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Razzismo senza razza e merito

Il merito si traduce in meritocrazia, coloro che sono al potere “meritano il potere”, in quanto in una società di eguali i perdenti non possono che essere i servi ubbidienti...

di Salvatore A. Bravo - lunedì 12 agosto 2024 - 286 letture

La società a capitalismo totale sopravvive con la forza militare del condizionamento mediatico e mediante i “miti”; uno dei più spendibili è il mito del merito. Esso è un mezzo ideologico efficace per ottenere una serie di effetti sociali finalizzati alla conservazione del dominio delle oligarchie nazionali e trans-nazionali. Il merito è l’oppio con cui le coscienze politiche dei subalterni sono debitamente poste in uno stato di attesa e colpa. La condizione di suddito è giustificata mediante la colpa. Colui e coloro che vivono una condizione di disagio e subalternità si percepiscono come “colpevoli”: nella lotta per la vita (concorsi, assunzioni, titoli di studio ecc.) non sono stati meritevoli, per cui la loro condizione è meritata. Il mito del merito si accompagna all’uguaglianza giuridica-astratta. Si è tutti uguali ai nastri di partenza, pertanto ì perdenti devono tacitamente acconsentire alla loro condizione.

Il merito si traduce in meritocrazia, coloro che sono al potere “meritano il potere”, in quanto in una società di eguali i perdenti non possono che essere i servi ubbidienti, a loro sono state date eguali opportunità, ma incapacità e impreparazione non hanno consentito di raggiungere gli agognati risultati. Devono dunque attendere le altre opportunità e nel frattempo investire nell’adattamento al sistema con le loro modeste risorse. Sono saccheggiati materialmente e nella vita psichica.

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Altan - Il merito

L’effetto congelamento del sistema è la conseguenza più perniciosa per i sudditi e più vantaggiosa per i meritevoli. Nei sudditi la colpa individuale diventa impotenza sociale, si diventa incapaci di prassi e di trasformazione politica, in quanto si crede al mito del merito, pertanto non è il sistema da cambiare, ma loro stessi devono adattarsi alle richieste; devono svenarsi per essere “eguali”. I meritevoli sono così garantiti nei loro privilegi, fino ad essere guardati e ammirati dai subalterni come fossero gli dei dell’Olimpo.

L’aspirazione alla scalata è il mezzo con cui i privilegiati si garantiscono la stabilità sociale ed economica, anzi essi sono il “modello” da imitare, a tal fine il suddito alla ricerca di conferme spende il proprio reddito per essere simile nel linguaggio, nelle competenze e nell’estetica ai meritevoli. Egli divenne la solida base sociale della conservazione. Il merito è sostenuto da un altro mito l’inclusione. La società egualitaria lavora per includere. In modo trasversale dalla politica al mondo della formazione la parola risalta e viene ripetuta, in modo da imprimere ai sudditi la certezza orgogliosa di essere parte della “comunità inclusiva e libera”. L’inclusione è la orto-pedagogia del capitalismo; si insegna che l’adattamento al sistema di mercato dona a tutti le stesse opportunità e, specialmente, c’è sempre una opportunità per ciascuno; l’importante è credere, combattere e obbedire al pensiero unico. Merito e inclusione si sostengono nella loro ideologica menzogna con la cultura dell’astratto. Si insegna a pensare per “separazione”; la parte è scissa dalla totalità, in tal modo il suddito non ricostruisce la “genealogia del merito”. Ad un esame genealogico il merito e la meritocrazia non sopravvivono, in quanto le condizioni materiali ineguali determinano il risultato finale.

Carlo Cafiero con il linguaggio diretto di colui che ha compreso la truffa del merito ne ha descritto la verità inaggirabile:

“Il capitalista vive sfruttando gli operai. Più forza lavoro pompano le sue macchine, più il capitale si accresce e prospera; più gli operai sudano, soffrono e muoiono sotto di lui, più il capitalista si arricchisce e gode. Gli operai vivono in notevoli disagi, si ammalano e diventano fisicamente e spiritualmente impotenti: il capitalista, insieme alla sua famiglia, gode della migliore salute, e i suoi figli, molto ben conformati, ricevono una perfetta educazione ed hanno la possibilità di diventare dei genî nelle scienze e nelle arti. Insomma, di tanto si va giù da una parte, di tanto si sale dall’altra” [1].

Il merito e l’inclusione sono due miti ideologici con cui velare il razzismo senza razza che connota la società a capitalismo totale. Lo smantellamento graduale dei diritti sociali ha reso evidente che il merito dipende dal censo. La posizione sociale condiziona fin dalla nascita il futuro del cittadino dalla cura sanitaria alle possibilità professionali.

Lo smantellamento della filosofia e della formazione umanistica nella scuola pubblica è parte della conservazione sociale. Si insegna ai sudditi a pensare per calcoli, ma non in modo olistico, in tal modo il suddito è incluso nella prigione di una forma mentis che non conosce speranza di riscatto sociale collettivo. Il compito che ci attende è insegnare a pensare in modo materialistico, in modo da favorire i processi di emancipazione dai miti del capitalismo. Non può esservi vera trasformazione sociale, se non si decriptano i dogmi del capitalismo e non si liberano i sudditi dalla colpevolizzazione sui suoi “presunti demeriti”. Le nuove generazioni non hanno gli strumenti metodologici per ricostruire la genetica della loro prigione; vivono nell’astratto e questo garantisce al sistema la conservazione.

Sta a noi donare strumenti e contenuti per insegnare loro la concretezza dell’emancipazione.

[1] Carlo Cafiero, Rivoluzione per la rivoluzione, liberliber 2012, pag. 44.


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