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Ricordo di Mario Tobino nel 97° anniversario della nascita

Istituito il "Premio Viareggio-Tobino". Claudio Magris il vincitore per il 2007. La scrittura di Tobino è l’espressione del suo vivere. La sua prosa è una continua rapsodia.

di Antonio Carollo - mercoledì 17 gennaio 2007 - 4298 letture

Il 16 gennaio ricorre il 97° anniversario della nascita di Mario Tobino (Viareggio 1910-Agrigento1991). Per la circostanza il Comune di Viareggio, la Fondazione Tobino e il Premio Letterario Viareggio-Repaci hanno promosso il “Premio Viareggio-Tobino” che quest’anno viene assegnato a Claudio Magris.

Vogliamo ricordare Tobino con qualche cenno sulla sua opera. L’arte di Tobino è il prodotto di una sincerità immediata; nella sua scrittura c’è la sua vita, la passione, la pietà, la bellezza, il desiderio di libertà, ma soprattutto l’amore per la gente, per i matti (come affettuosamente chiama i dementi), per la propria terra. Il libro di racconti “Sulla spiaggia e di là dal molo” è un autentico inno alla sua città natale. Non concepisce l’arte come invenzione, ma come rappresentazione viva della realtà. Egli è un critico partecipe e passionale del suo tempo; i suoi risentimenti e i suoi furori, a volte il disprezzo, testimoniano un impegno civile e sofferto. “La brace dei Biassoli” è tutto un poema dedicato alla madre (“…la felicità per poche ore mi aveva avvinto, essendomi senza giudizio abbandonato alle parole degli altri che mi dicevano si sarebbe salvata…”); così “Il figlio del farmacista” è un tributo d’affetto per il padre. Ne “Le libere donne di Magliano” l’amore, la partecipazione, l’umana pietà, il rispetto per la sacralità della vita, per il destino, cui sono affidate le umane creature, trasudano dalle parole che sera per sera il medico verga sul suo diario con l’animo fraterno di chi accompagna il cammino aspro, disperato, assurdo di povere donne toccate dal mistero della follia (“O Dio, al di là di queste pareti ci sono le matte; dammi la forza che io le consideri in ogni momento tue creature”). Un sentimento di misericordiosa solidarietà umana percorre l’autore che medita sulle vie dell’umano destino. Il racconto va avanti per frammenti, ma le storie e i ritratti delle ricoverate sono immerse in un’aura di pietosa contemplazione attraverso le trame di un io lirico che trascorre dal tumulto alla quiete, dalla disperazione alla felicità, dall’instabilità umana alla placida immobilità dei paesaggi, traducendosi in un flusso di immagini, di volti, di gesti, di sentimenti. La follia è una deviazione, ma è parte della vita ed una inesauribile fonte di osservazione del reale. Ed è qui, insieme ai matti, che Mario Tobino trascorre le sue giornate ed attinge i vertici della sua opera poetica (“La mia vita è qui, nel manicomio di Lucca. Qui si snodano i miei sentimenti. Qui vedo albe, tramonti, e il tempo scorre nella mia attenzione. Dentro una stanza del manicomio studio gli uomini e li amo…”)

Giulio Ferroni dice che la forza della sua scrittura è il suo essere espressione globale di un vivere. È fondamentale per Tobino la disposizione all’ascolto, a sentire i diversi aspetti, momenti dell’esistenza. La sua prosa è una continua rapsodia. I suoi romanzi sono libri aperti, dove c’è di tutto, l’esperienza diaristica, la curiosità, l’indagine, l’autobiografia, la suggestione della propria terra, del mondo famigliare. La vitalità della parola radicata nella concretezza del passato. Per Ferroni la parola di Tobino è la ricerca del valore della vita, del suo darsi, e nello stesso tempo, del suo perdersi, del suo conciliare la vita con la morte.


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