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Riflessioni in dormiveglia/2

Ciò nonostante, quelle finestre aperte e quell’aria di montagna dove vogliamo trovarle metaforicamente se non nella scuola pubblica? Ecco perché qualcuno fa di tutto per sigillarle!

di Giuseppe Tramontana - martedì 6 settembre 2011 - 3859 letture

Sguardi – Ho riletto da poco il volume a cura di Matteo Collura, Leonardo Sciascia. La memoria, il futuro, edito da Bompiani. E’ ricco di interventi e immagini, non c’è che dire. Ma, una cosa su tutte mi ha colpito: una foto. E’ una foto in bianco e nero che mostra Sciascia, ormai acciaccato, seduto, bastone tra le gambe, accanto al nipotino Vito. Lo scrittore e il piccolo si guardano negli occhi, le labbra atteggiate ad un lievissimo sorriso, con una bellissima espressione di complicità e intesa. Uno sguardo d’intesa con il futuro. La stessa espressione che a volte leggo, a scuola, negli occhi dei miei studenti quando si parla di Costituzione, libertà o difesa della legalità.

Finestre - Qualche giorno fa mi è ricapitato tra le mani un discorso di Piero Calamandrei del 28 febbraio 1954 (in Scritti e discorsi, Nuova Italia). Sentite: “In questo clima avvelenato di scandali giudiziari e di evasione fiscale, di dissolutezze e di corruzione, di persecuzioni della miseria e di indulgenti silenzi per avventurieri d’alto bordo, in questa atmosfera di putrefazione che accoglie i giovani appena si affacciano alla vita, apriamo le finestre: e i giovani respirino l’aria pura delle montagne e risentano ancora i canti dell’epopea partigiana.” Parole di grande valore, dette da uno che la resistenza attiva non la fece e che quindi, a liberazione avvenuta, visse il rammarico per la mancata partecipazione al Grande Evento. Ciò nonostante, quelle finestre aperte e quell’aria di montagna dove vogliamo trovarle metaforicamente se non nella scuola pubblica? Ecco perché qualcuno fa di tutto per sigillarle!

Facce - “Facce patibolari.” Mi imbatto in questa definizione leggendo il romanzo di Roberto Bolaňo, Il Terzo Reich. E’ riferita a due camerieri di un dozzinale ristorante della Costa Brava. Facce patibolari. In un ristorante. Troppi addentellati per non pensare ai ristoranti (e ai menu con relativi prezzi) di Camera e Senato.

Errori – Leggo con stupore di come il Consiglio di Stato abbia bacchettato il Ministro della Pubblica (D)Istruzione, Mariastella Gelmini, per i suoi strafalcioni grammaticali, permettendosi persino di sottolinearne (è il caso di dirlo!) l’uso scorretto di un indicativo al posto di un congiuntivo. Mi è tornato in mente Jaroslav Hašek, Il buon soldato Sc’veik. Ad un ufficiale mette in bocca queste parole: “ ‘Se vogliamo vincere la guerra’ soleva dire durante le ispezioni alle stazioni di gendarmeria ‘le a debbono essere a, le b debbono essere b e che ogni i deve avere il suo puntino’.” Insomma, in Italia, la battaglia per una scuola migliore, è persa.

Fenomeni – “Il fenomeno di Hitler” scrive Eric Voegelin, nelle sue Autobiographical Reflections “non può essere esaurito dalla sua persona. Il suo successo deve essere invece compreso nel contesto di una società intellettualmente e moralmente rovinata, nella quale personalità che altrimenti sarebbero state grottesche e figure marginali possono pervenire al potere pubblico, perché rappresentano superbamente le persone che le ammirano.” E Voegelin non conosceva gente come Berlusconi, Bossi, Calderoli, Borghezio o Brunetta…

Umani - “Tremonti” mi ha detto un caro amico “è un leghista con l’aspetto di un essere umano.”

Marx - Pare che Karl Marx sia tornato prepotentemente di moda. Vengono ripubblicati i suoi libri, dall’Ideologia tedesca al Capitale, dalla Sacra famiglia agli scritti sul Risorgimento italiano (che 150° sarebbe, altrimenti?), soprattutto, gli scaffali delle librerie si riempiono di saggi sul marxismo e sulla crisi del capitalismo prevista ed analizzata dal Grande Tedesco. Tanto per dare un assaggio: sono stati ristampati i volumi di Mario Dal Pra, Il pensiero filosofico di Marx, Shark editore e di Francis Wheen, Karl Marx, Mondadori; nuovi sono invece i due volumi di Henry Michel, Marx, Marietti, il Karl Marx di Nicolao Merker (Laterza), il Marx: istruzioni per l’uso di Daniel Bensaid, Ponte alle Grazie (bellissimo per il raccordo con la globalizzazione, arricchito di simpatiche vignette) e il Marx e il marxismo di Giada Perini, Liberamente editore. Oltre a questi, vi sono, poi, i volumi che tentano un collegamento tra la dottrina politico-economica di Marx per fornire una lettura dell’attuale crisi del capitalismo: Bruno Iossa, Esiste un’alternativa al capitalismo? L’impresa democratica e l’attualità del marxismo, Manifestolibri, e Eric Hobsbawm, Come cambiare il mondo. Perché riscoprire l’eredità del marxismo, Rizzoli. E’ tutto? Non esattamente. Personalmente, la percezione che Marx sia tornato di moda la sto avendo quasi tutti i giorni. Da tre mesi porto la barba. Non mi rado dal 10 giugno (la mattina del 9, l’ho fatta per l’ultima volta) e da allora non l’ho più toccata: né spuntata, né aggiustata, né tanto meno accorciata. Ora, rimesso piede a scuola per i recuperi, tutti, colleghi e studenti, mi hanno accolto (dopo lo stupore di rito) sostenendo che assomiglio a Marx. Un po’ per la lunghezza, un po’ per la voluminosità e tanto (immagino) per il colore brizzolato. E’ un segno. Se è vero, com’è vero, che il successo di un’idea si misura – come sosteneva Gramsci – dal grado della sua diffusione nella pratica quotidiana. In altri tempi o contesti mi avrebbero accostato a Babbo Natale o a Sandokan, a Robinson Crusoe piuttosto che a un Patriarca, a un brigante o al Grande Puffo (cosa che, vista la mia statura, non sarebbe neanche del tutto fuori luogo…). L’associazione a Marx, ovviamente, non mi crea problemi, ma, guardandomi allo specchio, il dubbio aumenta: complici gli occhialetti, mi trovo in realtà più somigliante a Emile Zola, lo scrittore che si schierò in difesa del capitano ebreo Dreyfus. E anche questa somiglianza, in tempi di razzismo strisciante come questi, non mi dispiace.

Vincoli - Il governo italiano non sa che pesci pigliare e pensa di tirar su le solite cernie, i fessi insomma. Quelli che pagano di solito e che, finora, hanno sempre pagato. Ma dalla proposta di non considerare, ai fini pensionistici, il riscatto della laurea e gli anni di militare (proposta poi ritirata, come migliaia di altre), qualche considerazione emerge. Per questi signori, è evidente, il servizio di leva e la laurea hanno lo stesso valore: zero. E si può anche capire: la leva non c’è più per nessuno, la laurea non conta più. Almeno per loro che hanno a cuore la cultura, l’istruzione e la ricerca come Jack lo Squartatore le prostitute londinesi. Ma c’è dell’altro. I giornali hanno rivelato che Sacconi, per convincere Calderoli a introdurre questa norma, lo abbia rassicurato con le parole: “Tranquillo, sono appena 50 mila, 80 mila al massimo, e si trovano in prevalenza al Centro-Sud.” Al che il leghista ha capito che la norma poteva andare bene. Anzi meglio. Ora, a parte l’errore di calcolo (i colpiti sarebbero circa 660.000), non c’è un articolo della Costituzione, il 67, che recita “Ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione (tutta la Nazione, da Bolzano a Lampedusa, nda) ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato”?

Svincoli - I tagli agli enti locali no, i tagli dei piccoli Comuni no, i tagli delle Province no, l’IVA no, la tassa di solidarietà no, l’eliminazione dal conteggio pensionistico della leva e degli anni di studio no, il taglio ai costi della politica no. Insomma, il governo sembra indeciso a tutto. E allora? Allora, ha tirato fuori dal cilindro una non meglio specificata ‘stretta’ sull’evasione. Stretta sull’evasione? E che significa? La lotta all’evasione fiscale non dovrebbe essere normale amministrazione per uno Stato di diritto? Inserire la lotta all’evasione (o la stretta: ma prima era larga?) in un provvedimento come la manovra finanziaria, urgente ed eccezionale (vedi il diktat dell’Europa) non è un’ammissione dell’incapacità o della consapevole scelta di non perseguire – e anzi favorire - gli evasori, magari a fini elettoralistici?

Svincoli 2 - Tra l’altro, questa sbandierata, quanto inutile (tranne che per le ricadute propagandistice, almeno per chi ci casca ancora) ‘stretta’ sull’evasione fiscale, mi ricorda la storiella ebraica, raccontata da Moni Ovadia (L’ebreo che ride, Einaudi), degli abitanti di uno shtetl dell’Europa orientale che, per dare lavoro ad un fannullone e scongiurare che, a causa della sua poltroneria, cacciasse nei guai se stesso e tutta la comunità, lo incaricano dell’originale lavoro di ‘avvisatore di Messia’: un compito tanto inutile quanto sicuro, ma che tranquillizza lo shtetl: il fannullone non combinerà guai e il villaggio – grazie alla vacuità e indeterminatezza dell’impiego – si assicurerà la pace all’infinito: di Messia nessun ebreo ne ha visto mai uno!

Affidamenti – Affidare la lotta all’evasione a questo governo è come incaricare il cartello di Medellin della lotta al traffico internazionale di stupefacenti.

Buone notizie – Qualche giorno fa ho ricevuto una buona notizia. Con un fax, l’Associazione Alboscuole ha comunicato che Il Megafono, il giornalino scolastico del Liceo in cui insegno e del quale sono referente, ha vinto un prestigioso premio nazionale. E’ una bella soddisfazione. Soprattutto per le ragazze ed i ragazzi della redazione, i quali, nei giornali e nel giornalismo, ci credono ancora. Sono ragazzi attivissimi. Fanno incontri con cadenza settimanale, discutono, litigano, si confrontano, ma soprattutto stendono articoli, si documentano, vanno a intervistare politici e amministratori di destra e sinistra, scrivono racconti e poesie, trascrivono di nascosto le battute e gli strafalcioni dei prof (che poi inseriscono in un’apposita, spietata rubrica che si chiama ‘Ipse dixit’), predispongono rebus, cruciverba e aforismi, recensiscono libri, film e CD. E, alla fine, come se non bastasse, pila di copie sotto braccio, via a venderlo a compagni e insegnanti. Sempre con il sorriso sulle labbra, la curiosità di chi ha voglia di continuare a nutrire la propria intelligenza e la disponibilità al dialogo e allo sfottò. In questi tre anni si sono occupati di razzismo e mafia, sessismo a scuola e fuori, bioetica e religione, ecologia e bullismo, disoccupazione e problemi sindacali. Hanno intervistato il Sindaco di Padova e vari assessori, parlando con loro di progetti di partecipazione e spazi di vivibilità per i giovani, di lotta all’omofobia e incremento dei trasporti pubblici, di acqua e scuola come beni pubblici, cercando, più che tutele, dialogo. Non hanno mai mancato di celebrare la Resistenza e sono felici quando riescono a incuriosire qualcuno su cosa ci sia di tanto bello nella Costituzione, hanno parlato di legalità e mafia al nord e al sud con esponenti di Libera e di povertà estreme con quelli della Comunità di Sant’Egidio. Il premio se lo meritano proprio: con passione e dedizione hanno trattato argomenti difficili e profondi, scomodi e interessantissimi, tosti, come dicono loro. Insomma, hanno fatto quel lavoro sporco che il TG1 non vuole più fare.

Incroci – Tutti i giornali e i tg ne hanno parlato. Il 30 agosto scorso il nostro Cavaliere signor Presidente del Consiglio ha incontrato il presidente del Cnt, il comitato dei ribelli libici, Mustafa Mohammed Abdel-Jalil. Ora, c’è da dire che, oltre che Ministro della Giustizia, Jalil, fino al febbraio 2011, è stato il Presidente della Corte d’Appello libica. Era un giudice! Gira e rigira, c’è sempre un giudice sulla strada di Berlusconi! E i giudici, di solito, gliela fanno pagare. Considerato il famoso episodio del baciamano a Gheddafi, al posto suo non mi sentirei tranquillo…

Dedica - Mi hanno appena comunicato di aver vinto un concorso letterario. Si tratta di un concorso dal tema ‘Voci di paese’ bandito dal Comune di Ceprano (FR). Ho inviato un mio racconto, intitolato La Chiacchiera ed ambientato a Calafonte, paese più immaginario che reale della Sicilia interna (ma non troppo), ed ho vinto. Sono contento, è inutile negarlo. Il 2 ottobre mi dovrò recare nella cittadina del frusinate per ricevere il premio. Lo squillo del cellulare che recava la notizia mi ha colto mentre leggevo i Taccuini di Albert Camus (Bompiani), costringendomi a lasciare in sospeso la seguente considerazione: “La nostra (degli intellettuali in senso lato, nda) sola giustificazione, se ne abbiamo una, è di parlare in nome di tutti coloro che non possono farlo.” E ce ne sono molti, donne e uomini, che oggi non possono parlare o non possono farsi udire. Uno di questi è Francesco Azzarà, il volontario di Emergency rapito in Darfur il 14 agosto scorso. E’ a lui che vorrei dar voce oggi. E’ a lui – per quel che vale - che dedico il mio modesto premio.


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