferragosto), da riconcedere in un forfait di 7 giorni aggiuntivi alle ferie annuali di diritto.” La previsione era al punto b3 dei (guarda caso!) ‘Provvedimenti economico-sociali’ (economico-sociali, ripeto!). Una prima parte di questo progetto si è realizzato nel 1977, con l’eliminazione di alcune festività (civili e religiose) e la ‘concessione’ di 6 giorni di festività soppresse. Ma almeno era stato lasciato (persino da Gelli!) il 2 giugno. Vengono così cancellate d’un colpo 25 aprile, 2 giugno e 1° maggio. Delle tre, almeno due a fondamento della Repubblica. E con l’Italia che conoscerebbe una nuova festa nazionale, oltre tutto non richiesta da nessuno: il 17 marzo, l’Unità. La Repubblica nata dall’antifascismo è ancora/ormai troppo compromettente.

In tema - Val la pena ricordare, peraltro, che il 1° maggio, la festa del lavoro, è una festa a carattere mondiale. Nemmeno la Chiesa cattolica si è sognata di metterla in discussione: ha solo cercato di impadronirsene, dedicando quel giorno a S. Giuseppe falegname, la cosa più vicina al lavoro che le è venuta in mente. La storia insegna che il 1° maggio è stato cancellato solo nei regimi dittatoriali, fascisti o parafascisti. Appunto.

Sempre tu!! – A proposito, anche l’abolizione delle Province (scritto ‘provincie’) e la ridefinizione dei compiti dei Comuni (non escluso quindi la cancellazione di alcuni) era previsto al punto a2.V dell’ “Ordinamento del Governo” del Piano di Rinascita Democratica della P2. Gelli, un nume. Anzi, ancora una volta, da copyright.

Coglioni - Leggo i Diari di prigionia di Giovanni Ansaldo, uno dei più battaglieri e incrollabili giornalisti fascisti. Alla data del 18 giugno 1945 scrive: “Ogni italiano, tanto per cominciare, ha da risolvere un problema angosciosissimo, e tutto suo personale. Questo. ‘Come fu mai possibile che io abbia seguito e servito un uomo così mediocre, un tale spaventoso coglione?’ Tranquilli, l’uomo di cui parla è Mussolini, finito male a Piazzale Loreto, ma – avete ragione – queste parole – si spera tra non molto – potrebbero essere nuovamente sulla bocca di molti italiani.

Italia sì, Padania no – Le ultime pagine del libro Banditi di Piero Chiodi, professore di liceo (suo allievo era stato Beppe Fenoglio, che lo immortalerà nel personaggio di Monti nel Partigiano Johnny), e partigiano sono dedicate al Promemoria dei fatti del 7 settembre 1944. Si tratta di una relazione, stesa dal medico di Carignano ed affidata a Chiodi, sull’impiccagione di otto partigiani da parte dei tedeschi. Gli otto sono Antonio Cossu di Nule (SS), il ten. Leonardo Coccito di Genova, il ten. col. Liberale De Zardo di Catania, il meccanico Guido Portigliatti di Avigliana (TO), il chimico palermitano, ma residente a Milano, Pietro Mancuso, il manovale Giorgio Bruco di Romagnano Sesia (NO), lo studente Giorgio Porello di Cherasco (CN) e il meccanico di Bra (CN) Marco Lamberti. Umanità composita, quindi, per provenienza, studi, rango sociale, professione. Accomunati dall’antifascismo. Tutti – eccetto Cossu – nel momento in cui il cappio si stringe attorno al collo, con un ultimo filo di fiato hanno urlato: “Viva l’Italia!” (Portigliatti anche un “Viva la Germania libera!” che ha lasciato interdetti i tedeschi). Un’altra cosa che li accomuna. Viva l’Italia. Mica viva la Padania!

Come cambiano le cose – A mio avviso, uno degli incipit più memorabili della letteratura contemporanea è quello de Il libro del riso e dell’oblio di Milan Kundera. Prima pagina, paragrafo 1: “Nel febbraio 1948 il dirigente comunista Klement Gottwald si affacciò al balcone di un palazzo barocco di Praga per parlare alle centinai di migliaia di cittadini che gremivano la piazza della Città Vecchia. Fu un momento storico per la Cecoslovacchia. Un momento fatale, come ce ne sono uno o due in un millennio. Gottwald era circondato dai suoi compagni e proprio accanto a lui c’era Clementis. Faceva freddo, cadevano grossi fiocchi di neve , e Gottwald era a capo scoperto. Clementis, premuroso, si tolse il berretto di pelliccia che portava e lo posò sulla testa di Gottwald. La sezione propaganda diffuse in centinaia di migliaia di esemplari la fotografia del balcone da cui Gottwald, con il berretto di pelo in testa e il compagno al fianco, parlava al popolo. Su quel balcone cominciò la storia della Cecoslovacchia comunista. Dai manifesti, dai libri di scuola e dai musei, ogni bambino conosceva quella foto. Quattro anni dopo Clementis fu accusato di tradimento e impiccato. La sezione propaganda lo cancellò immediatamente dalla storia e, naturalmente, anche da tutte le fotografie. Da allora Gottwald, su quel balcone, ci sta da solo. Lì dove c’era Clementis c’è solo la nuda parete del palazzo. Di Clementis è rimasto solo il berretto che copre la testa di Gottwald.” Ora, lasciati da parte gli ovvi riferimenti letterari a Orwell, facciamo un esperimento mentale: cambiamo, anzi aggiorniamo, la cosa. Lo so, pensate alla famosa bandana, ma no, non è di questo che voglio parlare. Avete presente, invece, la foto di Berlusconi che fa il baciamani a Gheddafi? Ora che Gheddafi è il nemico pubblico numero uno, come verrebbe ritoccata la foto? Ce l’ho qui davanti: cancellato il dittatore libico, sembra che il nostro premier, così piegato in avanti, quasi a novanta gradi, stia per incornare qualcuno. O stia aspettando qualcuno che lo raggiunga da dietro. Sempre pronto, comunque, per una nuova dimostrazione di… forza. Come cambiano i tempi!

Dubbi - Prima (era il 2008) era venuto il reverendo John Hagee che, in una delle sue strabilianti omelie, aveva detto che l’uragano Katrina, abbattutosi tre anni prima su New Orleans, era la giusta punizione divina per la città che aveva osato ospitare un gay pride. Dopo (aprile 2011) era stato uno de noartri, il vicepresidente del Cnr, De Mattei a chiarire che il terremoto che aveva colpito Messina e Reggio Calabria il 28 dicembre 1908 era anch’esso una punizione divina per due città in cui “operavano gli atei. Prova ne è che un istituto di orfanelli venne risparmiato” (c’è da chiedersi quali colpe avessero i 27 bambini e la maestra uccisi dal crollo della scuola di San Giuliano di Puglia, durante il terremoto del 31 ottobre 2002). Ora tocca ad una performance della repubblicana del Tea Party Michelle Bachmann, candidata alle primarie del partito, la quale, in un discorso davanti ad una platea politicamente inequivocabile, ha detto che l’uragano Irene e il terremoto di qualche settimana fa in California sono il segnale e la punizione divini per le inefficienze e gli errori dei politici di Washington. Questo mi spinge a due riflessioni. La prima: davvero non si può essere razzisti: l’imbecillità è davvero senza confini. La seconda: ecco perché il Vaticano è in Italia. Ma, il Vaticano, poi, per l’Italia, è la tutela o la calamità?

Idioti al potere (e per strada) – Antonio Gibelli è un valentissimo storico. E da storico ha affrontato, in un libro del 2010 e pubblicato da Donzelli, il periodo che stiamo attraversando: il berlusconismo. Non a caso, il bel volumetto si titola Berlusconi passato alla storia. L’Italia nell’era della democrazia autoritaria. Ad un certo punto, l’autore affronta il problema-Lega. Ecco quello che scrive: “La Lega ha adottato una forma di comunicazione molto vicina a quella carnevalesca, al teatro popolare o meglio al teatro dei burattini, con le sue sceneggiate semplici ed emozionanti, le sue configurazioni antinomiche, le deformazioni e le iperboli, le volgarità, le allusioni al basso e al corporeo, destinate a colpire la fantasia e insieme a richiamare l’attenzione dei media altrimenti distratti o ostili. Il comportamento dei suoi capi più in vista è stato improntato a questo metodo e ha attinto deliberatamente a questo registro, alla satira e alla caricatura, alle buffonate, alle dichiarazioni estreme, ai gesti plateali, soddisfacendo i gusti dei propri seguaci e imponendosi all’attenzione del pubblico più vasto. In altri termini, coma ha spiegato l’antropologa francese di origine italiana Lynda Dematteo, che ha studiato da vicino il fenomeno, la Lega ha introdotto l’idiotismo in politica, riesumando la maschera dello sciocco autorizzato a dire volgarità altrimenti indicibili ma anche a segnare la rivincita dell’umile sull’arrogante.” Ora, a parte gli ovvi rimandi a Giufà o Bertoldo, mi sembra che già Ennio Flaiano, nel lontano 1969, avesse annusato l’aria: “La stupidità ha fatto progressi enormi.” scriveva sul Corriere della sera “E’ un Sole che non si può più guardare fissamente. Grazie ai mezzi di comunicazione, non è nemmeno più la stessa, si nutre di altri miti, si vende moltissimo, ha ridicolizzato il buon senso, spande il terrore intorno a sé.” E la Lega ha in mano (lo tiene per…) il padrone della comunicazione in Italia, colui che può aprire tutte (o quasi) le porte degli italiani. Infatti, se il pensiero leghista germoglia nella stupidità, io starei attento al resto d’Italia, terreno di conquista dei mass media dispensatori di idiozia. Questo vuol dire che l’espandersi del leghismo come fenomeno ideologico riguarda tutta l’Italia, anche quella non padana, anche quella parte che non si definisce leghista, ma – sua alcuni singoli punti, come suol dirsi - da’ comunque ragione alla Lega, persino contro i propri interessi (i meridionali autocritici sono un chiavistello insostituibile, da questo punto di vista). La stupidità è anche questa in fondo, no? Il paradigma è sempre lo stesso: basta preparare il terreno e, alla fine, piaceranno a tutti perché a nessuno può venire in mente di essere da meno.

Ma che musica! – Il libro di memorie di Alfredo Reichlin, Il midollo del leone, tra le molte pagine suggestive, illuminanti, sofferte persino, ne contiene una di rara efficacia. Eccola: “Arrivò il giorno della liberazione. (…) Il giorno dopo si creò in me, di colpo, un grande vuoto. Non sapevo più chi ero. Provai una grande emozione quando in una Roma ormai piena di vita, che mi appariva volgare e chiassosa, popolata di prostitute e di borsari neri, qualcuno del Partito (comunista, nda) invitò i ‘gappisti’ a riunirsi insieme per guardarsi in faccia. Infatti non ci conoscevamo. Per mesi avevamo combattuto divisi rigidamente in cellule di tre, di cui uno solo aveva il contatto con qualcuno che portava gli ordini del ‘Centro’. Eravamo una trentina, forse meno. E ci incontrammo in un grande caseggiato popolare in viale Regina Margherita, che adesso non c’è più. Era abitato dalle famiglie dei ferrovieri. Ci abbracciammo, e a un certo punto il padre di uno di noi, un vecchio socialista perseguitato dal fascismo (che era poi il padrone di casa) si mise al pianoforte e con la faccia contratta per la commozione cominciò a suonare una musica solenne, che io non avevo sentito mai. Era l’Internazionale. Mi sembrò bellissima, e all’improvviso dalle finestre degli altri appartamenti che davano sul cortile si affacciò la gente e si mise a cantare.” Bello, vero? Anche a me, a volte, capita di sentirla quella musica, con i relativi accompagnamenti canori della folla. Ma niente, poi mi sveglio e tutto passa.


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