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Quisquilie&Pinzellacchere. Nr. 42. Quando è nata la Resistenza al nazifascismo? I fratelli Rosselli. Ilio Barontini e lo spontaneista Giancarlo Puecher

Considero partecipare alla festa del 25 Aprile, giorno della vittoria sulla dittatura fascista e dei loro complici nazisti, un obbligo civile e morale...

di Franco Novembrini - mercoledì 1 maggio 2019 - 2772 letture

Considero partecipare alla festa del 25 Aprile, giorno della vittoria sulla dittatura fascista e dei loro complici nazisti, un obbligo civile e morale, ma volte la cosa risulta pesante a causa della poca credibilità degli oratori. Durante la commemorazione, in piazza a Villasanta del 25 Aprile, il sindaco, due anni fa ancora renziano convinto e sostenitore del candidato reavatariano (uomini in blu), Gori, alla presidenza della Regione Lombardia, ha esordito affermando, con buona approssimazione, che la Resistenza sarebbe nata in modo spontaneo dopo l’8 settembre del ’43.

Mi dispiace contraddirlo e lo farò non citando i numerosi ’’resistenti’’ che pagarono con il carcere e con la vita la loro opposizione al fascismo fino dal suo nascere e i cui sopravvissuti, con la loro esperienza, guidarono molti giovani nella guerra partigiana in Italia.

CARLO E NELLO ROSSELLI - Nel novembre del 1936, Carlo Rosselli (Giustizia e Libertà), da Radio Barcellona, in uno storico discorso a favore delle Brigate Internazionali, invitava a combattere contro le truppe nazifasciste, con le profetiche parole ’’oggi in Spagna, domani in Italia’’. Credo che questo si possa chiamare resistenza e non spontaneismo. Pochi mesi dopo pagarono con la vita questa loro posizione, uccisi da francesi prezzolati, pagati da Mussolini.

ILIO BARONTINI - Ilio Barontini, toscano di Cecina, fin dagli anni ’20 condannato, giovanissimo, dai tribunali fascisti, nel 1930 si rifugia in Francia e in URSS, dopo un anno si unisce alla guerriglia di Mao Tse Tung contro i giapponesi, nel ’35 combatte contro i fascisti italiani in Abissinia, oggi Etiopia, conoscendo il futuro generale Alexander e guadagnandosi il titolo di ’’vicerè di Abissinia’’ e l’anno successivo lo troviamo, nelle sanguinose battaglie Guadalajara e Jarama, in Spagna. Successivamente va in Francia e si batte ancora contro il nazifascismo invasore, con la resistenza francese. Dopo l’8 settembre rientra in Italia e con la sua esperienza contribuisce alla liberazione di Firenze, di Bologna (battaglia di Porta Lame) e alla liberazione di Modena. In Lombardia si distingue come coordinatore delle Brigate garibaldine e dei GAP. E’ stato decorato dal gen. Alexander con una altissimo riconoscimento inglese. Fu deputato, successivamente, per la Costituente per il PCI morendo in un incidente automobilistico nel 1951 mentre faceva attività politica. L’ho ascoltato alcune volte nei comizi che teneva nelle campagne elettorali all’Elba che faceva parte, con Livorno, del suo collegio elettorale.

GIANCARLO PUECHER - Proveniente da una ricca famiglia milanese, a 20 anni scelse, interpretando i sentimenti di suo padre e del fratello antifascista convinto tanto da trasformare la sua casa in una base partigiana di cui fecero parte azionisti, cattolici (di cui un prete), e socialisti. E’ stata la prima medaglia d’oro della Resistenza in Lombardia e con il suo nome Giustizia e Libertà ha intitolato due brigate partigiane. Una volta catturato Giancarlo non volle sfruttare una occasione di poter evadere, per non lasciare gli altri condannati in un processo farsa che era presieduto dal un tenente colonnello fascista Sallusti, nonno di un noto giornalista. Il padre continuò, malgrado il pericolo, la lotta del figlio e morì a Mathausen. La nipote Orsola, ha continuato nella tradizione di famiglia a raccontare la Resistenza dello zio e dei partigiani scrivendo anche un libro sulle ’’gesta’’ del garibaldino Ilio Barontini.

La manifestazione del 25 Aprile, purtroppo, si è svolta anche quest’anno a fianco di una lapide che fra i caduti annovera, dopo cinque anni di questo sindaco i nomi di due ’’repubblichini’’, che in questo spazio di tempo non si è riusciti a cancellare. La cosa sarebbe auspicabile, non per odio, ma per decenza.


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