Racconto di fine agosto

Depresso, torvo, rabbioso, l’Omino Delinquente è chiuso nella villa bunker. Invidia Dudù e non si fida più di nessuno

di Adriano Todaro - martedì 27 agosto 2013 - 2089 letture

Si era svegliato, all’improvviso, alle 4 di notte. Sudato, il respiro corto, un crampo al polpaccio destro e poi la bocca amara, di fiele. Non era la prima volta che avveniva. Anzi. Nelle ultime settimane, capitava sempre più spesso di svegliarsi in preda a qualche incubo. Era tornato come da piccino, quando nel cuore della notte, si svegliava tutto ansimante gridando: "Voglio i soldi! Voglio i soldi!" e mamma Rosa, che Dio l’abbia in gloria, lo doveva rincuorare: "Dormi caro. Quando sarai grande farai tanti soldi".

L’incubo, questa volta, era durato più del solito. Seduto sul letto, l’Omino Disperato, cercava di ricordare il sogno o, meglio, l’incubo. Ah sì. Tutto era cominciato che lui era su un elicottero che stava per atterrare in uno stadio pieno di tifosi esultanti. Sembrava andasse tutto bene ma, all’improvviso, dal basso c’erano delle persone che tiravano una catena. E quella catena bloccava i piedi dell’Omino Dolente. Lui aveva ordinato al pilota di riprendere quota ma l’elicottero non ce la faceva perché, dal basso, tiravano forte ed erano in tanti a tirarla. Lui cercava di capire chi fossero, poi aveva capito. C’erano un po’ di giudici, da Esposito a Caselli, da Ingroia alla Boccassini, qualche politico 5 Stelle, un po’ di costituzionalisti e tanti altri. Ma erano visi anonimi, che non conosceva. Alcuni indossavano una tuta da lavoro, altri erano vestiti normalmente ma avevano tutti un cappellino. E al centro del cappellino una falce e martello, rossi!

In quel preciso istante si era svegliato tutto sudato. Frattanto, richiamata dalle grida dell’Omino Delinquente, era entrata nella stanza la fidanzatina Francesca. Lui l’aveva guardata torvo e aveva intimato di andarsene all’istante. "Ma perché, caro ‒ aveva esclamato ‒ mi cacci sempre via?". "Cribbio! Vai via vai via!", aveva urlato l’Omino Incazzato. Non ci teneva proprio farsi vedere in quello stato. Si era alzato e guardato nello specchio. Era proprio brutto a vedersi: gli occhi gonfi, le gote cascanti, i pochi capelli ritti, rughe dappertutto, il doppio mento e, come al solito, gonfio. E poi di un pallore che spesso neppure la quantità di fard industriale che gli mettevano addosso riusciva a camuffare. E l’alito poi. Proprio lui che raccomandava a tutti di mangiare mentine in continuazione. Aveva la bocca che era un cesso tutta colpa di quelle polpettine che la sera precedente aveva mangiato. Polpettine di caviale regalate dal suo amico ex comunista Putin.

Si era avvicinato alla finestra. Ormai c’era un chiarore che preannunciava l’alba. Guardava fuori il grande e silenzioso parco di Arcore. Non un rumore. Tutto taceva. Quella visione era un po’ il paradigma della sua esistenza. Anche lui ora era silenzioso, abbandonato da quasi tutti. Tutto sommato, però, gli piaceva quello stato d’animo depresso perché gli faceva ricordare e godere dei tempi passati. Quando era sceso, quella volta nella realtà, dall’elicottero in uno stadio festante con il tripudio dei tifosi che gridavano il suo nome. Quante ne aveva fatte e com’era considerato dai giornali. Col tempo, più dava mazzate alla povera gente e più voti prendeva. Lo copiavano tutti. Una volta aveva messo la bandana passeggiando con il suo amico, quel frescone di Tony Blair, e quell’estate, le spiagge erano piene di giovanotti con la bandana. E poi il cappellino da minatore, quello da conducente di treni, quello da vigile urbano, quello da operaio. E le barzellette? Vogliamo dimenticare le barzellette? Certo che no. I giornali riportavano la barzelletta e tutti ridevano; la crisi avanzava, le fabbriche chiudevano, ma tutti ridevano.

Bei tempi! Tempi passati. All’Omino Delittuoso venivano in mente, velocemente, come fossero fotogrammi di film, tutte le cazzate che aveva detto e che i giornali riportavano come cose serie. Una volta in televisione aveva promesso che sarebbe andato a far visita al padre dei fratelli Cervi, i sette partigiani trucidati dai fascisti. Alcide Cervi era morto da almeno vent’anni. E poi le barzellette sui disabili, sui gay, sui comunisti, i comizi con la bionda vicino da far eleggere mentre lui alza il dito medio. Formidabili quegli anni. E le corna nei consessi internazionali? E quando dà del nazista all’eurodeputato tedesco Martin Schulz? E quando fa cucù ad Angela Merkel definita più avanti come "culona inchiavabile"?

Sì, bei tempi. Una volta, ricordava nella sua mente l’Omino Sfatto, si era autonominato storico e aveva dichiarato che Mussolini non aveva "mai ammazzato nessuno". In realtà quando mandava gli oppositori al confino, aveva sentenziato, li mandava in vacanza, sulle isole più belle. Anche qua grandi titoli sui giornali e grandi risate. E intanto lui faceva i propri comodi. Portava i soldi all’estero, si faceva le leggi ad uso e consumo personale, le sue aziende prosperavano e la patonza girava. E come se girava. Certe fighette...

Ormai, però, tutto ciò era solo un ricordo. Ricordi passati come quando era iscritto alla P2, il suo legame con Cesarone Previti, con quel galantuomo di Mangano, con certi giudici che davano una spintarella alle cose che servivano a lui come, ad esempio, la Mondadori. Giudici per bene, non comunisti. Che non portavano i calzini azzurri come Mesiano o la cravatta storta come Esposito. Giudici per bene, già.

Ormai era giorno e l’Omino Depresso pensava alle cose da fare. Intanto più di mezz’ora doveva dedicarla ai capelli che venivano appiccicati uno per uno. Poi doveva passare all’asfaltatura, una specie di tunnel dove gli incatramavano i capelli per non farli smuovere, poi un’ora e mezza al fard, poi, ancora, le siringhe per togliere le rughe più vistose con botulino incorporato, un’altra ora di massaggi soprattutto al viso e ancora siringhe per iniettare una sostanza che dicevano miracolosa per togliere le borse sotto gli occhi, insomma trucco e parrucco. Poi, finalmente, colazione ma prima era necessario prendere il Viagra.

E così arrivava mezzogiorno e lui era già stanco. Pasto veloce e poi riunioni con gli avvocati per vedere se c’era la possibilità di salvarlo. Intanto cominciavano ad arrivare Pitonesse, Colombe, Falchi. Insomma era uno zoo. A parole erano tutti dalla sua parte; in realtà l’Omino Botulinato sapeva benissimo che tutti cercavano di salvarsi il culo. Fidarsi? L’Omino Fraudolento non si fidava più di nessuno. Ad esempio, pensava, quella badessa della Santanché cosa cazzo gli è saltato in testa di dire ai giornalisti che andrò in galera. Perché non ci manda quel cazzone del suo fidanzato, lui sì graziato da Napolitano? E poi quello senza quid, l’Angelino che ha convinto tutti che la legge sull’incandidabilità fosse una grande legge che nasceva "da una nostra proposta che aveva come prima firma quella del sottoscritto". Bell’affare! Così ora incandidabile sono io. E anche in campo avverso ormai erano pochi dalla sua parte. Baffetto si negava anche al telefono, Macaluso ogni volta che lo vedeva gli parlava non delle sue ragioni ma delle ragioni del socialismo. Rimaneva giusto Luciano l’Inciucista che recentemente aveva dichiarato a Repubblica: "Berlusconi deve avere tutte le possibilità di difendere le proprie ragioni". Sante parole perché, in effetti, ho avuto solo tre gradi di giudizio. Che democrazia è mai questa? Ci dovrebbero essere sette gradi di giudizio.

L’Omino Delinquente era sempre più depresso, torvo, rabbioso ed ora, anche il Milan perdeva. L’unica consolazione era che la giornata volgeva al termine. Inoltre quando andava a pisciare, sentiva un fastidioso bruciore e i tacchi infiammavano la sciatica. Ormai gli dava fastidio tutto e tutti, anche Francesca imposta dall’ufficio market. La serata si trascinava stancamente sul divano dopo aver cenato, per non avere incubi, con la pastina del pensionato, leggera leggera. Un po’ di Tv e poi a nanna sperando di non sognare il solito magistrato che gli metteva le manette ai polsi. Sul divano, a guardare la Tv, erano in tre, lui, Francesca e Dudù. L’Omino Malavitoso guardava il cane e pensava che fra tutti, il cane, fosse quello che se la passava meglio. Adesso poi aveva appreso che zio Mubarak era uscito da prigione e lui, invece, poteva andarci. Che schifo di vita, rimurginava. Solo perché ho evaso 7 miliardi di euro? E che sarà mai! Certo c’è anche dell’altro, ma chi non ha qualche peccatuccio. E poi a me la falsa testimonianza sulla P2 è stata amnistiata, le tangenti a Craxi sono cadute in prescrizione, i falsi in bilancio ho fatto proprio io la legge per depenalizzarla, la corruzione giudiziaria è orma prescritta.

Sono puro come un giglio pensava, ma tanto sfortunato e gli italiani sono degli irriconoscenti. Beato tu, caro Dudù, che non hai di questi problemi. E a proposito di problemi debbo ricordarmi domani di domandare ai medici se c’è la possibilità di ridurre la dimensione delle orecchie che in fotografia vengo sempre male.


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