Resistere a Mafiopoli
Vi racconto di un breve soggiorno in terra di mafia e coraggio, e di “Resistere a mafiopoli” dibattito con Giovanni Impastato, Piero Grasso, Francesco Lalicata, Roberto Saviano.
Ritaglio ovale di paesaggio del Sud, squarcio mediterraneo azzurro intenso e poi, nell’anfratto della vista riduttiva dall’oblò dell’aereo, appare crosta d’asfalto conficcata in una terra dai colori solari. Il volo decollato dalla culla orientale d’Italia, Venezia, mi lascia fra le braccia di un luogo incantevole e lo scirocco, timore dei piloti, è oggi dormiente e ci permette la calma della planata.
Il sole meridionale asciuga qualunque pensiero tetro e le preoccupazioni sono inesistenti, come inesistenti sono le nuvole in un cielo di una bellezza unica. Ma sono in terra di mafia, Punta Raisi, e questo è l’aeroporto Falcone Borsellino, l’aeroporto di Palermo, Sicilia, Italia. Prosciuga, il sole, ma resta roccia nuda di frasi, residuo secco irremovibile:
“Vedemmo arrivare circa 300 soldati e carabinieri, seguiti da motopale e attrezzi (…). A questo punto il tenente diede ordine alle ruspe di procedere. Ci sistemammo tutti davanti alle ruspe, seduti per terra, in atteggiamento muto ma deciso (…). Fummo massacrati di botte, compresi donne vecchi e bambini. (…) I carabinieri stessi erano turbati e sconvolti a sentire l’acre odore dei limoni divelti, nell’assistere allo scempio che si fece di case ancora arredate, nel vedere le lacrime di chi non aveva più casa né terra”: (www.peppinoimpastato.com)
Così venne costruito l’aeroporto di Punta Raisi, Palermo.
Mi arricchisco di quel dolore metamorfico trasformato in dignità, in simbolo della resistenza: sentire il Meridione, terra fra le terre, acqua fra le acque, cielo del Cielo, e genti, genti, sì, fra la gente di una nazione troppo spesso spaccata in due, Italia Settentrionale/Italia Meridionale, lasciata sola a sgravarsi di parti difficili come la lotta alla mafia e la difesa di un territorio tra i più belli al mondo, è scottatura incandescente sulla pelle.
Oggi, 26 agosto 2009, farò miei i racconti di Giovanni Impastato, fratello di Peppino, e di cosa significa difendere per anni la memoria di una vittima della mafia; apprenderò da Piero Grasso Procuratore Nazionale Antimafia, il sale della memoria del maxiprocesso contro “cosa nostra”, la rinuncia quasi totale alla famiglia, il lavoro febbrile, un milione di pagine di atti processuali letti; mi nutrirò della bellezza e dell’inferno di Roberto Saviano, un destino di uomo libero improvvisamente mutato, schiacciato sotto il peso di una croce dignitosamente abbracciata: scrivere cosa succede, informare, difendere la memoria, continuare a dissipare le cortine fumose per lasciare chiarezza sulla verità dei territori del Sud.
Faccio precedere questo incontro, che si terrà alle 21 presso la pizzeria Impastato a Cinisi, da un cocktail micidiale, un minitour sui luoghi della memoria che mi darà gli stessi effetti di un’ubriacatura: esaltazione e coraggio, sensazione dell’invincibilità del bene, che sempre resiste, mischiato al freddo dei pianti per le morti, che gremisce la bocca dello stomaco.
Ho come guida un amico messinese che contribuisce a informare in dettaglio luoghi e nomi di un mosaico complesso come la mafia in questi territori, dei suoi protagonisti volontari e involontari, dei due fronti e delle lotte impari: una, fattrice di morte, seminatrice di danni irreparabili, armata di violenza, che oscura la verità; l’altra costituita dall’impegno civile, dal dovere di onestà verso la popolazione, dall’uso di strumenti di giustizia e di informazione aperta e chiara.
L’autostrada A29 imboccata, elargisce sguardi pieni di paesaggio magnifico: natura calcarea dolomitica nei monti aspri che accolgono a corona la terra rossa a destra, lingua stretta lambita dal mare dipinto d’argento, a sinistra, fino a quando un cartello autostradale blocca il respiro. Lo blocca irrimediabilmente, che chiunque sa cosa significa: CAPACI, dove nel 1992 è avvenuta una delle stragi più clamorose e dolorose d’Italia. In alto fra le rocce a destra c’è insediata una costruzione bianca accesa da una scritta blu, un NO ALLA MAFIA. Da lì partì il comando per la detonazione alla carica di tritolo che uccise Giovanni Falcone, la moglie, la scorta.
Palermo non è da meno, offre bellezza ineguagliabile fra strade larghe, di un asfalto lucido, palazzi, meraviglie di più stili, giardini con alberi di una magnificenza unica. Ma ogni strada ha il suo pezzo di memoria annidata che oltrepassa qualsiasi bellezza: in quella via è stato ammazzato libero Grassi, poi c’è via D’Amelio: Paolo Borsellino ucciso, altro tritolo a segnare la memoria di Palermo 58 giorni dopo la strage di Capaci. Sotto il palazzo di Falcone un albero adorno di mille foglietti, dediche agli eroi antimafia. Via Isidoro Carini ha in seno una placca di bronzo: ricorda il Generale Dalla Chiesa, ucciso nel 1982 con un AK-47.
Ma i nomi e le storie dei morti ammazzati che la mia guida racconta, sono per ogni via che noi percorriamo e si concludono con il carcere dell’Ucciardone e l’aula bunker che vide il primo grande maxiprocesso contro “cosa nostra”, 474 imputati, molti dei quali latitanti.
Lasciata la città percorro una strada panoramica verso Montelepre, il paese di Salvatore Giuliano. Incarnazione del fascino e del mistero del bandito, troppo spesso nascosto invece il terrore che egli esercitava, il potere incontestato e dittatoriale, i suoi disegni infantili che legavano la Sicilia agli Stati Uniti d’America e alle cosche mafiose d’oltreoceano, la strage di Portella della Ginestra in un folle progetto di sterminio delle persone in lotta per la maldistribuzione del reddito e delle terre contadine. Cresciuto nel periodo tra gli anni 20 e 50, è forse l’anello della trasformazione dall’antico brigantaggio, fenomeno che sostituiva localmente il potere dello Stato, alla mafia moderna, che tenta alleanze politiche nazionali ed internazionali.
“E’ la mafia (a Cinisi opera uno dei nuclei più organizzati e feroci) che ha assunto dimensioni industriali e si muove in una direzione su uno stato di controllo-integrazione col quadro politico: un fenomeno relativamente nuovo”. (dagli scritti e documenti di Peppino Impastato).
Subito dopo mi trovo nelle limitrofe terre di Giardinello. Siamo già nel pieno della storia della mafia attuale: qui dopo 25 anni di latitanza e dopo il lavoro meticoloso e caparbio delle forze dell’ordine, viene catturato Salvatore Lo Piccolo, nel 2007, dopo un anno dall’arresto del feroce Bernardo Provenzano vicino a Corleone, paese che vedo profilarsi fra i monti di fronte a me.
“Cinisi è un piccolo centro del palermitano con una struttura socioeconomica caratterizzata da una fortissima presenza di piccola borghesia agraria e del settore terziario. Emigrazione e terziarizzazione sono state le conseguenze immediate della distruzione del mondo contadino, in seguito agli espropri delle terre per la costruzione dell’aeroporto di Punta Raisi sullo scadere degli anni ’50 e della terza pista trasversale nel ‘68”.
Cinisi è il luogo che ha visto nascere crescere lottare Peppino Impastato contro i malvagi del suo tempo e le parole virgolettate sono sue, in occasione della preparazione alle elezioni comunali del 1978, pubblicate sul “quotidiano dei lavoratori” pochi giorni prima che venisse assassinato. Per anni lunghi ed interminabili la sua memoria verrà difesa contro ogni attacco che voleva attribuire la sua morte al collegamento terroristico (siamo negli anni di piombo) o peggio, ad un suicidio. Cinisi che io continuo a pronunciare impropriamente Cinìsi per lo strano fenomeno migratorio degli accenti tra cadenza del nord e del sud, si snoda sul corso Umberto I° e i famosi “cento passi” rappresentati cinematograficamente da Marco Tullio Giordana, tagliato a monte dai binari della ferrovia che accolsero il corpo privo di vita di Peppino Impastato. Aperta a tutti per volontà di mamma Felicia, è la casa memoria, dove la scrivania e le stanze tutte sono ancora pregne del lavoro di Peppino. La lascio quella casa, per abbracciarlo, Peppino, nella memoria narrata all’incontro decisivo presso la pizzeria Impastato. Siamo in moltissimi stretti fra il calore di un appuntamento memorabile.
Il giornalista Francesco Lalicata, dopo le letture effettuate dai ragazzi del luogo di due brani estrapolati dai libri Gomorra e Resistere a Mafiopoli, introduce il dibattito, accoglie gli ospiti inducendoli a consegnare i propri racconti a noi tutti.
Sul lato sinistro Giovanni Impastato illustra con semplicità l’ esigenza di far rivivere la memoria del fratello. “Io non so scrivere” dice ingenuamente, ma il libro intervista in cui si è visto partecipe, serve a vigilare sul pericolo della delegittimazione. Delegittimare la memoria dopo la morte, venire uccisi una seconda volta, in maniera peggiore, con il fango della non chiarezza, della bugia, del dubbio insinuato, è strumento di mafia. Attraverso la negazione dell’impegno, della lotta, della difesa e dei suoi paladini, si viene ad annullare il vero volto del fenomeno mafioso o camorristico. Roberto Saviano è seduto sulla destra con alle spalle gli uomini della scorta, anzi, delle due scorte, quella propria e quella del Procuratore Antimafia. Col suo discorrere fluido e affascinante, Saviano mette chiarezza sull’omicidio di Don Diana e sulla sua memoria:
“La calunnia si distrugge da sola. Il tempo infinito in cui ci si è sentiti ripetere che la colpa è del terrorismo o del suicidio nel caso di Impastato, o di ragioni passionali e di traffico di armi nel caso di Don Diana, è cacchinn, si usa questo termine da noi, il pio pio dei pulcini: è niente”. “La storia di pochi arriva a molti, usare i media, raccontare, far accertare la verità. Un film come I cento passi ha fatto questo”. “La resistenza possibile è fare bene le cose” cita questa frase di Elio Petri consegnatagli da Enzo Biagi, come ricetta possibile per chiunque.
Lo ribadisce anche il Procuratore Piero Grasso, mettendo luce sugli atti e sulle testimonianze che raccontano di efferati omicidi commessi su bambini. Ritrovati i luoghi dagli inquirenti, fosse in cui essi venivano giustiziati, il Procuratore parla mettendo in chiaro che la voce prodotta dagli stessi mafiosi di intoccabilità dei bambini è falsa: la mafia uccide chiunque, barbaramente, vigliaccamente. Acclama anche lui un accorato impegno a fianco delle istituzioni da parte di tutti, a fare bene, con onestà il proprio lavoro, ad alzare la testa, a non alimentare il flusso di danaro verso la mafia, aiutando con le proprie scelte di vita a spezzare il ciclo di riproduzione del fenomeno criminale.
Ancora Roberto Saviano ricorda la madre di Peppino Impastato come esempio di possibilità di azione. Una tradizionale madre siciliana che lo ha portato in grembo nove mesi e che se l’è ripreso, riassorbito, in quel grembo, dopo la morte, affrontando il boss Gaetano Badalamenti a testa alta, chiedendo verità e giustizia attraverso le istituzioni, lasciando per sempre aperta la loro casa, vegliando continuamente sulla memoria e sulla verità.
La folla attorno al palco stringe a conclusione della serata i suoi eroi, con l’impegno di un abbraccio vero, un sorriso, una stretta di mano, un autografo, due chiacchiere, uno scambio di doni simbolici, e la promessa a mantenere fedeltà a quella semplice ricetta: ognuno può fare bene le cose… E io mi sento felice come una bambina nel vedere attorno a questo palco una rappresentanza di ragazzi toscani venuti in vacanza a lavorare nei terreni confiscati alla mafia e a stringere con mano onesta chi ha parlato.
Alzo l’indice verso il mare di gente che sfida il calore, la coda, l’attesa finale del dopo dibattito: “Quello, vedete? Quello è il nostro meridione. E’ patrimonio d’Italia, va difeso, sostenuto, abbracciato, non lasciato solo”.
E i nostri eroi, eroi lo sono veramente, nella costanza del loro impegno, seppur diverso, ognuno con le proprie modalità; i nostri eroi non devono venir lasciati soli né a Mafiopoli né a Camorristiland- Gomorra, né in nessun altro luogo.
Vedi: notizia sul convegno di Cinisi: http://www.peppinoimpastato.com/visualizza.asp?val=717
Per la bibliografia d’approfondimento: http://www.peppinoimpastato.com/bibliografia.htm
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