Questioni di civiltà

Per difendere l’identità occidentale costituita da una serie di civiltà che dialetticamente in relazione hanno reso l’occidente terra di cultura, malgrado guerre e colonialismo, significa anche guardarsi e specchiarsi nel pensiero dei non occidentali...
Domande
L’autoreferenzialità occidentale è il limite quotidiano che neutralizza la capacità critica degli occidentali. Se provassimo a guardarci con lo sguardo degli altri, di coloro che vivono oltre i confini della NATO e dei suoi alleati formali e di fatto, probabilmente comprenderemmo le ragioni del “gran rifiuto dell’occidente”. Civiltà greca, Rinascimento, Illuminismo, cultura cristiana e marxiana sembrano dimenticate e cancellate, al loro posto regna l’aziendalizzazione di ogni esperienza comunitaria ed esistenziale. Ciò che impedisce il business è eliminato. Nello sguardo di un non occidentale una civiltà che rinnega se stessa e rinuncia volontariamente ad ogni tradizione e dunque cieca e muta si consegna ad un incerto futuro, calcolando solo i profitti, come può apparire?
Si può essere credibili se a gran voce si dichiara di essere baluardo di democrazia ed uguaglianza, mentre si rade al suolo ogni etica del passato e ogni vincolo assiologico e nel contempo l’uguaglianza è solo possibilità di accesso al mercato teoricamente per tutti, in realtà solo per i danarosi? I confini dell’Occidente atlantista si estendono dalla Finlandia all’Ucraina fino ad Israele, in modo diretto o indiretto il lungo confine tra Stati direttamente o indirettamente implicati nella NATO è un lungo confinato minato di guerre, al cui interno continuiamo a vivere il nostro quotidiano. Le armi hanno sostituito la tradizione diplomatica; missili ed eserciti hanno fatto saltare i ponti materiali e simbolici. La pace, valore presente nelle Costituzioni occidentali, è solo un modo per dire “guerra” come Orwell già denunciava. Le Costituzioni sono il “cane morto” delle democrazie; i valori in esse conservati sono negati nella prassi. Le parole fondano la democrazia, se esse corrispondono a realtà e a verità, invece nulla. Può la democrazia essere un modello con cui confrontarsi per coloro che ci osservano oltre la cortina di ferro delle armi, se notoriamente tutti sanno che ormai è flatus vocis?
Le famiglie in nome della libertà sono aziende in cui i singoli sono giustapposti, i ruoli scompaiono e con essi la cura quotidiana verso i figli è solo soddisfazione di beni materiali. I piccoli crescono percependosi come “principi”, tutto è al loro servizio, l’orizzonte è all’interno di piaceri fatui e vani che si susseguono e nel frattempo personalità destrutturate si affacciano al mondo in modo sempre più inadeguato.
Il vestiario è eguale in ogni contesto: in casa, a scuola, in chiesa e in discoteca tutto è eguale. Il linguaggio unico per il pensiero monodimensionale è rigorosamente globish. L’intelligenza è senso del contesto e riconoscimento della differenza. Personalità narcisistiche impongono la seduzione e il corpo senza considerare contesti ed effetti. La libertà è solo pulsionale, non più libertà di pensare e di volgere in autonomia il viaggio nella conoscenza di sé, ma solo di svincolarsi dall’altro. La libertà è relazione, solo nella relazione vi è la libertà come pratica umanizzante.
I genitori e i docenti sono al servizio dei desideri dei giovani. Fragilità emotive e disagi si moltiplicano, mentre gli adulti imitano infantilmente i giovani e in tutto questo cresce solo l’abbandono e la solitudine generale. La domanda sorge spontanea un simile modello educativo può diventare esportabile? Possono, i non occidentali, confrontarsi e imparare da un occidente che aborre il limite e i fini etici nella pratica educativa e lascia che i pargoli crescano senza regole?
La nostra civiltà è fondata sull’immanenza, nessun universale e nessuna spinta etica verso il trascendente. Tutto è sulla linea d’orizzonte della materialità, tutto è consumo, pertanto ogni esperienza si consuma nell’instabile, tutto evapora in modo celere senza essere pensato e senza la fatica del concetto. Una civiltà senza altari e senza metafisica precipita velocemente nell’assurdo. La libertà è diventata esperienza dell’eccesso e maniacale affermazione di un individualismo malinconico e tragico. Possono pensare che siamo liberi? La nostra libertà ai loro occhi è solo individualità astratta e asociale. Può essere attraente la nostra libertà che cannibalizza le differenze?
Il pan-economicismo penetra ovunque nelle case, negli ospedali, nelle scuole e nella politica. L’economia determina le scelte. Tutto questo nello sguardo di coloro che speravano nel modello occidentale, nella sua tradizione più nobile e più critica, non può che procurare un senso d’inquietudine. L’economicismo è veicolo di razzismo, è il censo a determinare la qualità di vita e il livello di cittadinanza. Se sei precario, non sei cittadino, sei plebe che dipende dal capriccio dei padroni. Può il modello economico fondato sul profitto e sulla valutazione quantitativa dell’essere umano essere esportabile?
L’etica che si basa sul principio della compravendita al punto da legittimare, in taluni casi e nazioni, l’utero in affitto può essere causa di comunicazione culturale e politica o può, invece, rafforzare il rifiuto di un mondo che sembra destinato ad una decadenza che lo corrode dall’interno? Se tutto è permesso a chi ha denaro, allora significa tutto è possibile in occidente.
Sperare ancora
Per difendere l’identità occidentale costituita da una serie di civiltà che dialetticamente in relazione hanno reso l’occidente terra di cultura, malgrado guerre e colonialismo, significa anche guardarsi e specchiarsi nel pensiero dei non occidentali, senza santificazioni e senza demonizzazioni, per capire la direzione verso cui siamo orientati e per poter divergere prima che sia troppo tardi.
A ciascuno di noi il compito arduo e faticoso di salvare un frammento d’occidente. Salvare significa trasmettere, tradere, alle nuove generazioni una scintilla di ciò che è stato senza fanatismo ed idolatrie ma nella verità e complessità.
Non dobbiamo attendere uomini della Provvidenza o che altri facciano e agiscano al nostro posto, ciascuno di noi è un corifeo che deve tenere accesa la fiamma della nostra civiltà. Lo sguardo dev’essere rivolto alle altre civiltà che abitano il pianeta per consentire alla pluralità che umanizza di ritornare “nell’alveo dell’essere e di divergere dal niente tecnocratico”.
Poniamoci dinanzi a noi stessi per uscire dalla decadenza attraverso lo sguardo e le vite degli altri, forse è l’unico modo per capirci e non morire. Forse è l’unico modo per emanciparci dal comodo pessimismo che perpetua l’inazione ed insegna a fuggire dal presente e dal futuro.
La decadenza e la scomparsa dell’occidente tra i marosi dei calcoli non è un destino, ma è scelta a cui ciascuno può far fronte con una scommessa da giocare con impegno e passione nel presente senza tardare e rimandare a un domani che appare sempre più incerto.
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