Sei all'interno di >> :.: Culture | Libri e idee |

Questa mattina...

Antifa : the anti-fascist handbook / Mark Bray. - New York : Melville House, 2017. - 288 p. - ISBN 978-1-61219-703-6.

di Alessandra Calanchi - mercoledì 24 settembre 2025 - 382 letture

Questa mattina
mi son svegliata
e ho trovato l’invasore
.

Era già arrivato, in realtà; anzi, non se ne era mai andato. Ma per mesi e anni abbiamo creduto che fossero fantasmi dei governi passati, o magari falsi marziani evocati dagli ufologi – ma no, erano proprio loro, i fascisti.

PNG - 153.9 Kb
Cover of / Copertina di: Antifa, The Anti-Fascist Handbook

Quando è uscito Antifa nel 2017 (di Mark Bray, professore alla Rutger’s University) non mi pare se ne sia parlato molto in Italia, eppure l’autore ricorda puntualmente la Shoah e nomi e fatti anche italiani: per esempio ricorda Emilio Avon, che fu picchiato a sangue da una squadra di camicie nere e minacciato di morte se non avesse lasciato entro 15 giorni il suo paese, Castenaso, in provincia di Bologna. Questo fatto avveniva nel marzo del 1921 [1].

Oggi invece di antifascismo si parla molto, forse fin troppo, soprattutto da quando alcuni giornalisti dopo le ultime elezioni si sono incaponiti a chiamare coloro che ci governano “destra moderata” e a meravigliarsi che siano così poco propensi a definirsi antifascisti – Lei si definirebbe anticomunista? – replicavano con insistenza certi personaggi negli studi televisivi, mettendo le due cose sullo stesso piano.

Ma oggi devo parlare di un altro invasore, che ha un nome e un cognome anche se mi disgusta pronunciarlo. È americano ma non è venuto né a liberarci né a vendere Coca-Cola, ma a offendere noi italiani e la nostra memoria dichiarando terrorista il movimento Antifa. E se avessimo avuto un altro governo (di sinistra o perfino democristiano) sono certa che qualcuno avrebbe avuto la decenza di ricordare a quel signore non solo cosa è stato il fascismo, noi che in Italia purtroppo lo abbiamo conosciuto bene, ma anche che la nostra repubblica è dichiaratamente e orgogliosamente antifascista. E che in Italia è reato essere fascisti, non anticomunisti.

Ovviamente sono e saranno in molti a indignarsi, anche se non credo tra le figure istituzionali.

Mi appello dunque ai numerosi autori di libri che parlano di antifascismo (per citarne qualcuno in ordine sparso: Valerio Gentili, Stefano Catone, Roberto Lobosco, Francesco Filippi, Arturo Bertoldi e Max Collini, Daniele Capezzone, Antonio Padellaro, Andrea Rapini, Gianni Oliva, Pietro Cappellari, Carlo Greppi, Francesco Totolo, Marco Bresciani, e finalmente anche una donna, Simona Colarizi che però si occupa del periodo 1919-45) e a tutti i docenti e le docenti delle scuole di ogni ordine e grado, nonché agli studenti, ai lavoratori, ai disoccupati, affinché sostengano il valore dell’antifascismo, che è un valore condiviso anche in molte altre nazioni, come illustra bene Mark Bray.

Il libro ripercorre le tappe storiche dell’antifascismo e dei nuclei di rinascita del fascismo e del neonazismo in Europa e negli USA, dal 1945 in poi, con alcune date cruciali come gli anni 70 con i movimenti di protesta, gli anni 80 con le Black Panthers e i Red Warriors, riservando molto spazio anche all’Italia, con Autonomia Operaia e gli Indiani Metropolitani, per arrivare poi alle Brigate Rosse. L’autore (che ricorda Aldo Moro e la strage di Bologna, ma a cui sfugge Francesco Lorusso) tiene a precisare comunque che “i fascisti furono responsabili della maggior parte degli omicidi politici dal 1969 al 1980”. E menziona anche l’importante ruolo rivestito dall’ANPI, l’Associazione Nazionale Partigiani Italiani, per la preservazione della memoria storica.

La sua introduzione si apre con queste parole: “Vorrei che non ci fosse bisogno di questo libro”. E io da parte mia vorrei che fosse stato tradotto, ma non essendo così, riporterò alcuni stralci per chi non sa l’inglese. Agli altri suggerisco l’acquisto in eBook. I corsivi sono miei.

“Il libro prende sul serio il terrore trans-storico del fascismo.”

“L’antifascismo è una tradizione politica legittima che trae origine da un secolo di battaglie a livello globale.”

“Paxton definisce il fascismo come una forma di comportamento politico contrassegnato da un’ossessiva preoccupazione per il declino della comunità, l’umiliazione, il vittimismo, e cerca di compensarli con il culto dell’unità, energia e purezza.”

“La costruzione di tabù sociali contro il razzismo il sessismo l’omofobia e altre forme di oppressione che costituiscono la base del fascismo si attua attraverso dinamiche che io chiamo antifascismo quotidiano.”

“L’antifascismo è solo una delle facce della lotta contro la supremazia e l’autoritarismo.”

“Lo slogan ‘mai più’ ci impone di riconoscere che se non vigiliamo potrebbe davvero succedere ancora.”

In conclusione: io non ravviso segni di terrorismo.

Per l’autore, l’isteria nazionale riguardo ai rifugiati, a cui si nega la minima solidarietà; il desiderio di generare una violenta furia populista contro i profughi, spesso ritenuti terroristi; il crescente (ri)sentimento anti-migranti; l’aumento dei gruppi che praticano il linguaggio dell’odio sul web; il nazionalismo; il bisogno di tornare a ruoli sessuali tradizionali; la pretesa di ineguaglianza etnica; la ferma convinzione che esista una supremazia bianca e che l’occidente debba difenderla, sono tutti segnali che non andrebbero sottovalutati e che si possono combattere solo con una forte presa di posizione antifascista.

Riguardo alla libertà d’espressione, un altro punto che sta molto a cuore agli americani visto che è protetta dal primo articolo della Costituzione, attenzione a non cadere nella trappola: come ben riassume Internazionale il 19 settembre, “Trump usa la libertà d’espressione come pretesto per la censura”. Nemico dichiarato della cancel culture perché “di sinistra”, oggi il presidente cancella e censura a man bassa (rimando a Vocabolario resistente) cosa che Bray aveva già capito 8 anni fa: libertà di parola è sempre stata solo un’ipocrisia borghese, dato che non si applicava ai detenuti e a chi non contava nulla, e dato che poteva essere usata per insultare gli avversari politici o incitare alla violenza. “In realtà,” specifica, “i criteri del liberalismo per limitare la libertà di parola sono pesantemente radicati nella logica pervasiva del capitale, del militarismo, del nazionalismo, del colonialismo, così come del razzismo intrinseco al sistema criminale della “giustizia” e al sistema dell’immigrazione.”

Alcune ultime pagine del libro meritano un’ultima riflessione, un po’ nostalgica. Sì, perché Bray (nel 2017) parla di come a partire dagli anni 60 le università siano diventate “più inclusive e ‘diversificate’”, il che è un bene, dice, ma nasconde un tranello: se da un lato le università hanno dovuto avere sempre più a cuore la “diversità”, aderendo alle esigenze dei gruppi marginalizzati, creando quindi supporto per gli studenti LGBTQ o borse di studio per gli undocumented, tutto questo non ha senso se le stesse università non solo negano l’importanza di questo riconoscimento, ma danno spazio a chi ispira violenza e organizza attività che incitano all’odio.

Nostalgia, dicevo. Perché aveva ragione da vendere. Perché oggi quello spazio è cresciuto al punto che sta risucchiando l’altro, e inclusion e diversity sono diventate parole tabu. Tutti chini a obbedire, perché se no il presidente taglia i fondi. O manda tutti a casa.

Concludo con l’ultima intervista a Mark Bray, di cinque giorni fa. Buon ascolto.

[1] L. Arbizzani, Antifascismo e lotta di Liberazione nel Bolognese, Comune per Comune, Bologna, ANPI, 1998


- Ci sono 0 contributi al forum. - Policy sui Forum -